Fra precarietà e merito

Per rendere possibile la valutazione del merito si sono tagliate tutte le risorse economiche sia necessarie al miglioramento della qualità dei servizi pubblici sia destinate alla valutazione e all’apprezzamento proprio del merito, determinando una riduzione reale delle retribuzioni.

Se per meritocrazia si vuole intendere la possibilità di valutare il merito del lavoro e di costruire una relazione con la gestione delle risorse umane, si presuppone che si creino le condizioni per un lavoro stabile e di qualità, in assenza del quale il termine “meritocrazia” assume un diverso ed ambiguo significato. E’ mia impressione che negli ultimi anni si è spesso predicato di meritocrazia come possibilità di distribuire le poche risorse economiche a disposizione, non valorizzando il lavoro, bensì valorizzando coloro ritenuti degni di merito; si è invece abbondantemente praticata la precarietà, facendola in qualche caso assurgere a palestra di vita: come se la precarietà fosse il frutto di una libera e consapevole scelta delle persone, a partire dalle giovani generazioni. A fine anni ’90, si è teorizzata la flessibilità del lavoro, l’avversione dei giovani verso l’occupazione a tempo indeterminato, fino a teorizzare la scomparsa del lavoro e la conseguente “liberazione dal lavoro”. Da questo assunto credo sia partita anche la relazione con la meritocrazia, al di là delle contingenze finanziarie. Ma flessibilità non può divenire precarietà. Se così fosse, verrebbe colpita la cultura del lavoro, la possibilità per le giovani generazioni di costruire il proprio futuro, la possibilità per il paese di continuare ad avere un sistema pubblico di welfare (sanità, assistenza, servizi essenziali). Nell’ultimo anno si è assistito ad un’esaltazione di meritocrazia e di precarietà. Quanto sta avvenendo nel sistema delle pubbliche amministrazioni è sintomatico. Per rendere possibile la valutazione del merito del lavoro, si sono tagliate tutte le risorse economiche fino ad oggi destinate proprio alla valutazione e all’apprezzamento del merito, determinando una riduzione reale delle retribuzioni. Si intende sottrarre alla contrattazione sindacale la parte retributiva con la quale apprezzare il merito, riconsegnandola al datore di lavoro e allo stesso Ministro della Pubblica Amministrazione. Si sono tagliate tutte le risorse economiche necessarie per estendere e migliorare la qualità dei servizi pubblici, entro la quale la “meritocrazia del lavoro” ha un senso. Si rischia di decretare infine il licenziamento di tutti i lavoratori “precari” che a vario titolo operano nelle pubbliche amministrazioni da molti anni, attraverso la cancellazione delle norme selettive introdotte nella legislatura precedente che portavano alla stabilizzazione del lavoro per tanti giovani lavoratori. Nel sistema pubblico, questa scelta porterebbe alla chiusura di servizi fondamentali per la sicurezza del paese, per la qualità della vita, per la fruizione dei servizi indispensabili che la Costituzione garantisce in modo universale per tutta la comunità del nostro paese. Se meritocrazia e precarietà fossero, come il Governo intende fare, coniugate in tal modo, rappresenterebbero la fine dell’idea del lavoro regolato, stabile, di qualità. Ma da dove trae origine tanta foga distruttrice? Dall’inesistenza di accordi sindacali che indicano quale strumentazione adottare per la valutazione e l’apprezzamento del merito? Dalla volontà di non cogliere quelle necessarie forme di flessibilità nell’accesso al lavoro con le quali coniugare sia il diritto al lavoro, sia il diritto ad avere servizi pubblici di qualità e stabili, non soggetti a precarietà? La risposta ai due interrogativi è totalmente negativa. Nei contratti collettivi di tutti i settori pubblici, il tema della valutazione è ampiamente presente. Non è però possibile valutare il lavoro ed il merito senza che i fruitori dei servizi possano valutare come funziona e qual è il l’efficienza ed efficacia di un servizio pubblico. La valutazione del lavoro è cioè parte di un processo organizzativo e di investimenti strumentali, finanziari e formativi, con i quali si possa migliorare la fornitura dei servizi. Sganciare questi termini è fuorviante. Vogliamo pensare a quanti “predicatori” di meritocrazia esistono fra i tanti “alti dirigenti” delle istituzioni finanziarie oggi in crisi? O come si siano esaltate pratiche meritocratiche agite da chi ha portato importanti istituzioni bancarie nella situazione che oggi conosciamo? Esiste quindi un punto di profonda diversità. Il lavoro migliora se migliora il servizio pubblico e il merito del lavoro è parte della valutazione sulla soddisfazione di chi fruisce dei servizi che le amministrazioni debbono garantire. Per questo, soprattutto nelle amministrazioni pubbliche, serve sempre tenere in conto chi valuta, come valuta, cosa investe, quali sono i risultati. L’apprezzamento del merito del lavoro è parte di un processo finalizzato a migliorare l’offerta di servizi e collegarla alla domanda di cittadini ed imprese. Non una pratica di autoreferenzialità da parte del datore di lavoro. Per questo c’è bisogno di un sistema di relazioni sindacali e della partecipazione del lavoro. Ma se un’azienda pubblica non è in grado di soddisfare la domanda di beni che proviene dall’esterno, solitamente si riorganizza e, se necessario, cambia i manager. Qui, invece, si vuole far passare un’altra idea: quella di un’amministrazione il cui livello di gradimento è basso a causa del lavoratore che non si fa valutare e del sindacato che lo impedisce. Un paradosso! In realtà, questo paradosso nasconde la pesante scure che si è abbattuta sui conti delle amministrazioni pubbliche e sulle risorse per il lavoro pubblico. Anche sul lavoro dei giovani ci si sta muovendo nello stesso modo. In nome del rigore, si procede al licenziamento di almeno 120.000 persone e alla chiusura di importanti e vitali servizi pubblici nella ricerca, nelle Università, nella sanità, negli enti locali e nella Scuola. Si taglia occupazione, si tagliano i servizi pubblici, si taglia il futuro del paese.

Michele Gentile
Responsabile del dipartimento Settori Pubblici della Cgil Nazionale

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi