La valorizzazione del Volontariato

È possibile valorizzare economicamente l’attività di Volontariato di milioni di persone? Attraverso i dati, i numeri e le statistiche, è possibile capire l’ordine di grandezza, la composizione e, dunque, l’impatto che il Volontariato esercita sulla nostra società.

La ricerca presentata al Cnel il 5 luglio scorso fornisce già i primi frutti: è notizia recente che in Brianza l’abbiano utilizzata per misurare il Volontariato su base locale, grazie all’applicazione del metodo usato dall’Istat su scala nazionale. Ma come nasce questa iniziativa tra l’Osservatorio sull’Economia Sociale del Cnel e l’Istat? Sicuramente prendendo spunto da un interrogativo che da tempo numerosi esponenti del settore (e non solo) si sono posti: è possibile valorizzare economicamente l’attività di Volontariato di milioni di persone? Questa è stata la sfida lanciata il 26 ottobre 2010 da Lester Salamon, Direttore del “Center for Civil Society Studies” della John Hopkins University (il più importante Centro di studio ed elaborazione sull’economia sociale non profit al mondo). Infatti, solo ciò che si può misurare conta davvero, e solo ciò che si può misurare si può gestire. Attraverso i dati, i numeri e le statistiche, è possibile capire l’ordine di grandezza, la composizione e, dunque, l’impatto che il Volontariato esercita sulla nostra società.

Le principali fonti informative sul lavoro volontario che hanno inciso sulla scelta del metodo utilizzato in questa ricerca sono state l’ottavo censimento dell’industria e dei servizi del 2001, dal quale apprendiamo che i volontari attivi nelle istituzioni non profit risultano essere 3.315.327, con un + 3% rispetto al censimento precedente, ed il censimento dell’Istat delle istituzioni non profit del 1999, il quale, adottando la definizione contenuta nel Sistema dei Conti Nazionali (SNA, 93), ha rilevato le ore prestate da coloro i quali, all’interno dell’organizzazione, erano inquadrati come volontari. Nello specifico, nell’ambito della rilevazione censuaria era previsto che ogni istituzione non profit indicasse il numero dei volontari distinti per modalità di svolgimento dell’attività (saltuaria o sistematica, a seconda che l’attività si fosse esplicata con regolarità programmata o meno) e, successivamente, il numero medio di ore prestate dai volontari dell’organizzazione nel mese di riferimento.
La via preferita è stata invece quella di impiegare il metodo basato sul costo di sostituzione sui dati del censimento del non profit. In effetti, attraverso questa tecnica si valorizza l’attività di Volontariato assumendo ipotesi più verosimili di quelle su cui si fonda l’approccio del costo opportunità. Si dispone, inoltre, di una base informativa più ampia. In pratica, si assegna un valore economico al tempo offerto dai volontari per ogni tipo di funzione che assolvono, in accordo con il costo che sarebbe necessario pagare qualora si acquistassero gli stessi servizi di mercato. Una seconda variante del metodo basato sul costo di sostituzione propone di assegnare la retribuzione di una professione “vicina”, o comunque simile, alla mansione che i volontari normalmente svolgono. Per ovviare alla carenza di dati ed alle difficoltà della stima, sono state valorizzate le ore di Volontariato con il salario “ombra”, pari alla retribuzione lorda di un addetto impegnato nel campo dei servizi sociali e dei lavori di comunità. L’applicazione del metodo del costo di sostituzione richiede, come primo passo, la determinazione dell’ammontare delle ore di Volontariato prestate, da trasformare in unità di lavoro equivalente (ULA) attraverso la divisione dell’ammontare delle ore di Volontariato per il numero di ore lavorative annuali, pari a 1.824 (48 settimane lavorative per 38 ore lavorative settimanali). In linea teorica, equivalgono al numero di occupati a tempo pieno eventualmente da impiegare per svolgere le medesime attività dei volontari. A tale scopo, tramite le informazioni rilevate nell’ambito del censimento delle istituzioni non profit, si è pervenuti ad una stima complessiva del tempo offerto dai volontari: nel 1999, è stato pari a 701.918.839 ore, corrispondenti, in termini di ULA, a 384.824 unità, equiparabili ad individui che lavorino full-time per 38 ore settimanali e 48 settimane lavorative annue.

Oltre alla stima delle ULA, l’applicazione del metodo del costo di sostituzione prevede che venga determinato il salario ombra teoricamente più appropriato per remunerare il lavoro volontario. Nel dettaglio, per ogni settore di attività prevalente è stato calcolato il valore mediano della retribuzione dei dipendenti full-time, pari a 7,779 miliardi di euro. In termini relativi, questa stima corrisponde allo 0,7% del PIL riferito al 1999 e, se sommata al totale del valore della produzione di tutte le organizzazioni non profit, condurrebbe a quantificare la ricchezza prodotta da questo settore in Italia al di sopra del 4% del PIL. Nel complesso, in termini economici, il Volontariato rappresenta il 20% dell’ammontare complessivo delle entrate delle istituzioni non profit (40 milioni di euro).

La stima del valore economico del Volontariato, presentata con delle ipotesi piuttosto forti, va assunta con le dovute cautele, semplificando il fenomeno. Del resto, secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la strategia ottimale per la misurazione del Volontariato sarebbe quella di rilevare le informazioni a livello individuale. A questo proposito, L’International Labour Organization (ILO) ha recentemente predisposto il “Manual on the Measurement of Volunteer Work” per poter misurare il valore delle attività di Volontariato a livello internazionale. Da quanto emerge dal progetto della John Hopkins sul settore non profit, nei 32 Paesi oggetto della rilevazione, circa 140 milioni di individui svolgono un’attività gratuita nel corso dell’anno, sono equiparabili a 20 milioni di lavoratori full-time e corrispondono al 12% della popolazione adulta (Salamon et alii, 2004). I risultati della ricerca consentono di rappresentare in modo più realistico la rilevanza economica dell’economia sociale in Italia. Se si sommano le unità di lavoro equivalente del Volontariato (384.824 unità) al personale retribuito impiegato (629.412 persone), si può ritenere che, nel 1999, il settore non profit presentasse una capacità occupazionale di oltre un milione di addetti. Inoltre, sommando il valore economico del Volontariato stimato (7,779 miliardi di euro) al volume delle entrate delle istituzioni non profit (37,762 miliardi di euro), si potrebbe quantificare il peso economico del settore al di sopra del 4% del PIL ai prezzi di mercato (pari a 1.127,091 miliardi di euro). Ciò consente anche di arricchire l’analisi morfologica del settore non profit in Italia: la valorizzazione economica e la quantificazione in ULA del contributo dei volontari permettono di distinguere i contesti territoriali, gli ambiti di attività ed i modelli organizzativi nei quali il Volontariato si rivela essere la risorsa primaria da quelli in cui prevalgono forme organizzative centrate sull’impiego di personale retribuito e più vicine al modello dell’impresa sociale. Allo stato attuale, tra i lavori analoghi al presente che consentano di effettuare delle comparazioni su scala internazionale, c’è quello realizzato in alcuni Stati federali dell’Australia e del Canada (Colman, 2002; Ironmonger, 2002). Da tali studi emerge una stima del valore economico del lavoro volontario superiore al 2% del PIL, molto al di sopra di quella che il presente lavoro ha stimato per l’Italia (0,7%). È comunque presumibile ipotizzare un ridimensionamento di tale gap considerando sia la recente costituzione del settore non profit italiano (Istat, 2002), sia la propensione degli Italiani a svolgere attività di Volontariato, triplicata nell’arco del quindicennio compreso tra il 1993 ed il 2008 (Istat, 2009; Istat, 2004).

A tale proposito, ha fatto scalpore l’applicazione del metodo VIVA (Volunteer Investment and Value Audit) che ha affrontato la questione della valorizzazione economica del Volontariato all’interno dell’approccio costi-benefici e del calcolo dell’efficienza degli investimenti, mettendo in relazione gli input finalizzati a sostenere il Volontariato (le risorse utilizzate a tale fine come i costi di gestione dei volontari per il reclutamento, la formazione, i rimborsi spese, l’assicurazione, ecc.) con gli output (il valore economico del tempo offerto dai volontari), allo scopo di misurare la redditività ed il ritorno economico. Nel complesso, l’indicatore VIVA è pari ad 11,8, per cui, in media, un euro rimborsato ai volontari corrisponde ad un ritorno economico di circa 12 euro.

La suddetta ricerca sottolinea ancora una volta come il Volontariato non costituisca solo un atto individuale, ma possieda un valore sociale ed economico che fa risparmiare lo Stato e, al tempo stesso, lo arricchisce. Infatti, l’Inter-Commissione Istat-Cnel sui nuovi indici di benessere di un Paese “Oltre il Pil” sta lavorando per inserire anche la “propensione al Volontariato”, evidente sintomo della ricchezza, umana e sociale, di un popolo. Ed è ancora più importante che queste iniziative si collochino proprio nel 2011, l’Anno europeo del Volontariato.

*Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

Gian Paolo Gualaccini
Consigliere CNEL e Coordinatore dell’Osservatorio sull’Economia Sociale del CNEL*

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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