La legislazione sanitaria

Martina Masin

Un viaggio tra fonti internazionali e diritto alla salute. La spesa sanitaria pubblica dovrebbe essere quanto destinato alla salute dei cittadini in termini di prestazioni sanitarie, ma, in realtà, secondo i dati ISTAT, copre solamente il 7% del PIL.

Sono necessari dei tagli alla spesa pubblica. La Sanità costa enormemente allo Stato. Ci sono delle spese eccessive.
Oggi come oggi, parlare di Sanità può apparire assolutamente scontato. Ne scrivono tutti i giornali, se ne discute impropriamente nella maggior parte dei talk show televisivi o alla radio come fosse un qualcosa di dominio pubblico, riguardante tutti. Si tratta di un tema, di un problema, che riguarda tutti.
Noi studenti di Relazioni Internazionali e Diritti Umani veniamo quotidianamente sottoposti a tematiche critiche e abbiamo l’immensa fortuna di poterle osservare, analizzare e valutare con strumenti differenti da quelli proposti comunemente dai mezzi di informazione. Tramite lo studio dei principali strumenti normativi internazionali, possiamo capire come nulla sia scontato ed ovvio, e, soprattutto, quanto tutto quello che dovrebbe esserlo, per la sua portata fondamentale, non lo sia affatto, a causa di interessi distorti. Con l’occasione, avendo l’opportunità di trattare di una tematica calda come quella della Sanità, e dei tagli a cui questa è soggetta in modo sempre più urgente, e, talvolta, sconsiderato, vorrei focalizzare l’attenzione su questi fantomatici strumenti, cosi spesso lontani dalla gente, ma, in realtà, vicinissimi alle persone, essendo nati per tutelarle. In essi emerge chiaramente un diritto fondamentale, il diritto alla salute, preso sempre meno in considerazione, ma sempre più necessario, in un’ottica di protezione da parte delle istituzioni nei confronti dei cittadini e degli individui che esse rappresentano.
Molte Carte internazionali e regionali, Trattati, Convenzioni e Dichiarazioni trattano, infatti, dei temi riguardanti la Sanità. Soprattutto, recano chiari riferimenti al diritto alla salute. La Carta delle Nazioni Unite (San Francisco, 26 giugno 1945) per prima contiene al suo interno dei riferimenti precisi alla Sanità e al diritto alla salute. In particolare, l’art. 13 recita che “L’Assemblea generale intraprende studi e fa raccomandazioni, tra le altre cose, allo scopo di sviluppare la cooperazione internazionale nei campi economico, sociale, culturale, educativo e della Sanità pubblica”. Interessante l’art. 55 della suddetta Carta, nel quale viene sancito che “Al fine di creare le condizioni di stabilità e di benessere che sono necessarie per avere rapporti pacifici ed amichevoli tra le Nazioni, basati sul rispetto del principio dell’eguaglianza dei diritti o delle autodecisioni dei popoli, le Nazioni Unite promuoveranno la soluzione dei problemi internazionali economici, sociali, sanitari e simili e la collaborazione internazionale culturale ed educativa”. Significativo, al riguardo, è l’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (New York, 9 dicembre 1948): inizia affermando che “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute ed il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed infine ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia”. La Convenzione internazionale sui Diritti economici, sociali e culturali (New York, 16 dicembre 1966) stabilisce, all’art. 12, che “Gli Stati parte di tale patto riconoscano il diritto di ogni individuo di godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire. Gli stessi Stati devono, per assicurare la piena attuazione di tale diritto, prendere tutte le misure necessarie per assicurare la diminuzione della mortalità infantile, il miglioramento di tutti gli aspetti dell’igiene ambientale e industriale, la prevenzione e la cura delle malattie epidemiche e la creazione di condizioni che assicurino a tutti i servizi medici e di assistenza medica in caso di malattia”. In questo contesto, un ruolo significativo è assunto anche dalla Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i Diritti Umani (19 ottobre 2005): all’art. 15 asserisce che “I benefici derivanti da qualunque ricerca scientifica e dalle sue applicazioni dovrebbero essere condivisi con l’intera società e con la comunità internazionale, in particolare con i Paesi in via di sviluppo. Questo tramite assistenza speciale e sostenibile, e relativo riconoscimento, alle persone e ai gruppi che hanno preso parte alla ricerca; accesso ad un trattamento sanitario di qualità; fornitura di nuove tecniche diagnostiche e terapeutiche, o dei prodotti derivati dalla ricerca; sostegno per i servizi sanitari; accesso alla conoscenza scientifica e tecnologica; agevolazioni per la creazione di istituzioni per la ricerca”.
A livello regionale, l’Europa può vantare numerosi strumenti che dettano indicazioni ed intenti su Sanità e diritto alla salute. Tra questi, è significativa la Carta Sociale Europea del 1961, riveduta nel 1996: all’art. 11 afferma che “Ogni persona ha diritto di usufruire di tutte le misure che le consentano di godere del migliore stato di salute ottenibile e che per assicurare l’effettivo esercizio del diritto alla protezione della salute, le parti s’impegnano ad adottare sia direttamente, sia in cooperazione con le organizzazioni pubbliche e private, adeguate misure volte ad eliminare, per quanto possibile, le cause di una salute deficitaria, a prevedere consultori e servizi d’istruzione riguardo al miglioramento della salute ed allo sviluppo del senso di responsabilità individuale in materia di salute ed infine a prevenire, per quanto possibile, le malattie epidemiche, endemiche e di altra natura, nonché gli infortuni”. Anche il Trattato sull’Unione Europea di Maastricht del 1993 contiene riferimenti alla materia, come il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Agli artt. 6, 9, 153, 169, 191 impegna l’Unione Europea a sostenere, promuovere e coordinare gli Stati parte in politiche volte a tutelare la salute tramite politiche sanitarie, lavorative e ambientali. In particolare, la prima parte dell’art. 168 afferma che “Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana… l’azione dell’Unione, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della Sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale”. Altro importante strumento è la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea: all’art. 35 afferma che “Ogni individuo ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali… nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana”.
Ma passiamo, ora, all’Italia, a ciò che ci è più vicino, che ci tocca dall’interno ed in modo diretto. A livello nazionale, lo strumento normativo più importante è, risaputamente, la Costituzione. Al suo interno, essa contiene indicazioni significative a proposito delle politiche che lo Stato italiano deve adottare in materia di Sanità nel rispetto del diritto alla salute dei suoi cittadini. Il primo comma dell’art. 32, inserito nella parte inerente i rapposti etico-sociali, afferma, infatti, che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Questo precetto deve essere letto assieme agli artt. 2, 13 e 38. L’art. 2 asserisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”; l’art. 38 prevede misure assistenziali a favore di quelle categorie di individui toccate da maggiore criticità come inabili e immigrati; l’art. 13, infine, contiene indicazioni generali sulla tutela delle libertà personali, toccando anche le tematiche sanitarie.
Arrivati a questo punto, non ci resta che osservare come si siano comportate le varie legislature italiane nell’ambito delle politiche sanitarie, con una veloce panoramica sulle principali riforme.
Sicuramente significativa è la legge n. 833 del 1978, che abolisce definitivamente il vecchio sistema sanitario di stampo mutualistico per istituire il Servizio Sanitario Nazionale, definito come “complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzioni di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”. Il SSN arriva ad una visione della Sanità come servizio universale, egualitario e territoriale. Con la parallela istituzione del Fondo Sanitario Nazionale, ripartito dalle Regioni tra le nuove ULS, si intende organizzare e sviluppare un sistema che copra tutti gli ambiti, dalla prevenzione alla cura, e per tutti i cittadini allo stesso modo. La successiva svolta si realizza negli anni ‘90. Domina una forte tensione rivolta al decentramento delle strutture a favore di nuovi modelli organizzativi, in larga parte regionali. In questi anni vengono attuate significative modifiche a livello amministrativo e politico. Tra gli obiettivi principali emergono prepotentemente il miglioramento del servizio sanitario e, soprattutto, il contenimento e la riduzione dei costi. Due Decreti Legislativi diventano protagonisti, il D. Lgs. n. 502/92 e il D. Lgs. n. 517/93. Apportano modifiche volte a favorire la concorrenza amministrativa degli enti come metodo di riduzione dei costi e potenziano in modo significativo il ruolo delle Regioni: da questo momento, esse divengono protagoniste nell’organizzazione e nella gestione dei servizi e della spesa. Importante l’istituzione, da parte del D. Lgs. n. 502/92, dei cosiddetti LEA (livelli essenziali di assistenza), garantiti dal SSN e parzialmente gratuiti, strumenti di salvaguardia dell’universalità del servizio sanitario tramite i quali viene mantenuta la salvaguardia dei diritti relativi alla salute per ogni cittadino. Altra importante riforma è quella sostenuta dal D. Lgs. n. 299/99, la cosiddetta “Riforma Bindi”. La fonte stabilisce una modifica del sistema sanitario: prevede l’attuazione di una collaborazione tra Governo centrale ed enti locali per definire, stabilire e realizzare in concomitanza il piano sanitario. La Riforma statuisce, inoltre, i distretti, articolazioni territoriali di assistenza. Negli ultimi anni ci sono stati numerosi tentativi di nuove riforme del sistema sanitario: ad esempio, la Bossi-Fini, che seguiva lo stampo federalistico di tutta la politica del Governo in carica proponendo un ulteriore trasferimento di competenze alle Regioni tramite modifica dell’art. 117 della Costituzione.
Tutte le riforme attuate dai vari Governi succedutisi nel tempo hanno avuto come obiettivo fondante, oltre al miglioramento del servizio sanitario e delle politiche assistenziali, quello di ridurre la spesa. Vorrei ora chiarirne il concetto, oltremodo annebbiato. Secondo il Sistema europeo dei conti nazionali ed il Sistema europeo delle statistiche della protezione sociale, rappresenta “l’insieme delle operazioni correnti effettuate dalle Amministrazioni pubbliche operanti nel settore, utilizzando direttamente proprie strutture produttive o acquistando dalle istituzioni private beni e servizi da erogare ai cittadini in regime di convenzione”. La spesa sanitaria pubblica è, quindi, quanto viene destinato alla salute dei cittadini in termini di prestazioni sanitarie.
In realtà, secondo i dati ISTAT, la spesa sanitaria pubblica copre solamente il 7% del PIL ed ammonta, nel 2011, a circa 112 miliardi di euro, pari a 1.842 euro all’anno per ogni abitante. Questi livelli variano sensibilmente a seconda dei servizi erogati e, soprattutto, a livello territoriale, in quanto sono presenti notevoli differenze tra la spesa sanitaria delle varie Regioni.
Solo il 7%. Perchè? Sempre secondo l’ISTAT, la spesa sanitaria pubblica in Italia risulta notevolmente inferiore rispetto a quella di numerosi altri Paesi europei. In Italia sono stati spesi, nel 2010, una media di 2.359 dollari per abitante. A parità di potere d’acquisto, in Finlandia ne sono stati spesi 2.422, nel Regno Unito 2.857, in Francia e Germania più di 3.000. Nei Paesi Bassi, infine, 4.050.
A mio parere, è realmente necessario domandarsi se la Sanità pubblica sia realmente quel buco nero dove sembra vengano risucchiate tutte le pubbliche finanze e se sia veramente necessario utilizzarne i fondi per sanare l’eccessiva spesa pubblica. Dopo aver osservato come si pongono le principali fonti normative riguardo al diritto alla salute e vedendo, in seguito, come si comportano gli altri Stati, credo che almeno una buona parte della banalità con cui queste tematiche vengono abitualmente discusse si sia persa e che tutto ciò si ponga ai nostri occhi almeno parzialmente in modo diverso.

Martina Masin
Università degli Studi di Padova, Facoltà di Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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