Il pericolo del terremoto con liquefazione

Fulco Lanchester

La scadenza dell’elezione del Capo dello Stato rafforza il clima di incertezza di un sistema che ha vissuto negli ultimi anni sulla tenuta del pilastro Quirinale.

Una premessa.
Quella del primo semestre 2013 rischia di diventare la più importante tornata elettorale italiana degli ultimi sessant’anni. Al di là della novità del Conclave che investe secoli, se non millenni, di storia con la novità di un Pontefice che rinunzia al suo ufficio (can. 332 cdc) in una speciale monarchia elettiva come quella d’Oltretevere, oltre alle elezioni per le due Camere e per due regioni importanti come Lombardia e Lazio, nelle prossime settimane si avrà anche l’elezione del Capo dello Stato e poi quella del sindaco di Roma. Un simile programma si inserisce in una situazione di vera e propria liquefazione del sistema politico – partitico e prefigura un vero e proprio terremoto, derivante anche dalla crisi economica e sociale che affligge in maniera particolare gli ordinamenti dell’area meridionale europea.

Il terremoto con liquefazione.
Dopo le elezioni amministrative dell’anno scorso, si avverte la sensazione che il sistema politico – costituzionale italiano si trovi in una situazione simile a quella dell’Emilia nel maggio del 2012: di fronte ad un terremoto con liquefazione del terreno. Dicono i geologi che, perché si abbia un simile fenomeno, è necessaria la presenza di terreni sabbiosi immersi in acqua, come nel caso della Pianura Padana, attraversata dagli alvei di paleofiumi, e che si verifichi una scossa sismica capace di provocare un forte scuotimento. Un simile evento non può avvenire su terreni stabili (argillosi o rocciosi) ma, anche per i terreni sabbiosi, è necessaria la giusta tipologia di sabbia perché la liquefazione abbia luogo con effetti devastanti sulla stabilità degli edifici.
La metafora geologica può essere considerata azzeccata per la situazione italiana, se si tiene conto che la “scossa” che ha investito il mondo industriale avanzato ha trovato un terreno sociale e politico oramai disfatto dal mancato riallineamento e solidificazione del sistema partitico della seconda fase della storia costituzionale repubblicana, successiva alla cesura del 1992 – 1993 (Tangentopoli).
Di terremoti elettorali, se ne erano già visti in Italia diversi, e con effetti differenti, ma, di terremoti con liquefazione della struttura portante, non se ne erano mai verificati. Nel 1975, le elezioni regionali ed amministrative del 15 giugno fornirono, infatti, risultati che, nel 1976, vennero definiti da Celso Ghini, mitico esperto elettorale del PCI, proprio come un terremoto. La bipolarizzazione DC – PCI delle consultazioni legislative del 1976 sembrò dare ragione alle previsioni di un bipartitismo che avrebbe potuto divenire perfetto. La peculiarità italiana si confermò, invece, con il Governo Andreotti e nell’anomalia della unità nazionale. Nonostante l’emergenza terroristica, il sistema dei partiti riuscì però a tenere, perché il terreno sociale e politico era sostanzialmente saldo. Lo dimostrò lo stesso referendum radicale del 1978 contro il finanziamento pubblico dei partiti, respinto con una maggioranza di circa il 60% dei voti.
Altro tipo di terremoto fu, invece, quello che colpì il sistema politico – costituzionale nel 1993. Tangentopoli costituì il primo esempio di terremoto con liquefazione, che sembra oggi ripresentarsi in maniera più grave. Tuttavia, allora la novità fu rappresentata da “Forza Italia” che riuscì a strutturare il polo moderato attraverso la connessione della Lega a nord e di Alleanza nazionale al Sud attraverso i mezzi di comunicazione di massa di Mediaset. Quella novità doveva preludere alla formazione di uno stabile partito moderato di massa, capace di strutturarsi nel Paese e di contrapporsi ad una coalizione di centro sinistra che non aveva ancora superato tutte le contraddizioni della trasformazione della ragione sociale del PCI.

Il riallineamento mancato.
L’auspicato riallineamento e la stabilizzazione non sono avvenuti per i difetti del processo di transizione, in particolare per la permanenza di un bicameralismo perfetto frutto della persistente sfiducia reciproca dei contendenti. I circa vent’anni successivi al 1993 sono stati la certificazione dell’incapacità del ceto politico e della classe dirigente di innovare razionalmente l’ordinamento. D’altro canto, lo stato di crisi è confermato dal fatto che, nel ventennio citato, di fronte ad una diminuzione media del 7/8% del PIL pro capite nei Paesi industriali avanzati, il sistema Italia ha visto un decremento dello stesso del 19%.
La gravità della situazione che si presenta quale preludio di un’ulteriore crisi di regime, la quale potrebbe divenire anche una crisi societaria, è stata attestata, alle spalle del sostanziale commissariamento del sistema con le dimissioni del governo Berlusconi e l’avvento del governo “tecnico” di Monti nel novembre del 2011, dallo smembramento delle formazioni di maggioranza, dalle difficoltà dello stesso Pd, dalla “salita” in campo di Mario Monti, ma, soprattutto, dall’ingrossarsi dell’onda di piena del Movimento 5 stelle.
L’elettorato italiano si è sfarinato. È crollato il voto di appartenenza, è aumentato quello di opinione, si è mantenuto quello di scambio a livello locale e regionale mentre è aumentato a dismisura il voto di protesta in un terreno sempre più sabbioso. In una simile situazione, il bipolarismo coalizionale polarizzato che ha caratterizzato le elezioni dal 1994 al 2008 (con l’utilizzazione di regole elettorali più vicine a quelle delle nuove Democrazie dell’Europa centro-orientale ed orientale che a quelle degli ordinamenti di Democrazia stabilizzata) ha prodotto un’ondata di protesta che favorisce la centrifugazione sistemica.

La campagna elettorale del 2013.
Dopo lo scioglimento “anticipato” (invero di poco) delle Camere, la sensazione del terremoto si è rafforzata. In primo luogo perché l’offerta partitica si è frammentata, mentre il personale parlamentare ricandidato è sceso ai minimi termini sulla base di scelte divergenti. Nel 2008, circa l’80% dei parlamentari eletti nel 2006 venne ricandidato. Nella tornata del 2013, il PD ha ripresentato solo il 19% dei suoi parlamentari, mentre il PDL circa il 16%. Le altre formazioni presenti in Parlamento sono state ancora più selettive, ma per tutti è stata sostanziale la cooptazione dall’alto. Ciò significa che le nuove Camere saranno piene di volti nuovi, mentre il previsto successo del movimento di Grillo costituirà la vera novità.
La scelta sarà ancora viziata da un sistema elettorale che impedisce una scelta trasparente e stabile in tutta la filiera, dalla scelta infrapartitica a quella interpartitica. L’incertezza sui risultati del Senato, che richiederebbero formalmente una convergenza del centro sinistra con la formazione di Monti, copre la tendenza del ceto politico a schiacciarsi sui programmi europei, nella consapevolezza della debolezza italiana e della gravità della situazione. Ciò rafforza la distorcente sensazione dell’inutilità della scelta e la sua imposizione dall’esterno, con effetti delegittimanti per l’ordinamento democratico.
In una simile situazione non è chiaro cosa verrà fuori dalle urne, per quanto riguarda la squadra ed il leader della futura formazione di Governo. In più, la scadenza dell’elezione del Capo dello Stato rafforza il clima di incertezza di un sistema che ha vissuto negli ultimi anni sulla tenuta del pilastro Quirinale.

Conclusioni.
La liquefazione del sistema politico – partitico e le incertezze costituzionali possono, dunque, produrre quella situazione di crisi dei sottosistemi politico, sociale ed economico, capace di preludere ad una crisi societaria. Al fine di evitare un simile accadimento di tipo weimariano, c’è, invece, da auspicare il profilarsi di una solida maggioranza e di una convergenza efficiente di tutti i partner su un programma di sacrifici proficui per la ripresa economica e di interventi decisivi per modificare le regole istituzionali del sistema.
Il nuovo Parlamento dovrebbe, in particolare, cessare il ripetersi del solito balletto sul tema delle riforme istituzionali intervenendo sulla normativa sul finanziamento/rimborso, introducendo opportune leggi sui partiti, sul sistema elettorale in senso stretto e sul bicameralismo perfetto.
È questo un auspicio che si ritrova ad ogni scadenza elettorale, ma che oggi – di fronte al pericolo ellenico – diventa un imperativo per evitare l’implosione.

Fulco Lanchester
Professore Ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato e
Direttore del Dipartimento di Scienze politiche – Università “La Sapienza”-Roma

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