Dall’altra parte

Paolo Barnard

Solo una Medicina di persone corpo-unico umanizzante avrà il potere di vanificare la meschineria della gestione politica e delle cordate d’interesse.

La richiesta pubblica per una Sanità migliore si perde nel tempo come una costante perennemente frustrata. Di mezzo ci sono state e ci sono vite umane, sofferenze talvolta immense, che rendono i fallimenti della Sanità italiana ancor più intollerabili.
La domanda, nonostante gli innegabili passi avanti ma anche i tanti cambiamenti solo ‘cosmetici’, rimane tanto inalterata quanto urgente: come migliorare questa Sanità, visto che gli strumenti della politica e della pianificazione economica hanno così spesso mancato l’obiettivo? La risposta mi è arrivata d’istinto: dobbiamo chiederlo ai grandi clinici italiani ammalati, chiedergli come oggi ridisegnerebbero questa Sanità dopo averne conosciuto nel profondo entrambi gli aspetti più qualificanti, e cioè quello scientifico/organizzativo – per essere stati medici di fama internazionale e gestori di reparti – e quello della sofferenza umana – per aver vissuto sulla propria pelle il dolore, lo smarrimento, l’angoscia e la brutalità della malattia grave e delle terapie più estreme.
Ne feci un programma televisivo di grande successo (Nemesi Medica, RAI Educational, giugno 2005, replicato 5 volte), e poi un libro, ‘Dall’Altra Parte’ (Rizzoli BUR), ancor più apprezzato dal pubblico con ben 7 ristampe. In essi alcuni nomi illustri della medicina italiana – il cardiochirurgo Sandro Bartoccioni (recentemente scomparso), l’oncologo Gianni Bonadonna, il chirurgo toracico Francesco Sartori, e l’internista Lucio Gullo – mi raccontarono sia il loro traumatico salto ‘dall’altra parte’ per gravi patologie, sia la loro ricetta per una Medicina migliore. Ma si faccia attenzione a quest’ultimo passaggio: non è più di Sanità che sto parlando, ma di Medicina, o pratica medica. Infatti, ci rendemmo conto in corso d’opera di uno scarto di fondamentale importanza che è bene illustrare: la ragione per cui ogni tentativo di riforma politica o aziendale della Sanità è in gran parte fallito sta nel non voler comprendere che senza una rivoluzione morale e umanistica della pratica medica ogni altro tentativo di abbellire la Sanità è destinato al nulla. Non ci potrà mai essere una istituzione Sanità a misura d’uomo se l’uomo che la gestisce non sa esserlo. Va rivista la Medicina stessa fin dalle sue fondamenta, con la figura del medico ridisegnata interamente a partire dai primi anni della formazione universitaria, a partire dalla sua qualità morale e dalla sua capacità empatica. Solo una Medicina di persone corpo-unico umanizzante avrà il potere di vanificare la meschineria della gestione politica e delle cordate d’interesse, o la brutalità di un sistema di lavoro sempre più meccanicistico e sempre meno a misura di persona. E questo col sostegno del grande pubblico. Tentare il percorso inverso è stato e sarà inutile.
Il messaggio sia del programma Tv che del libro, in fondo, è tutto qui, articolato attraverso racconti a tratti commoventi, a tratti terribili, talvolta brillanti, con un Decalogo finale che offre le tappe fondamentali per riorientare il mondo di chi vive la malattia e di chi la cura nella sua giusta direzione: quella umana. Desidero anticipare al lettore solo alcuni punti di questa lista di regole auree, per dare un’idea della loro portata innovativa. A partire dal punto primo, che sollecita la creazione in Italia di una Consulta Nazionale dei Medici Ammalati presso il Ministero della Salute (sarebbe una ‘prima’ mondiale) al fine di stilare una riforma della pratica medica e di offrire perciò concrete proposte per una Sanità migliore. In essa alcuni grandi clinici ammalati coordinerebbero il lavoro del più ampio numero di medici ammalati italiani per stilare un rapporto finale, da consegnare al Ministro.
Seguono idee coraggiose e, senza esagerare, dirompenti, come quella di istituire una formazione specifica e obbligatoria all’interno dei corsi di laurea in medicina dedicata al rapporto con la persona sofferente, che nella valutazione finale dei laureandi dovrà avere pari peso rispetto alla preparazione scientifica, ma non solo: vi dovrà essere un sistema di sbarramento nella prosecuzione dei corsi, dove lo studente che ha dimostrato scarso interesse e/o rendimento in tale formazione verrà semplicemente escluso dalle specializzazioni ‘ad alto contenuto di sofferenza umana’, come le oncologie o i reparti di terapia intensiva, ecc. E poi: l’istituzione di una commissione ministeriale super partes per valutare su tutto il territorio nazionale il grado di eccellenza dei reparti e dei loro direttori, specialisti, operatori ecc., a seconda delle specialità e su una base di criteri internazionalmente riconosciuti. La graduatoria di merito, annuale, dovrà essere resa pubblica e assegnata ai medici di famiglia per aiutare i pazienti a scegliere il meglio per la propria patologia, poiché non accada più che chi lotta per la propria vita e non sa a chi rivolgersi debba affidarsi al sentito dire, alle riviste patinate, alla fama televisiva di certi medici o di taluni centri di cura. E anche qui vi dovrà essere il coraggio di chiudere, o di rimuovere dall’incarico, i reparti o i medici che non conseguiranno gli standard minimi richiesti. E ancora: l’idea che le persone, i cittadini, non debbano chiamarsi fuori dalla partecipazione ai percorsi di cura fino al precipitare di una malattia. Si invoca una vera e propria campagna nazionale di ‘educazione all’essere pazienti’, che educhi i cittadini a essere protagonisti degli eventuali iter terapeutici futuri e a conoscere i limiti e le dinamiche del lavoro dei medici, al fine di creare un migliore incontro fra di loro e di evitare il così frequente ricorso alle azioni legali, frutto in gran parte di una mancanza di comunicazione umana adeguata.
Uno dei suggerimenti più controversi riguarda l’attuale sistema di aziendalizzazione sanitaria, dove i clinici ammalati di questo gruppo lanciano un attacco frontale all’ingerenza del potere della politica nella gestione della salute, con le cordate d’interesse, le promozioni dei fedeli ‘vassalli in camice bianco’ indipendentemente dai loro obiettivi meriti scientifici, le eccessive incombenze amministrative dei medici, e l’erosione dei tempi del fondamentale rapporto umano medico-paziente, oggi sempre più sul filo dei minuti contati. Infine, si dedica ampio spazio alla diffusione in Italia di una cultura medica che ‘sappia curare il morire’, là dove si sancisce che il medico può e deve continuare a curare/prendersi cura del suo paziente anche nel fatale momento del “non c’è più niente da fare”. Tradotto in poche e chiare parole, si tratta di dare il giusto risalto e i giusti mezzi alle scienze di medicina palliativa e all’istituzione di Hospice in ogni regione italiana.
Questo, e molto altro ancora, è il parto di questo straordinario esperimento dove alcuni grandi medici italiani ammalati gravemente hanno deciso di mettere da parte ogni remora, ogni personale pudore, e di incontrare pubblicamente la propria e l’altrui sofferenza per il bene di un’intera nazione.

Paolo Barnard
Giornalista e scrittore

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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