La società dell’apparire e le insicurezze dell’individuo in formazione

Ingrid Bersenda

In un mondo dove tutto è in vendita e spesso filtrato da uno schermo, è utile riportare l’attenzione sugli effetti che certe sostanze provocano sull’organismo

Anche se solamente da alcuni anni, sentiamo parlare in maniera esponenziale del fenomeno doping. Il vocabolo e il suo utilizzo hanno origini antiche. Il nome deriva dal termine sudafricano che indicava una bevanda usata come stimolante nelle danze legate a specifiche cerimonie rituali. Unicamente oggi, grazie alla risonanza del fenomeno sui media, alle nuove leggi che regolamentano il sistema delle sanzioni ed ai sempre più temuti controlli antidoping, se ne parla ad ampio raggio.
Se, inizialmente, le sostanze dopanti venivano utilizzate sui cavalli per migliorarne le prestazioni nelle gare, attualmente il doping è molto diffuso ed è presente in molti sport nei quali i protagonisti delle vittorie e delle sconfitte non sono animali, ma esseri umani. Come tutti sappiamo, infatti, il doping ha lo scopo di migliorare in maniera illegale le prestazioni sportive attraverso quelle che secondo la WADA (Agenzia mondiale antidoping) vengono considerate sostanze o tecniche dopanti (naturali e non naturali). Negli ultimi decenni sono diventati famosi i casi di campioni risultati positivi alle sostanze dopanti (Ben Johnson, Alex Schwazer, Diego Maradona) o di campioni deceduti in conseguenza dell’utilizzo di metodi dopanti (Tommy Simpson al Tour de France). Minore risalto, invece, sembrano avere le evoluzioni esistenziali post-doping degli atleti squalificati. Al di là del noto epilogo tragico della carriera e della vita di Marco Pantani, infatti, vi sono parecchi campioni i quali, dopo essere stati spinti ai massimi livelli prestazionali ed aver affrontato picchi di stress psicofisico molto prolungati, vengono abbandonati, spesso in tutti i sensi, da un meccanismo dello “star system” che ha un radicamento sempre più consolidato nella nostra società.
Spesso, le persone vengono spinte dal sistema a doparsi. Alcuni esempi evidenziano l’origine del problema nei sistemi familiari in cui il valore dei soldi e dell’apparenza ha la meglio sul principio del benessere e della condivisione delle emozioni, dello stare insieme e dell’imparare allo scopo di apprendere nuove competenze dal punto di vista sociale.
In una prospettiva di analisi condivisa da numerosi autori, si sottolinea come il sistema sociale porti oggi i giovani a maturare un’immagine distorta della realtà dove si è vincitori barando, giocando sporco e guadagnando così tanti soldi da permettersi una vita senza limiti. Ne sono triste esempio, a tale proposito, i protagonisti delle cronache dei mass media, esaltati davanti al grande pubblico anche da una classe di commentatori e giornalisti nonostante comportamenti poco edificanti. Il modello che traspare ai giovani è la disponibilità di una vita agiata, piena di privilegi e da godere senza difficoltà e senza limitazioni di sorta.
Per i giovani d’oggi, pertanto, è veramente difficile non rimanere attratti dagli escamotage per vincere subito e ottenere fama e soldi. L’obiettivo principale della vita sembra essere il potersi permettere ciò che si vuole sostituendo alla ricerca della sostanza nelle relazioni sociali la forma, il migliore apparire al posto del benessere.
Il percorso di massimizzazione dei risultati posto alla base del doping trova un preciso fondamento nella degenerazione delle dinamiche sociali in cui, allo scopo di aumentare sistematicamente i profitti, il valore di ogni singolo essere umano è degradato a quello di semplice pedina da usare, e sacrificare, per raggiungere lo scopo. In tale gioco al massacro, i giocatori vengono istruiti a combattere senza esclusione di colpi per diventare i migliori e battere l’avversario a tutti i costi.
Dalla consapevolezza che il fenomeno del doping è troppo esteso ed economicamente troppo importante per venir bloccato in toto, è nato il progetto di prevenzione e contrasto. L’attività di informazione e disseminazione svolta da noi giovani psicologi era infatti finalizzata a sensibilizzare i ragazzi, chiamati ad essere il nostro futuro, sulla realtà in cui vivono e sulle conseguenze che l’uso del doping provoca non soltanto dal punto di vista fisico (con conseguenze irreversibili a livello bio-chimico), ma anche a livello psichico (con maggiore probabilità di sviluppo di disturbi mentali e altro).
Il progetto è stato proposto ai ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado di varie parti d’Italia. Personalmente, mi sono occupata della formazione presso il Liceo scientifico Oberdan di Trieste. I ragazzi sono stati coinvolti attraverso attività di gruppo con parti di attività formative frontali e parti esperienziali. Sono stati proposti dei video target di testimonianze di campioni dopati che ne hanno, più o meno consapevolmente, subìto le conseguenze a breve e lungo termine. Di particolare interesse sono state le informazioni veicolate sul tema delle possibili tecniche alternative al doping. Tra queste, lo ricordiamo, alcune di derivazione psicologica come il mental training o altre applicazioni utili per migliorare la propria autostima e il proprio benessere psico-fisico.
Lo sviluppo successivo a questo progetto dovrà essere sicuramente quello di coinvolgere sempre più famiglie di ragazzini fin dalla tenera età per renderli consapevoli della necessità di accrescere le proprie sicurezze psicologiche profonde e il valore della legalità e dell’onesta nella costruzione delle relazioni sociali. Il ruolo dei sistemi educativi sarà, pertanto, quello di stimolare lo sviluppo consapevole dei ragazzi e permettere loro, in tal modo, di poter dire no al doping in maniera decisa e determinata.

Ingrid Bersenda
Psicologa, collaboratrice di Auxilia Onlus per il progetto

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