La nuova conoscenza

Va sempre ricordato che stiamo parlando del nostro patrimonio genetico, che conosciamo poco, e di tutte le potenziali ed infinite relazioni fra i diversi geni e l’ambiente, che conosciamo ancora meno. Quindi, massima speranza nella ricerca, ma anche massimo rigore nelle procedure autorizzative.

Ferruccio FazioCosì come tutte le scienze dell’uomo, anche la medicina ha subito una straordinaria evoluzione negli ultimi decenni. Dalla scoperta della struttura del DNA alle identificazioni degli aspetti morfologici maggiori del patrimonio genetico, fino alle variazioni puntiformi delle molecole proteiche, si è arrivati alla sequenzazione del genoma umano. Abbiamo cominciato a comprendere la laboriosità, se vogliamo, la “vita sociale” del gene (o del gruppo formato da più geni) che si realizza attraverso una sua attivazione, disattivazione o modulazione dell’espressione comandata, coordinata da impulsi chimici di natura molecolare. Possiamo, di conseguenza, affermare che negli ultimi anni si è cominciato a decifrare non solo il gene, ma anche come questo si rapporti con l’ambiente che lo circonda. Queste complesse relazioni non sono facilmente evidenziabili per il semplice fatto che, ad ogni azione di un gene o gruppo di geni, corrispondono altre reazioni di altri geni, essi stessi attivati o disattivati dal prodotto molecolare del primo o da qualcosa innescato nell’ambiente. Il modo in cui si combinano queste attivazioni e disattivazioni è determinante non solo per la “salute” della cellula, ma anche per la salute della persona. Visto il numero dei geni, è veramente complesso comprendere sia la singola “voce”, sia la “voce del coro”. Con l’affinarsi dell’indagine molecolare, siamo diventati sempre più capaci di leggere l’attività del singolo gene e comprendere la sua reale importanza nella genesi, nel mantenimento o nella facilitazione della malattia. Sono ormai utilizzati di routine test che prevedono l’identificazione di alcuni recettori, i quali, se presenti sulla membrana cellulare di un tumore, cambiano radicalmente la terapia. Questa innovazione biomolecolare apre prospettive importanti nella diagnostica e nella terapia.

Per alcune patologie si è aperta la possibilità di individuare i pazienti che hanno minori probabilità di effetti collaterali dal farmaco e maggiore probabilità di risposta; per altre, l’uso di farmaci che vanno ad inserirsi nel “dialogo errato” tra geni (farmaci molecolari) ha apportato grandi benefici. Proprio questa nuova conoscenza ci ha fatto comprendere come ad essere responsabile della malattia non sia solo l’organo coinvolto, ma anche, parzialmente o totalmente, le condizioni “geniche”. L’espressione di alcuni geni in una linea familiare è spesso associata alla comparsa del tumore con frequenza assolutamente maggiore rispetto al resto della popolazione. Il perché ci sfugge, la relazione assolutamente no. In alcuni casi, se siamo fortunati, la lesione è veramente puntiforme. Un errore nel gene, una piccola mutazione che determina una piccola imprecisione proteica…determinante, però, per il funzionamento complessivo, o per il suo mancato funzionamento. Questa piccola mutazione può essere così grave da risultare incompatibile con la vita. Allora, perché non provare a sostituire il gene “malato” con un gene “sano”, attraverso vettori che la natura ci ha già fornito, cioè i virus, o con altre procedure di ingegneria genetica? Purtroppo, non è così semplice.

La fibrosi cistica è stata associata al malfunzionamento di un gene, e risulta corretta l’opzione “sostituiamo il gene malato con uno sano inserendolo là dove serve”. Il dove è il rivestimento interno dei polmoni. Il come è anche più difficile: l’uso di virus, anche se tecnicamente corretto, non è assolutamente privo di rischi, almeno dal punto di vista teorico. Pertanto, nonostante molti tentativi, non si è ancora riusciti a proporre una procedura terapeutica certa e sicura per questa malattia. Ma la situazione non è così catastrofica per tutte le malattie. La terapia genica è stata usata con successo per la cura della granulomatosi settica cronica in pazienti adulti. Le persone affette da questa patologia cronica sono infatti soggette ad infezioni batteriche o fungine multiple, in quanto i neutrofili polimorfonucleati ed i macrofagi non sono in grado di uccidere questi microorganismi per la mancanza di un enzima specifico, la cosiddetta NADPH ossidasi. Il 60% dei pazienti presenta una mutazione o una delezione legata al cromosoma X del gene gp91. I ricercatori hanno dapprima selezionato cellule staminali emopoietiche dei pazienti; a queste hanno poi inserito una copia funzionale del gene gp91 attraverso metodiche di ingegneria genetica. Successivamente, le cellule sono state reinfuse nei pazienti. Prima della re-infusione, è stata attuata una chemioterapia al fine di ridurre le cellule “malate”.

Le cellule staminali “sane” hanno parzialmente sostituito le malate, cominciando a produrre linee cellulari funzionanti. Queste sono divenute il 30-40% del parco circolante, un numero sufficiente ad impedire le reinfezioni microbiche e fungine. Analoghi risultati si sono raggiunti con la immunodeficienza severa combinata (SCID), che colpisce i bambini con esito fatale. Quindi, oltre che capire come il nostro patrimonio genico sia responsabile di una malattia, e questo è più facile quando ci troviamo di fronte ad un malfunzionamento determinato da un unico difetto, rimane il problema delle tecniche di ingegneria genetica che debbono essere validate prima della loro applicazione sull’uomo. La terapia genica potrebbe rivelarsi utile anche per la cura di altre malattie immunitarie innate o di certi tipi di cancro. Ciò è possibile ipotizzando il trasferimento di un gene terapeutico nel contesto della cellula bersaglio. In realtà, vi è gran fermento, ma nessuna certezza. Molti esperimenti sono falliti ed altri hanno condotto a risultati imprevisti e gravi. La necessità di proseguire nella ricerca è importante, in considerazione delle potenzialità espresse e possibili della terapia genica. Va però sempre ricordato che stiamo parlando del nostro patrimonio genetico, che conosciamo poco, e di tutte le potenziali ed infinite relazioni fra i diversi geni e l’ambiente, tema che conosciamo ancora meno. Quindi, massima speranza nella ricerca, ma anche massimo rigore nelle procedure autorizzative.

Ferruccio Fazio
Ministro della Salute,
professore ordinario di medicina nucleare
Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca

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