I cani di Chernobyl

yellow and black house on brown grass field

Il disastro di Chernobyl del 1986 ha causato il rilascio nell’atmosfera di una quantità di materiale radioattivo 400 volte superiore a quello della bomba atomica sganciata su Hiroshima. L’incidente causò la morte di un centinaio di persone nel breve periodo e di migliaia nei mesi ed anni successivi. La contaminazione radioattiva coinvolse varie aree della Bielorussia, della Federazione Russa e dell’Ucraina abitate da diversi milioni di persone. Questo provocò un aumento in questa popolazione dell’incidenza di neoplasie tiroidee e in minor parte di leucemie.

La zona attorno alla centrale venne divisa in quattro anelli concentrici, il più piccolo dei quali delimita ancora oggi il territorio più esposto alle radiazioni. Quest’area di circa 30 km dalla centrale venne chiamata Quarta Zona o Zona di Alienazione o di Esclusione (CEZ).

Qui qualsiasi attività umana non è permessa. Le uniche eccezioni consentite sono l’esecuzione di lavori sui resti dell’impianto nucleare e la presenza di installazioni per la ricerca sulla sicurezza nucleare.

Da quando la CEZ è stata abbandonata è diventata un territorio unico per la ricerca scientifica. È un un laboratorio ottimale per studiare gli effetti di quasi quattro decenni di radiazioni su diverse specie di piante ed animali, in particolare i canidi che non conoscono l’uomo.

Dopo il disastro i discendenti dei cani da compagnia abbandonati durante l’evacuazione hanno vissuto per 15 generazioni allo stato brado. A causa delle radiazioni la loro vita non ha mai superato i 3 o 4 anni ma ora sembra che qualcosa stia cambiando.

Uno studio pubblicato a marzo 2023 su Science Advances  dimostra infatti che le popolazioni degli animali di Chernobyl sono ormai geneticamente diverse da quelle del resto del mondo e si ritiene che le modifiche del loro DNA abbiano aumentato la resistenza alle radiazioni. Questo probabilmente è dovuto ad una selezione naturale che ha selezionato individui con sviluppo o attivazione di particolari geni oncosoppressori.

Anche i branchi di lupi grigi che vivono nella CEZ sembrano aver sviluppato mutazioni significative. Secondo una ricerca dell’Università di Princeton, non ancora pubblicata ma già presentata a gennaio 2024 al meeting annuale di biologia a Seattle (USA), questi lupi hanno sviluppato modifiche genetiche che li renderebbero più protetti dalle radiazioni e dalle conseguenti malattie, come cancro e tumori.

Gli scienziati hanno prelevato campioni di sangue a cadenza regolare ed hanno utilizzato speciali collari GPS per ottenere misurazioni in tempo reale sulle dosi di radiazione assorbite. I risultati mostrano che i lupi grigi nella CEZ sono stati esposti a radiazioni oltre sei volte il limite di sicurezza ma la loro popolazione è sette volte maggiore rispetto alle aree circostanti dell’Ucraina. 

Naturalmente anche la popolazione umana di questi territori è stata indagata, soprattutto per quanto riguarda il rischio di trasmissione nelle generazioni future di eventuali mutazioni del DNA umano. La ricerca si è concentrata sulle famiglie in cui, al momento del disastro, almeno un genitore si trovava entro un raggio di 70 km dal reattore di Chernobyl. Gli studi pubblicati su Science dal National Cancer Institute statunitense, eseguiti su genitori e figli nati tra il 1987 e il 2002, non hanno però riscontrato prove di un un effetto mutageno transgenerazionale.

Queste ricerche potrebbero essere importanti per lo sviluppo di terapie geniche contro il cancro o preventive in chi è stato od è ancora esposto a radiazioni. Purtroppo però la pandemia prima e la guerra in Ucraina poi non hanno permesso di proseguire gli studi.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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