I fallimenti del sistema elettorale politico

Edmondo Mostacci

Il personale politico di scarsa levatura è figlio, in primo luogo, di processi politici che non vanno oltre la mera giustapposizione dei diversi interessi emergenti dal tessuto sociale, in un evidente circolo vizioso.

Il sistema elettorale è il punto nodale del complesso meccanismo che rende possibile la rappresentanza politica e che conduce alla selezione della classe dirigente di un Paese. Tra i molteplici aspetti in cui tale assunto si concreta, ve n’è uno che troppo spesso rimane relegato ai margini della riflessione sul tema e che, al contempo, appare di grande importanza: si tratta della capacità del sistema elettorale di indirizzare il sistema dei partiti nella definizione di un indirizzo politico maggioritario nel corpo sociale. Non si tratta – è opportuno precisarlo – di un ipotetico programma fatto proprio con il voto dalla maggioranza assoluta degli elettori, quanto, piuttosto, di uno schema tendenzialmente coerente di priorità e di finalità in grado di orientare l’azione degli organi di governo per un orizzonte temporale di medio periodo e sufficientemente ben radicato (o condiviso) nel tessuto sociale.
La definizione di un indirizzo politico è di vitale importanza in una pluralità di ambiti ed incide in misura netta sulla qualità del personale politico. Sono, infatti, l’importanza e la difficoltà del ruolo giocato dalla politica e dai soggetti che la praticano a determinare la necessità e le coordinate fondamentali della selezione. Detto in parole povere, personale politico di scarsa levatura è figlio, in primo luogo, di processi politici che non vanno oltre la mera giustapposizione dei diversi interessi emergenti dal tessuto sociale, in un evidente circolo vizioso. Parallelamente, un sistema politico in grado di operare una sintesi di questi interessi e di ordinare la loro soddisfazione in priorità e finalità definite – in ciò adempiendo alla funzione di indirizzo politico – si rivelerà essere un potente fattore di selezione.
Se riguardato da questo punto di vista, il sistema elettorale attualmente in vigore per le elezioni politiche, incentrato sul riconoscimento di un premio di maggioranza in favore della coalizione – o della lista non coalizzata – che ha preso più voti, mostra di essere assolutamente insoddisfacente per almeno tre ragioni fondamentali.
In primo luogo, viene in rilievo la stessa ragion d’essere del premio di maggioranza. Un sistema elettorale basato su tale meccanismo, piuttosto che incentivare l’aggregazione e l’emersione di un indirizzo politico maggioritario nel Paese – o di affidarne la determinazione al gioco delle forze parlamentari, dopo le elezioni – sembra prendere atto dell’inesistenza di qualcosa a ciò assimilabile. Di conseguenza, si accontenta di individuare la migliore proposta minoritaria e di renderla ex lege maggioranza parlamentare. Si badi bene, qui il punto non sta tanto nel fatto che la futura maggioranza può non avere ricevuto la maggioranza assoluta dei voti. Si tratta della strutturale mancanza di strumenti atti a selezionare proposte politiche maggioritarie, nel senso che si è precisato, o a indirizzare il sistema politico verso esiti di questo genere. Non sembra essere un caso, d’altra parte, se il premio di maggioranza non sia una formula elettorale particolarmente diffusa nei sistemi elettorali politici, al di fuori degli Stati autoritari (dove le elezioni non servono, all’evidenza, a determinare un indirizzo politico, già stabilito in altre sedi).
In secondo luogo, il premio di maggioranza è associato ad un meccanismo coalizionale, in virtù del quale il risultato complessivo delle elezioni politiche e, di conseguenza, il numero di seggi vinto da ciascun partito è determinato, in misura assai significativa, più dall’ampiezza della coalizione che dalla volontà del corpo elettorale e dagli esiti del dibattito pubblico. Si tratta di un meccanismo che, oltretutto, non brilla per trasparenza, visto che l’esistenza delle coalizioni incide in misura del tutto minimale sulla scheda elettorale e non sono previste particolari forme di pubblicità per assicurare che l’insieme degli elettori sia informato circa la loro composizione.
Infine, tale meccanismo non è in alcuna misura suffragato dal sistema elettorale. Cosa ciò significhi è presto detto: alle elezioni amministrative, le coalizioni sono in qualche misura impersonificate dal candidato sindaco o presidente. In modo simile, nel precedente sistema elettorale, esse si esprimevano nelle candidature unitarie della coalizione nei collegi uninominali. In buona sostanza, in questo secondo sistema non soltanto l’esistenza della coalizione si manifestava nel massimo grado all’elettore – anzi, il voto era richiesto in favore delle coalizioni piuttosto che dei singoli partiti – ma la reale significanza di tali soggetti politici aveva nella determinazione delle candidature comuni il proprio primo banco di prova. Considerazioni in buona misura analoghe possono essere fatte con riguardo ai sistemi elettorali per comuni, province e regioni.
Nell’attuale sistema elettorale, l’assenza di candidature unitarie – o di altri accorgimenti del genere – determina la conseguenza per cui le coalizioni sono una semplice sommatoria di forze politiche, spesso disomogenee e talvolta intimamente contraddittorie. Anzi, non solo non esiste nessun banco di prova atto a testare la loro consonanza politica, ma, al contrario, esse sono strettamente vantaggiose per le liste che ne fanno parte: le coalizioni più piccole incontrano soglie di sbarramento più basse, quelle più grandi hanno maggiori possibilità di vincere il premio di maggioranza e di essere sovrarappresentate in Parlamento.
La conseguenza è che il sistema elettorale oggi in vigore non soltanto non incentiva in alcuna misura l’emersione di un indirizzo politico maggioritario all’interno del corpo sociale, ma, al contrario, instaura dinamiche che sul punto sono del tutto controproducenti: da un lato, coalizioni che sono la mera sommatoria di forze disomogenee e contraddittorie non possono che produrre pseudo-indirizzi politici formati dalla giustapposizione di interessi specifici e contrastanti; dall’altro, una competizione formalmente incentrata sui partiti politici e in cui le coalizioni sono surrettiziamente tenute nell’ombra agevola la formazione di coalizioni prive della necessaria consistenza e le sottrae al dovuto controllo da parte del corpo elettorale.
Tali considerazioni sembrano suffragate dall’esperienza delle ultime due legislature. La XV è implosa sotto le contraddizioni e l’anemia della sua maggioranza parlamentare. D’altro canto, prima dell’avvento dei tecnici, nella XVI, la pur ampia maggioranza di governo non è riuscita a portare a compimento nessun progetto minimamente significativo e si è infranta sullo scoglio, di per sé tutt’altro che insormontabile, dell’approvazione del rendiconto consuntivo, dopo un’estate di imbarazzanti balbettii sulle misure di contrasto alla crisi del debito sovrano.
In tale contesto, il livello medio della classe politica non è stato certo dei migliori. È però il caso di riconoscere che esso è stato coerente con il dibattito pubblico, tendenzialmente povero e restio ad analisi non del tutto superficiali e conformiste, oltre che intimamente fedele ad un sistema politico incapace di svolgere quelle importanti e delicate funzioni che gli sarebbero proprie.

Edmondo Mostacci
Professore a contratto di Diritto Pubblico Comparato
Università Bocconi di Milano

Rispondi