Alla ricerca di punti di riferimento

Marcelo Azeredo Leone Lino Rodrigo

I ragazzi si muovono su un doppio binario segnato da una parte dalla svalutazione del problema e dall’altra dalla tipica curiosità giovanile. Tutti hanno però in comune la ricerca di modelli. Per affrontare la discussione è utile porsi in maniera non punitiva e pronta all’ascolto

Nelle attività di disseminazione previste dal progetto, ho avuto la possibilità di portare a termine i miei interventi in due ambienti distinti dell’area romana, uno scolastico (Liceo Pacinotti-Archimede) ed uno dilettantistico-sportivo (Palestra Olympia).
Di regola, ho lavorato con gruppi di 20/25 persone con interventi della durata media di due ore. Posso affermare che partecipare al progetto è stata un’esperienza per me molto gratificante.
Innanzitutto, ho lavorato con gruppi, situazione che trovo molto stimolante. Mi riferisco all’importanza di cogliere il clima e le dinamiche esistenti in un gruppo e di modulare i propri interventi (tono di voce, modalità e tempi di esposizione) di conseguenza, allo scopo di comunicare e formare con efficacia.
È stato anche interessante affrontare il tema del doping, da puro appassionato di sport (oltre che da professionista). La mia percezione è che il tema, com’è anche logico che sia, suscitasse reazioni molto ambigue tra i ragazzi in età adolescenziale: da un lato, il rifiuto, la svalutazione del problema, dall’altro la curiosità di capirne di più. Durante alcuni incontri, è emersa con chiarezza questa diversità di posizioni. Il mio compito è stato quello di far dialogare gli intervenienti e facilitare la sintesi. Per un adolescente, a maggior ragione, questa modalità dialogante è profondamente diversa dall’imporre una linea di pensiero senza argomentarla: in quanto psicoterapeuta e analista transazionale, un punto di attenzione è stato quello di non entrare in un ruolo genitoriale punitivo.
Durante gli incontri ho potuto constatare come sia forte nei ragazzi la ricerca di miti e modelli, anche tra gli sportivi. Idealizzando queste persone ed imitandole traggono un senso di forza e autostima. Per questo motivo è importante che i modelli siano positivi e corretti: il vero atleta non sceglie “scorciatoie” e vive lo sport con rispetto per sé e per l’altro.
Da Portoghese, non posso non pensare ad Eusebio da Silva Ferreira, vecchia gloria del Benfica e del Portogallo, definito “Pantera Nera” e spentosi poco tempo fa. Persone del suo calibro, a livello umano e sportivo, rappresentano modelli dotati di forza attrattiva per la loro grandezza, visibile non solo nelle vittorie, ma anche nelle sconfitte (famose le sue lacrime dopo la sconfitta nella semifinale di Coppa del Mondo contro l’Inghilterra del 1966). Un atleta che si dopa, invece, ha l’illusione di poter vincere sempre e in modo facile. Un inganno che si paga a caro prezzo.
Spero, nelle poche ore in cui ci siamo incontrati, di aver trasmesso ai giovani l’importanza dell’etica nello sport per una vita più salutare e completa.

Marcelo Azeredo Leone Lino Rodrigo
Psicologo, collaboratore di Auxilia Onlus per il progetto

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