Le prime vittime dei conflitti armati

Per contrastare i crimini commessi contro bambini in situazioni di conflitto armato incluso il loro arruolamento nelle forze combattenti, bisogna superare l’impunità dei responsabili e rafforzare la giustizia penale internazionale.

I bambini sono sempre stati tra le prime vittime delle guerre. La natura delle guerre cambia, coinvolge sempre più la popolazione civile, il numero dei bambini vittime aumenta e cambiano anche le caratteristiche delle violenze perpetrate. Tra i conflitti armati di oggi, ci sono relativamente poche guerre tra Stati, pochi conflitti che coinvolgono forze armate regolari. Negli ultimi 20 anni, dopo la caduta del muro di Berlino ed il crollo dell’impero sovietico, si sono moltiplicati i conflitti armati interni e non solo sotto forma di guerre civili.

Dalla ex Jugoslavia alla regione del Caucaso, dai Grandi Laghi africani al Sudan, al Medio Oriente e all’Asia Centale, questo ventennio ha visto il moltiplicarsi di genocidi e dell’uso della popolazione civile, tra cui i bambini in primo luogo, quale “strumento” della guerra stessa. Il terrorismo ha poi introdotto ancor nuove forme di violenza indiscriminata e spietata, come nel caso della scuola di Beslan, coinvolgendo nuovamente i bambini. La nozione stessa di guerra e di conflitto armato è diventata equivoca. Non esiste, infatti, una definizione universale di “conflitto armato”.

I bambini vengono uccisi, resi orfani, sequestrati, espulsi dalle loro case, privati del diritto all’educazione e alle cure mediche, lasciati con ferite emotive e traumi e, sempre più spesso, vittime di violenza sessuale nel contesto delle operazioni belliche.
Abbiamo visto tutti le immagini di bambini uccisi o feriti durante i bombardamenti nella Striscia di Gaza a gennaio 2009. Tutti i rapporti su questo recentissimo conflitto coincidono nell’affermare che oltre un terzo dei più di 1000 palestinesi uccisi erano bambini. Perfino una scuola, gestita dalla United Nations Relief and Works Agency (UNRWA), è stata bombardata in pieno giorno.

Il VII Rapporto del Segretario Generale dell’ONU al Consiglio di Sicurezza su Bambini e Conflitti Armati del 2007 cita 18 situazioni di particolare preoccupazione: Afghanistan, Burundi, Repubblica Centro Africana, Chad, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Haiti, Iraq, Libano, Israele e Territori Palestinesi occupati, Somalia, Sudan, Uganda, Myanmar, Nepal, Sri Lanka, Filippine e Colombia.

Il Rapporto accusa esplicitamente 57 entità tra Stati ed attori non statali responsabili di aver esercitato grave violenza contro i bambini. In alcuni, purtroppo pochi, casi come Liberia, Sierra Leone e Costa d’Avorio, tutti in Africa Occidentale, possiamo constatare uno sviluppo positivo di superamento dei conflitti e diminuzione di vittime fra i bambini.

Le stime dell’ONU parlano di più di 2 milioni di bambini uccisi in conflitti armati in questo periodo, di 6 milioni di bambini resi permanentemente disabili e 250 mila bambini reclutati come soldati. Migliaia di bambine e ragazze sono state vittime di stupro e altre forme di violenza sessuale. Nella Repubblica Democratica del Congo il 60% di tutti i casi di stupro noti interessano vittime tra gli 11 e i 17 anni. Le stime, poi, parlano di circa 10 mila bambini uccisi ogni anno da mine anti-uomo.

Come conseguenza diretta del conflitto armato intere popolazioni sono costrette a fuggire, a lasciare le proprie case, villaggi e città. 6 milioni di bambini sono rifugiati, fuori dal loro paese di appartenenza e quasi 9 milioni sono sfollati interni. L’uso di bambini come soldati o combattenti era già stato sperimentato su vasta scala durante la guerra civile in Mozambico. Essa lasciò drammatiche tracce per molti anni ancora dopo la fine del conflitto, quanto alle immense difficoltà di riabilitazione. Nei conflitti armati contemporanei si osserva un incremento del numero di bambini soldato che vengono costretti con la forza, indotti dalle proprie famiglie per garantirne la sussistenza o reclutati “dalla strada”, non avendo comunque un futuro.

Thomas Lubanga, signore della guerra nella Repubblica Democratica del Congo, è sotto processo presso il Tribunale Penale Internazionale de L’Aja con l’accusa di aver costretto centinaia di bambini ad uccidere, razziare e stuprare persone appartenenti a gruppi etnici rivali. Lo sviluppo positivo in questi anni consiste nella creazione di strumenti internazionali per superare l’impunità dei criminali di guerra che esercitano violenza sui bambini. Il caso di Lubanga, arrestato nel 2005 e detenuto a L’Aja dal 2006, è un caso emblematico, ma certamente non unico.

Il Tribunale per i crimini di guerra e contro l’umanità, istituito dopo i conflitti nella ex Jugoslavia e nel Rwanda, nonché la Corte Speciale per la Sierra Leone hanno già condannato attori di violenza contro bambini nei conflitti armati. La giurisprudenza della Corte Speciale sulla Sierra Leone considera il reclutamento di bambini al di sotto dei 15 anni un crimine di guerra secondo il diritto consuetudinario.

Il Protocollo opzionale del 2000 alla Convenzione sul Diritto del Fanciullo va oltre e vieta l’arruolamento di minori al di sotto di 18 anni.
L’attenzione internazionale sul dramma dei bambini in guerra è stata sollecitata dal I Rapporto ONU del 1996, presentato da Graçia Machel, esperto nominato dal Segretario Generale dell’ONU. Nel 1997, il Segretario Generale nomina un rappresentante speciale per bambini in conflitti armati.

Nell’agosto 2007, il Rappresentante speciale presenta il suo rapporto all’Assemblea Generale dell’ONU, fornisce un dettagliato resoconto sulla situazione in Sri Lanka, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Israele e Territori Palestinesi occupati, Myanmar. Il Rappresentante valuta inoltre i progressi fatti a livello internazionale a 10 anni dal “Rapporto Machel”.

Oggi non mancano gli strumenti giuridici internazionali per contrastare la violenza perpetrata contro i bambini in guerra. Ma i trattati e le convenzioni internazionali hanno scarso impatto in assenza di misure coercitive e, comunque, impegnano solo gli Stati firmatari, non i gruppi armati o terroristici non statali. Per questo consideriamo di somma importanza lo sviluppo della giustizia penale internazionale quale strumento in grado di punire chiunque al mondo commetta crimini di guerra o contro l’umanità.

Il Tribunale Penale Internazionale è stato istituito a Roma nel 1998 con l’approvazione dello Statuto sotto la presidenza dell’illustre giurista italiano Giovanni B. Conso. Ancor oggi molti Stati importanti, tra cui gli Stati Uniti, non hanno firmato lo Statuto ed altri, come Israele, l’hanno firmato ma non ancora ratificato.
A poco serve emozionarsi sulla tragedia dei bambini in guerra se non vengono intrapresi passi concreti di contrasto e di persecuzione dei responsabili.

Christopher Hein
Direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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