Meritocrazia, usata e spesso abusata

“Sistema sociale in cui la distribuzione di riconoscimenti e compensi (per es. nella scuola, nel lavoro) è commisurata al merito individuale”.

Ecco come il Dizionario Treccani definisce il termine meritocrazia. Parola molto usata e, spesso, abusata. Innanzitutto è importante sottolineare che l’uso del termine nasconde spesso secondi fini: meritocrazia alternativa al livellamento, all’egualitarismo, all’appiattimento. Termini questi che ispirano pensieri negativi e, di conseguenza, esaltanti il loro contrario, la meritocrazia appunto. Ma è tutto cosi semplice? E’ cosi elementare contrapporre la meritocrazia ad altri sistemi di valutazione. Vi sono strumenti certi di misurazione dl merito? Sono, soprattutto, oggettivi , cioè trasparenti, equilibrati, non strumentali questi stessi strumenti? Come si misura il “merito”? E’applicabile in maniera indistinta su tutti i soggetti destinatari di questa valutazione? No, non è così semplice. Prendiamo uno dei terreni in cui la “valutazione” è strutturale al sistema: la scuola, la formazione. Due studenti che arrivano allo stesso risultato partendo da un bagaglio di conoscenze, informazioni, formazione derivante da un retroterra sociale, culturale, familiare molto differenziato vanno valutati in base al semplice riscontro del risultato finale o si deve tener conto di tutto ciò? Premiare il merito può significare riconoscere lo sforzo compiuto per raggiungere quel determinato risultato? E nel campo del lavoro chi e come si valuta un determinato risultato? Tutte le mansioni, in sistema di lavoro moderno e non legato, ad esempio, ad una catena di montaggio con tanto di “contatore”, sono facilmente assoggettabili a quei criteri oggettivi di cui accennavo sopra? Soprattutto se, ed è ormai rilevante se non prevalente, la produzione di materie, idee, progetti, servizi è legato ad un lavoro di gruppo, con più passaggi tra persone, e non strettamente individuale. Inoltre: c’è il rischio di “premiare” il soggetto che termina un’attività frutto, invece, di più collaborazioni, magari meno visibili o che, indirettamente, contribuiscono a costruire un clima, un sistema, un ambiente favorevole ad un incremento, quantitativo e qualitativo della “produzione”? Ed ancora il tema, forse, più spinoso: chi ha in mano la leva con cui attribuire “riconoscimenti” potrebbe, o no, considerare “meritevole” di premio colui, colei, coloro che tra le proprie caratteristiche positive abbiano, appunto, il merito di non”disturbare”? Potrebbe essere condizione essenziale per avere il “riconoscimento” non rivendicare diritti, dignità, libertà di associazione? E’, in sostanza, possibile far incontrare diritti, tutele e merito? E’ possibile che a tutto ciò si associ, anche, il doveroso riconoscimento del tema del “bisogno”?

Ho volutamente usato il punto interrogativo in coda a queste considerazioni perché su questi temi si dovrebbe, almeno, avere un atteggiamento non dogmatico, equilibrato, non superficiale. Il tema di come si riconosce, dal punto di vista retributivo, professionale, materiale e morale lo sforzo e il contributo alla crescita della produzione, della qualità di un servizio reso, è centrale soprattutto in un paese che , più di altri, cresce poco in termini di creazione di ricchezza. Ma è altrettanto vero che in questi anni non singole persone, ma un’intera fascia di popolazione ha visto “decrescere” il proprio reddito causa una iniqua distribuzione della ricchezza prodotta. Iniqua perché altri, invece, in questi anni hanno visto il proprio tenore di vita crescere grazie alla possibilità di flessibilizzare le proprie entrate; da una parte coloro che vivono di reddito fisso, circa 16 milioni di persone, dall’altra il lavoro indipendente, autonomo, e imprenditoriale. Come dire che c’è, anche, il tema del “merito collettivo” e di come si riconosce al mondo del lavoro dipendente il giusto. E ciò potrà avvenire con un diverso uso della leva con cui, in tutti i paesi moderni, democratici e ad economia di mercato, uno Stato equilibra le diseguaglianze sociali, le differenze territoriali: il fisco, le tasse. Lo può e deve fare sia sul versante delle entrate (come si regola il prelievo) sia su quello delle uscite ( come si distribuiscono gli “aiuti”). Tenendo conto, ovviamente, della deprimente anomalia di un Paese con un tasso di evasione al limite della decenza e, nel quale, il 70% delle entrate proviene dal reddito fisso (salari e pensioni). Ma vi è un’altra grande “leva” con cui si dovrebbe e potrebbe contribuire, nel contempo, a valorizzare il lavoro in generale, il singolo lavoratore in particolare: il contratto. Lo strumento con cui non solo si deve regolare l’ equilibrio tra diritti e doveri (da ricercare sempre), il rapporto tra impresa e lavoratore, tra sistema di imprese e coloro che vi lavorano ma, anche e sempre più, valorizzare, appunto, coloro che meritano. In questo auspicabile quadro di certezze, in un processo di rinnovamento necessario di questo strumento antico ma sempre attuale come il contratto di lavoro , si può trovare la risposta al tema del merito, del suo essere elemento di progresso e non di discriminazione. Una contrattazione che unifichi il mondo del lavoro sulle tutele di carattere generale ma sappia nelle specificità territoriali, aziendali, di settore accettare la sfida dalla valorizzazione anche delle singole persone. Sempre che, come dice il Dizionario Treccani, la meritocrazia sia alternativa ai favoritismi o, peggio, al nepotismo.

Guglielmo Loy
Segreteria Nazionale UIL

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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