Giornata internazionale contro la schiavitù infantile 

Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite. Da grande voglio fare l’avvocato e lottare perché i bambini non lavorino affatto”. 

Così intervenne un bambino durante una conferenza contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Non un bambino qualsiasi, ma un bambino pakistano, soggiogato e malnutrito, che già a cinque anni era costretto a lavorare disumanamente in una fabbrica di tappeti. Fino a ché a dieci anni riuscì a scappare ed iniziò a far sentire la propria voce, denunciando le mafie tessili del Pakistan e lottando in prima persona per la difesa e la libertà dei bambini schiavi. 

Il suo nome era Iqbal Masih. Chissà che avvocato sarebbe potuto diventare. Condizionale passato d’obbligo, perché il 16 aprile 1995 – data poi concordata per ricordare questa piaga sociale – venne assassinato perché troppo scomodo, stava ottenendo una notevole attenzione a livello internazionale ed era perciò un grosso problema per i mafiosi. Da quel momento divenne il simbolo della lotta allo sfruttamento minorile nel Pakistan e non solo, un vero e proprio simbolo per tutti quei bambini abusati nel mondo del lavoro.

Ancora oggi sono tantissimi i bambini che, anziché giocare e andare a scuola, vanno tutti i giorni a lavorare, svolgendo spesso attività pericolose in condizioni di estremo rischio e anche di violenza. UNICEF denuncia che nel 2023, a livello globale, 160 milioni di bambini (5-17 anni) sono stati sotto sfruttamento lavorativo; di questi, 79 milioni – quasi la metà – sono stati costretti a svolgere lavori duri e pericolosi. In Italia 336 mila minorenni (7-15 anni) – quindi circa il 7% della popolazione di quell’età – hanno avuto esperienze di lavoro, mentre il 20% dei 14-15enni – dunque 1 minore su 5 – ha lavorato prima dell’età legale consentita (16 anni). 

L’articolo 32 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rights of the Child – CRC), ratificata dall’Italia nel 1991, sancisce che “gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale”. Allo stesso articolo, ma nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), sotto il capo “Solidarietà” viene ribadito il “Divieto del lavoro minorile e (la) protezione dei giovani sul luogo di lavoro”. Ma già nel 1948 era stato espresso il divieto di schiavitù all’Articolo 4 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Universal Declaration of Human Rights – UDHR): “Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma”. Argomento poi ribadito dall’Articolo 8 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, in cui si aggiunse che “nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio” (Art. 8.3.a)).

Tre sono gli aspetti principali che definiscono la schiavitù tale:

  1. il controllo attraverso la violenza o la minaccia di violenza, ovvero quando una persona ne controlla completamente un’altra usando la coercizione;
  2. lo sfruttamento economico, cioè quando le persone vengono usate per trarre profitto, non pagandole o pagandole miseramente, dando loro il necessario per sopravvivere, come cibo e alloggio; 
  3. di conseguenza, la perdita di ogni diritto umano e l’assoggettamento alla volontà del padrone. 

La ragione trainante che spinge a schiavizzare i bambini e le bambine è la povertà: la forza lavoro, specialmente quella giovane – spigliata, veloce e che non obietta alla misera ricompensa – serve per integrare i redditi o per pagare i debiti delle famiglie, estremamente impotenti, fragili e disperate. Addirittura in alcune zone dell’Asia meridionale ci sono persone e famiglie che “offrono” se stesse ad un padrone come garanzia schiavizzata per ripagare un debito, contratto per esempio per l’urgente bisogno di comprare medicine (debt bondage). Nel complesso, solitamente sono individui non tutelati che hanno perso la propria dignità e che fanno di tutto per sopravvivere, anche a costo di compromettere le proprie libertà fondamentali. 

È il caso anche degli oltre 250.000 bambini soldato, il 40% dei quali sono femmine, coinvolti in conflitti in tutto il mondo. L’Africa è il focolaio del fenomeno, specialmente la Repubblica Democratica del Congo. Oltre a combattere, sono costretti a commettere atti di abuso, di violenza e in alcuni casi di genocidio. Intersos stima che sono 18 i Paesi nei quali dal 2016 è stato documentato l’uso di bambini soldato in conflitti armati e il numero di casi registrati è in aumento. Si approfitta della loro vulnerabilità, sono facilmente manipolabili, spesso ingenui e più disponibili.

Nella schiavitù infantile rientrano anche tutte quelle bambine e quei bambini costretti a lavorare nelle fabbriche, ad esempio in quelle di abbigliamento, cosa che frequentemente accade in quelle asiatiche-orientali. Gran parte dei prodotti a basso costo venduti in Occidente e nelle zone a Nord sono generati dal lavoro minorile in Oriente e nelle zone a Sud. Chi contribuisce alla schiavitù non sono solo le aziende, le industrie, le imprese e le multinazionali, ma anche i governi – che non stipulano adeguate norme e/o non le fanno rispettare – e i consumatori – che chiudono gli occhi nel momento dell’acquisto. Il consumatore decide di acquistare prodotti che comportano la schiavitù o meno. 

Bambini e bambine costretti nella prostituzione e nella tratta – rapiti e venduti, alcuni addirittura violentati. Queste sono altre forme di schiavitù, il traffico di bambini, e donne, nel mercato forzato del sesso. L’idea che chi compra questi servizi voglia aiutare queste povere persone è vigliacca; non si fa altro che traumatizzarle, nel fisico e soprattutto nella mente, e distruggere la loro infanzia, la loro famiglia, la loro personalità e la loro individualità, ma anche la loro umanità, la loro libertà e il loro futuro. I bambini rimangono i cittadini più indifesi al mondo e la schiavitù infantile è un’estrema violenza che marchia il loro corpo e la loro anima. 

Siamo consapevoli del fatto che, nonostante la schiavitù sia illegale, si manifesta e si dilaga costantemente comunque in tutto il mondo, e non solo nei paesi del Terzo Mondo come si può erroneamente pensare. Non vogliamo però vedere ciò che è chiaramente sotto i nostri occhi. È importante capire di essere in parte responsabili della schiavitù, anche di quella infantile, e dunque delle condizioni riprovevoli in cui cercano di sopravvivere milioni di esseri umani, bambini compresi, della cui umanità rimane ben poco. 

Lucia Valentini

Lucia Valentini è neolaureata in Comunicazione giornalistica, pubblica e d’impresa (laurea magistrale, Università di Bologna), Comunicazione e Giornalismo (master, Università Pegaso) e Scienze Internazionali e Diplomatiche (laurea triennale, Università di Bologna). Interessata alle questioni geo-sociali e politiche dei PVS e del Medio Oriente, ha partecipato all’International Summer School “Social-Political Conflicts of Modern Society” presso la Saint Petersburg Mining University (08/2019). Incuriosita dalle religioni e dalle criticità dei paesi in guerra, ha frequentato i corsi “Hinduism Through its Scriptures” (HarvardX, 04/2020) e “Terrorism and Counterterrorism” (GeorgetownX, 02/2022). Inoltre, grande passione per la lingua inglese e con qualche conoscenza della lingua russa e hindi. 

Rispondi