Accordi post elettorali

Nicola Maggini e Federico De Lucia

Si potrebbe quindi verificare che una coalizione (o lista) abbia alla Camera una maggioranza stabile (in ogni caso garantita dal sistema elettorale) e nessuna maggioranza al Senato, con la necessità di dover ricorrere a trattative ed accordi post-elettorali.

In questi giorni ci troviamo nel culmine della campagna elettorale per le politiche del 2013. La posta in gioco è alta e l’esito ancora incerto, soprattutto a causa delle regole del gioco, ossia l’attuale sistema elettorale. La legge Calderoli (approvata nel 2005) prevede un sistema elettorale misto, un proporzionale con premio di maggioranza, in cui la competizione avviene tra liste bloccate di candidati, unite o no in coalizione. In realtà, si dovrebbe parlare di due sistemi elettorali, uno per la Camera dei Deputati e uno per il Senato, che presentano caratteristiche simili, ma anche elementi molto diversi, potenzialmente decisivi ai fini dell’esito elettorale. Vediamo quindi di descrivere come funziona il sistema elettorale nei due rami del Parlamento.
Alla Camera il sistema è majority-assuring, tale, cioè, da assicurare allo schieramento vincente una maggioranza assoluta di seggi, con premio eventuale e variabile nella sua entità. Esaminiamo i motivi di tale definizione. La coalizione di liste, o la singola lista, che abbia ottenuto il maggior numero di voti a livello nazionale riceve almeno 340 seggi (pari al 54% dei seggi totali). Per determinare quale coalizione (o singola lista) abbia diritto al premio di maggioranza, si sommano i voti ottenuti da ciascuna coalizione in tutte le circoscrizioni, escludendo i voti degli elettori della Valle d’Aosta e della circoscrizione estera. Dopo un’iniziale ripartizione proporzionale dei seggi (che avviene a livello nazionale con il metodo del quoziente naturale e dei più alti resti), si verifica se la quota dei 340 seggi sia stata raggiunta (o superata). Se ciò avviene, il premio non scatta. Nel caso contrario, alla coalizione (o lista) vincente vengono attribuiti seggi aggiuntivi fino a raggiungere la cifra di 340. Questi seggi aggiuntivi vengono sottratti alle coalizioni e/o liste singole perdenti, le quali si dividono proporzionalmente 277 seggi. A questo punto, rimangono 13 seggi: 12 vengono assegnati ai rappresentanti degli Italiani all’estero (eletti con sistema proporzionale di lista e voto di preferenza) e 1 è riservato al candidato vincente nel collegio uninominale della Valle d’Aosta. Il sistema elettorale della Camera è inoltre caratterizzato dalla presenza di quattro soglie di sbarramento per accedere alla ripartizione dei seggi, che valgono sia nel caso in cui il premio di maggioranza scatti, sia nel caso in cui non scatti: 1) il 10% dei voti validi per le coalizioni, a condizione di contenere una lista che abbia raccolto almeno il 2% dei voti; 2) il 4% dei voti validi per le liste singole non apparentate; 3) il 2% dei voti validi per le liste apparentate; 4) per ciascuna coalizione, infine, accede alla ripartizione dei seggi la lista collegata che abbia ottenuto il maggior numero di voti tra quelle con meno del 2%.
Il Senato presenta un sistema elettorale simile, ma con delle importanti differenze che riguardano il livello in cui ha luogo la ripartizione dei seggi, le modalità di assegnazione del premio di maggioranza e l’entità delle soglie di sbarramento, senza contare che l’elettorato attivo al Senato si restringe a coloro che hanno un’età non inferiore ai 25 anni. La ripartizione dei seggi avviene separatamente in ciascuna regione e, di conseguenza, i premi di maggioranza e le soglie di sbarramento sono applicati regione per regione. In ciascuna regione (eccezion fatta per il Molise, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige) la ripartizione dei seggi avviene in primis in maniera proporzionale (con lo stesso metodo applicato per la Camera) tra le coalizioni di liste e/o le liste singole che hanno superato le soglie di sbarramento: 1) il 20% dei voti per le coalizioni (a condizione che all’interno della coalizione vi sia almeno una lista che abbia raggiunto il 3% dei voti); 2) l’8% dei voti per le liste singole. A questo punto si verifica se la coalizione o la singola lista vincente nella regione abbia conseguito almeno il 55% dei seggi spettanti alla regione medesima. Se ciò si verifica, il premio non scatta, altrimenti il premio scatta (a livello regionale): alla coalizione o alla lista vincente è assegnato il numero di seggi aggiuntivi per raggiungere la quota del 55%. Contestualmente, un pari numero di seggi viene sottratto alle altre coalizioni o liste. Dopo aver stabilito i seggi spettanti a ciascuna coalizione, questi vengono ripartiti internamente tra le liste apparentate che abbiano ricevuto almeno il 3% dei voti a livello regionale utilizzando il metodo del quoziente naturale e dei più alti resti. L’elemento fondamentale del sistema elettorale del Senato è che tutto si gioca a livello regionale, mentre non esiste un livello nazionale di riferimento. Tutto ciò significa che non esiste alcuna garanzia che la coalizione (o lista) che raccoglie il maggior numero di voti sul piano nazionale ottenga anche la maggioranza assoluta dei seggi al Senato. Si potrebbe quindi verificare che una coalizione (o lista) abbia alla Camera una maggioranza stabile (in ogni caso garantita dal sistema elettorale) e nessuna maggioranza al Senato, con la necessità di dover ricorrere a trattative ed accordi post-elettorali. Ed è proprio questo uno degli esiti (probabili) di queste imminenti elezioni.
Vediamo come le forze politiche si stiano muovendo all’interno di questo scenario normativo. Innanzitutto, per la prima volta dall’inizio della Seconda Repubblica, ci sono ben quattro schieramenti in campo in grado di superare il 10% dei consensi. Ciò comporta che, a differenza del recente passato, il premio di maggioranza assegnerà il 55% dei seggi della Camera ad uno schieramento con massimo il 35% dei voti. I protagonisti di questa battaglia quadripolare sono la coalizione di centrosinistra, formata da Partito Democratico, Sinistra Ecologia e Libertà e Centro Democratico; la coalizione di centrodestra, formata da Popolo della Libertà, Lega Nord, La Destra, Fratelli d’Italia, Grande Sud di Gianfranco Miccichè ed altre liste minori; la coalizione di centro, composta da Scelta Civica (il movimento di Mario Monti), Unione di Centro e Futuro e Libertà; la lista, non apparentata ad altre, del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. A questi schieramenti si aggiungono altre due forze politiche isolate che i sondaggi accreditano a livelli di consenso tali da poter competere per raggiungere la soglia di sbarramento del 4%: Rivoluzione Civile, di Antonio Ingroia e Fare per Fermare il Declino di Oscar Giannino. Poche le differenze al Senato: l’unica degna di nota, perché fortemente connessa alle norme elettorali, è la scelta dei montiani di presentarsi come lista unica, data l’altissima soglia richiesta per le coalizioni (20%).
A giudicare dagli ultimi sondaggi pubblicati, il premio di maggioranza della Camera dovrebbe aggiudicarselo il centrosinistra, che presenta Bersani come capo della coalizione. Tutte e tre le liste che lo sostengono dovrebbero ottenere seggi. Nella coalizione di centrodestra entreranno alla Camera il PDL e la Lega, mentre altri tre partiti (La Destra, Fratelli d’Italia e Grande Sud) oscillano attorno alla soglia di sbarramento. Il movimento di Grillo potrà contare certamente su una discreta pattuglia di rappresentanti ed anche i tre partiti che compongono il centro montiano dovrebbero conquistare seggi. Ingroia e Giannino, come detto, si attestano nei dintorni della soglia (il primo) o sotto di essa (il secondo). La nuova Camera dei Deputati potrebbe pertanto giungere a contenere 12-13 partiti. Un bel cambio di scenario rispetto al 2008, quando entrarono in Parlamento solo 5 partiti.
Bersani, dunque, dovrebbe avere la maggioranza alla Camera. Il Governo, però, deve ottenere la fiducia della maggioranza di entrambe le Camere. E al Senato la situazione è un po’ più complessa, perché i premi di maggioranza, come si è detto, scattano a livello di singole regioni, che sono ben diverse fra loro. Vincere in una regione grande, che assegna più seggi, è molto più vantaggioso di quanto non lo sia vincere in una regione piccola. E fra la vittoria e la sconfitta c’è ancora più differenza nel caso in cui la battaglia elettorale sia fra quattro poli rilevanti, e non fra due: dato per assodato, infatti, che il primo arrivato prenda il 55% dei seggi regionali in palio, per i perdenti non è certo indifferente essere da soli a prendere il 45% dei seggi restanti o doverselo spartire con altre forze. Per capire, con un semplice esempio, quanto abbiamo detto, basti pensare che, in questa tornata elettorale, vincere o perdere in Lombardia fa una differenza di 15-17 seggi (il 5% dell’intera assemblea), più del doppio rispetto al 2006.
Secondo i sondaggi che circolavano sino al blackout, il centrosinistra sarebbe in vantaggio in quasi tutte le regioni, mentre il centrodestra vincerebbe nel solo Veneto. Tre sono le regioni considerate in bilico, tutte molto importanti dal punto di vista demografico: Lombardia, Sicilia e Campania. Nella tabella è possibile vedere cosa cambia nella contabilità generale del Senato al variare dei risultati in queste regioni.
Ipotizzando come certo che perda il Veneto, al centrosinistra basta poco per perdere la maggioranza assoluta al Senato: può permettersi di perdere un’altra regione fra Sicilia e Campania, ma non entrambe, e comunque non la Lombardia. Se dovesse fallire l’obiettivo della maggioranza assoluta al Senato, a Bersani rimarrebbe l’opportunità di aprire a Monti e ai centristi per provare a formare il Governo, con tutte le incognite che ne derivano, in primis quelle relative alla scarsa compatibilità politica fra i centristi e la sinistra di Vendola.
Come si vede, il sistema elettorale è un fattore importante, capace di influenzare in modo decisivo gli sviluppi politici del Paese. Conoscerne il funzionamento è fondamentale per i cittadini interessati alla cosa pubblica. Per comprendere le strategie politiche dei partiti è necessario sapere in quale contesto istituzionale si muovono.

Nicola Maggini e Federico De Lucia
Collaboratori del CISE – Centro Italiano Studi Elettorali

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