Una testimonianza: La mia infanzia rubata dalla guerra

Mi chiamo Miriam, sono originaria dell’Eritrea. Oggi non so a quale nazione appartengo perché sono nata al confine tra i due paesi che combattono ancora per il confine mai chiarito. Io sono nata in piena guerra e cresciuta durante la guerra tra l’Etiopia e l’Eritrea. Non ho mai conosciuto la Pace nel mio paese. Quanti altri miei coetanei hanno sofferto e soffrono tuttora a causa della guerra! Noi bambini in guerra siamo quelli che ci rimettono più di tutti. Io sono stata costretta a diventare adulta in fretta, non ho vissuto la mia infanzia, mi è stata rubata. Mi sono stati tolti i miei genitori, che hanno dovuto fuggire lasciandomi con i nonni, altra privazione di affetti. Io bambina costretta a crescere senza i genitori. Oggi non so cosa vuol dire una carezza fatta da una madre ad una bambina, perché io non me lo ricordo. Non conosco cosa si prova a giocare con il proprio padre, essere coccolata da lui, andare a prendere un gelato o al parco giochi con i propri genitori. Queste gioie d’infanzia non le ho mai avute.

Tutto questo a causa della guerra. Sono cresciuta nella paura, in un clima di sospetto generale, situazioni allucinanti. Quando una bambina non è libera di giocare, le si insegna a non fidarsi neanche dei compagni di banco, perché non si sa mai cosa fanno i genitori. Potrebbero essere spie del regime. Attenti, quindi, a non ripetere cose che sentiamo in casa. Ho visto un intero villaggio svuotarsi di giovani che fuggono da retate governative. Volevano mandarli in guerra. Che incubo in casa: i miei fratelli dovevano nascondersi o fuggire. Soldati che irrompono in piena notte per cercare giovani nelle nostre case, vedere mia nonna terrorizzata, tremante, rispondere ai soldati che non c’è nessun giovane qui. Bistrattata dai soldati per farla parlare. Dov’erano i suoi nipoti? Io bambina assistevo a questo dramma, che mi ha tolto il diritto di essere una bambina felice, “normale”, come i bambini che vedo qui in Italia.

Bambini in situazioni di guerra sono spesso anche vittime di bombe, com’e capitato ad un mio compagno di scuola: andavamo a scuola, abbiamo visto una penna per terra, il mio amico l’ha presa correndo più veloce di me. Era poco distante. Apre questa cosa che appariva come una penna innocua. Questa ci scoppia davanti. Lui perse un occhio, io me la cavai con qualche graffio sulle braccia. Da quel giorno non raccolgo mai nulla per strada, fosse anche un kg d’oro. Sono rimasta traumatizzata e spaventata nel vedere tutto quel sangue in faccia al mio compagno, e io stessa ferita. A quell’età meritavamo di giocare, di essere felici accuditi dai nostri genitori. Nulla di tutto questo abbiamo avuto. Quando si dice che al peggio non c’è mai fine… arrivano bombe che distruggono le nostre case, le scuole, le chiese. Dovevamo fuggire e cercare ospitalità in altri villaggi, con tutto il disagio che ne consegue. Mi sono chiesta tante volte perché gli adulti si comportassero cosi. Perché nessuno li fermava dal distruggere tutto. Perché mi è stato negato di essere bambina. Perché privarmi dell’affetto dei miei genitori. Sono domande a cui ancora oggi non trovo risposte. Il mondo continua a fare guerre, con tanti bambini vittime. Lo abbiamo visto di recente in Palestina, Israele, Iraq, Afghanistan. Da tanti anni continua il massacro in Sudan, Somalia.

Ho visto bambini rimanere orfani con i genitori morti davanti ai loro occhi. Che infanzia è questa? Noi. Bambini sfortunati perché il mondo ha voluto cosi. Nessuno potrà mai restituirci la nostra infanzia, nessuno mi potrà riportare indietro, farmi provare la sensazione che si prova ad essere abbracciati dalla propria mamma o dal papà, la gioia nel ricevere un regalo dai propri genitori, una ninna nanna cantata dal papà per farti addormentare. Tutte sensazioni o piaceri che un bambino ha il diritto di provare. Ma io e tanti altri bambini nati in Etiopia ed Eritrea non abbiamo provato. Provo rabbia dentro di me per questa privazione della mia infanzia e dell’affetto dei miei genitori che ha danneggiato la mia crescita “normale”. Oggi sono una persona piena di carenze affettive, costretta a stare lontano dai miei genitori. Non sono una ragazza pienamente felice, come tanti miei coetanei qui in Italia, perché la mia infanzia è stata segnata da guerre, paure, miserie.

Testimonianza fornita da Mussie Zerai
Presidente  dell’Agenzia Habeshia

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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