Dal basso all’alto

Le idee dei bambini meritano non solo di essere ascoltate, ma anche di essere messe in pratica. La loro partecipazione dovrebbe essere un diritto e non semplicemente un atto simbolico.

harendra de silvaSe non siamo capaci di apprezzare il valore del dialogo con tutte le componenti della nostra società, incluse quelle fazioni estremiste che appaiono nettamente contrarie alla pace, tutti i nostri sforzi saranno inutili. Il processo di pace non può appartenere solamente a pochi leader ribelli, ai ministri e agli ufficiali governativi o ai negoziatori, che potrebbero avere in questo processo interessi privati o politici. Anche senza interessi privati, il dialogo dovrebbe essere quanto più ampio e trasparente possibile, a tutti i livelli della società, cominciando dalla gente comune per poi salire su fino al vertice, per ottenere un ampio consenso: un processo “dal basso in alto” piuttosto che un’imposizione “dall’alto in basso”.

Inoltre è importante che i mediatori politici mantengano con fermezza le loro posizioni, senza cedere a lusinghe né a convinzioni estremiste. Il processo di pace potrebbe trovarsi in pericolo se si considerassero solo gli aspetti politici del conflitto. In un processo di pace tradizionale, i mediatori si concentrano solo ed esclusivamente su questioni di confini, economia, divisione dei poteri e proprietà: in pratica, su mere questioni di potere e controllo. Per contro, altre questioni più importanti come quelle sociali dei diritti umani, dell’infanzia, delle generazioni future, e della non-violenza, difficilmente vengono affrontate. L’impero Britannico ha tracciato confini a dividere l’India, il Pakistan e la Cina, oltre 50 anni fa. La cosa strana è che questi confini non hanno impedito, e non impediscono nemmeno oggi, le crisi all’interno di queste aree.

Come già sappiamo sono i capi che decidono la guerra e che decidono se firmare una pace. Se anche uno solo dei leaders si rifiutasse di firmare, si tornerebbe tutti in guerra, diversamente da come sarebbe se il potere di decidere fosse lasciato alla società civile, nel qual caso la decisione sarebbe collettiva. Come la guerra, anche le decisioni di pace sono una questione legata al potere; e le probabilità che i politici in cerca di potere cedano volontariamente questa facoltà al popolo, sono remote. È interessante che solo una manciata di persone appartenenti ai gruppi combattenti siano coinvolte nei negoziati di pace. Senza voler pretendere la partecipazione della società civile, non si riesce ad avere nemmeno un dialogo politico allargato a causa del “potere” che può derivare dal semplice fatto di essere tra i negoziatori.

L’incapacità di portare avanti un processo di pace vicendevole, a favore della gente comune, fa della parola “pace” un termine vuoto, mentre i separatisti continuano imperterriti la loro incessante attività propagandistica: di raccolta fondi, di arruolamento e di militarizzazione. Un governo dovrebbe pensare a quel che pace e processo di pace significano, e invitare tutti gli schieramenti a partecipare ai negoziati nella comprensione e fiducia reciproca.
Ma non solo. La gente dovrebbe appropriarsi del movimento sociale per la pace. Un esempio di questo potrebbe essere l’elaborazione di un programma edilizio a basso costo che non impegni il governo ma la gente cingalese che potrebbe istruire per esempio giovani Tamil ad un autonomo programma edilizio. Attraverso questo processo si potrebbe ottenere una migliore comprensione fra i giovani di due comunità divise e polarizzate, l’apprendistato artigiano, la prevenzione di preconcetti sui giovani profughi, con la dimostrazione che essi sono cittadini utili alla comunità, il consolidamento di sentimenti di fiducia fra comunità in un processo di pace, la costruzione di case per entrambe le comunità.

I bambini e giovani di oggi rappresentano il nostro futuro e non solo, possono e devono essere in grado di facilitare questo processo, ma devono anche essere in grado di salvaguardare in futuro le nostre conquiste. Le idee dei bambini meritano non solo di essere ascoltate, ma anche di essere messe in pratica. La loro partecipazione dovrebbe essere un diritto e non semplicemente un atto simbolico. Non bisognerebbe mai separare il progetto degli adulti da quello dei bambini e, tanto meno, non barattare i diritti dei bambini in cambio di vantaggi per gli adulti. Se questo avvenisse la precedenza sarebbe inevitabilmente data al primo, mentre il progetto per l’infanzia rimarrebbe semplice teoria. Le idee dei bambini meritano non solo di essere ascoltate ma anche di essere messe in pratica. La loro partecipazione dovrebbe essere un diritto reale e non semplicemente un atto simbolico.

Harendra de Silva
Professore universitario, medico pediatra,
già presidente dell’Autorità Nazionale Cingalese per la Protezione del Bambino

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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