Alcune luci e molte ombre

Silvano Moffa

È evidente che il funzionamento del nostro mercato del lavoro risente degli elementi distorsivi di carattere burocratico e normativo.

La situazione occupazionale italiana appare complessa e difficile, conseguenza di una crisi economica di livello globale senza precedenti che ha colpito, in particolare, i Paesi dell’Eurozona.
In questa situazione, ogni Stato membro ha tentato di fornire risposte adottando politiche congiunturali in diversi campi, pur in un quadro unitario di tendenze normative comunitarie, nell’ottica, innanzitutto, di sanare i bilanci e, successivamente, rilanciare la produttività e l’occupazione. L’impegno dell’Italia è stato forte e ha consentito di scongiurare i rischi di una degenerazione della crisi, pur a fronte di evidenti sacrifici posti a carico della collettività in termini di un minor impegno della spesa pubblica in vari settori. Uno di questi è stato il mercato del lavoro.
Nell’affrontare la riforma, si è discusso a lungo di flessibilità, in entrata e in uscita. Nel nostro Paese, è innegabile che la disciplina del contratto a tempo indeterminato si configuri in termini assai rigidi, soprattutto per quanto attiene alla risoluzione del rapporto di lavoro, sebbene talune modifiche positive in materia siano state introdotte. Ritengo, infatti, che alcuni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro – tra i quali, ad esempio, la tendenza spiccata ad una precarizzazione dei rapporti – o alcune caratteristiche peculiari del tessuto imprenditoriale italiano, come il micro-dimensionamento delle aziende, trovino spiegazione, almeno in parte, proprio nella riluttanza degli imprenditori ad assumere i rischi connessi agli elevati costi di uscita dai contratti a tempo indeterminato.
Alla luce di tutto ciò, non si poteva non auspicare una tendenza normativa nel segno di un’attenuazione della rigidità in uscita dai contratti a tempo indeterminato, accompagnata da un’apertura della contrattazione a livello decentrato o aziendale e controbilanciata dal contrasto alla precarizzazione dei rapporti di lavoro (che non deve tradursi, tuttavia, in una limitazione degli strumenti di flessibilità per le aziende), nell’ambito della realizzazione di un mercato del lavoro bilanciato ed equilibrato, assistito da adeguati strumenti di sostegno al reddito.
La recente riforma del mercato del lavoro, fortemente voluta dal Governo Monti, ha acceso i riflettori su questi temi, con alcune luci e molte ombre. Prima di esprimere un giudizio definitivo sulla riforma, tuttavia, è bene ricordare che la stessa legge di riforma ha previsto l’avvio di un attivo monitoraggio volto ad individuare soluzioni tese ad un costante miglioramento della normativa.
Occorre ora implementare la successiva fase politica – assolutamente necessaria – dedicata allo sviluppo economico, al fine di porre le basi per una ripresa delle attività produttive e dei livelli occupazionali. Il ritorno ad un normale funzionamento del mercato del lavoro potrebbe essere garantito da una generale ripresa dell’economia, da favorire anche attraverso politiche comuni in campo finanziario e sociale. Alcune analisi sul fenomeno e possibili soluzioni sono state, peraltro, condensate in un documento conclusivo che l’XI Commissione (Lavoro) della Camera, che ho l’onore di presiedere, ha approvato a conclusione di un’importante indagine conoscitiva sul mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo. Invito tutti i lettori a consultarla (è disponibile anche sul sito Internet della Camera) per acquisire preziosi elementi informativi sul tema.
Facendo riferimento alle attuali norme, ritengo che nessuna fattispecie normativa potrebbe di per sé causare effetti disincentivanti sulle imprese, laddove vi fossero le condizioni economiche e sociali favorevoli al loro sviluppo. È evidente, però, che il funzionamento del nostro mercato del lavoro risente degli elementi distorsivi di carattere burocratico e normativo riguardanti, in particolare, il funzionamento dei centri per l’impiego, la forte precarizzazione dei rapporti di lavoro, l’assenza di un regime universale di ammortizzatori sociali.
Nel nostro Paese, il fenomeno della disoccupazione, soprattutto giovanile, ha raggiunto vaste proporzioni, con preoccupanti ricadute socio-culturali. Appaiono sempre più necessarie politiche attive del lavoro che sappiano spezzare il dualismo presente nel mercato del lavoro, garantendo ai giovani l’opportunità non solo di trovare lavoro, ma di crescere a livello professionale, nell’ambito di un percorso lavorativo più stabile e continuo, anche in prospettiva della maturazione di adeguate prestazioni previdenziali.
In Commissione Lavoro è stato più volte affrontato il tema dell’incremento del numero dei giovani esclusi dal circuito di formazione-lavoro. Mi riferisco ai cosiddetti NEET, coloro i quali, nella fascia di età compresa tra i 15 ed i 29 anni, non lavorano, non cercano lavoro e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione. È importante fornire a questi giovani la speranza di un mutamento della loro condizione attraverso la predisposizione di misure con le quali provvedere alla messa a punto di un sistema di educazione, formazione professionale, orientamento e collocamento capace di preparare concretamente il giovane al mondo professionale, favorendo l’incontro tra offerta di lavoro e bisogni reali del mondo produttivo.
In quest’ottica formativa, giudico importante valorizzare forme di accesso al mercato del lavoro quali l’apprendistato e gli strumenti contrattuali più stabili, prevedendo, per le ipotesi di temporanea uscita dal lavoro, interventi di sostegno al reddito più estesi e accompagnati da idonei processi di riqualificazione professionale, alla stregua di quanto già si prevede – anche se in forma solo abbozzata e tutta da verificare al termine del monitoraggio a cui ho fatto riferimento prima – nella legge di riforma del mercato del lavoro a più riprese richiamata. A tale proposito, rispetto alla riforma, si è avvertita l’esigenza di prevedere ulteriori interventi migliorativi, d’intesa tra Parlamento e Governo, inseriti nel decreto-legge cosiddetto “Sviluppo”.
In questa legislatura che volge al termine, la Commissione Lavoro, in una visione di insieme del mercato del lavoro, si è impegnata molto su più fronti, come, ad esempio, lo studio di soluzioni normative necessarie alla questione dei cosiddetti “esodati”, la totalizzazione dei contributi previdenziali, le ricongiunzioni onerose, il riassetto degli enti previdenziali, il sostegno dell’imprenditoria e dell’occupazione giovanile e femminile. Si è tentato di portare avanti un’azione a tutela dei diritti dei lavoratori, pur nella consapevolezza che qualsiasi iniziativa parlamentare ha dovuto fare i conti con risorse finanziarie limitate.

Silvano Moffa
Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati

Rispondi