Rocce di plastica

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Secondo la Fondazione Ellen MacArthur, che si occupa di studiare i fenomeni provocati dall’inquinamento, i danni ambientali causati dalla plastica sono dovuti al riversare in mare questo materiale. Entro il 2050 il peso delle plastiche presenti nei mari sarà superiore a quello dei pesci. Ogni chilometro quadrato di oceano contiene in media 63 mila particelle di microplastica che portano un grave danno alla biodiversità. Il fenomeno è diventato ancor più preoccupante quando queste sono state identificate nei tessuti degli organismi marini. Le troviamo quindi nel pesce che mangiamo ma anche nella carne, nella frutta, nella verdura, persino nell’acqua che beviamo. Ormai tutta la catena alimentare è contaminata. Gli ultimi studi rilevano la presenza di microplastiche anche nell’organismo umano. Sono state trovate nelle feci, nella placenta, nei polmoni e si pensa che tutti i nostri organi possano essere colpiti. 

Ma il danno ambientale non avviene solo per contaminazione microscopica ma anche a causa della dispersione delle macroplastiche. Conosciamo da anni l’esistenza di varie plastisfere, cioè agglomerati che galleggiano sulla superficie degli oceani. Spinti dalle varie correnti i materiali plastici si aggregano in ammassi che diventano enormi isole galleggianti nei mari di tutto il mondo. La più grande si trova nel Pacifico con un’estensione di circa 10 milioni di km², pari alla superficie dell’intero Canada.

Ma non solo, sono vari anni che gli scienziati studiano il fenomeno dei plastiglomerati: un’ulteriore forma di contaminazione del nostro ecosistema.

Questi sono un impasto di roccia, sedimenti vari, detriti organici e plastica. Le ricerche all’Università dell’Ontario Occidentale hanno portato alla scoperta di due tipologie di questo materiale. Il primo si forma nelle eruzioni vulcaniche quando la lava scioglie la plastica e la ingloba. Il secondo tipo invece si forma in tempi piu lunghi quando la plastica si mischia al basalto e ad altri materiali come legno, conchiglie, coralli e detriti vari fusi insime e rimescolati più volte dal calore e dal movimento geologico vulcanico.

È proprio di questo mese la scoperta di ampi ammassi rocciosi composti da plastica cementata con svariati tipologie di granuli sedimentari trovati nell’isola vulcanica di Trinidade, al largo del Brasile.

Fernanda Avelar Santos, a capo del team di ricercatori dell’università del Paranà che sta studiando il fenomeno, l’ha definita terrificante: “La plastica scaricata negli oceani sta diventando materiale geologico”. Le ricerche ipotizzano che i plastiglomerati stiano diventando parte integrante della crosta terrestre. La plastica che ha raggiunto i fondali oceanici viene infatti inglobata in colate laviche fuoriuscite da vulcani sottomarini. Il fenomeno avviene soprattutto nel tratto della Dorsale dell’oceano Pacifico orientale formato quasi interamente da lave laminari. Qui la plastica entra nel ciclo del magma fondendosi più volte sia con il materiale roccioso eruttivo che in quello sottostante che scende internamente alle dorsali medio-oceaniche amalgamandosi con il resto dei detriti e dei minerali.

Il 70% di questa attività vulcanica è responsabile della formazione di nuova crosta terrestre ed in alcuni casi anche di nuove isole. Per la prima volta nei miliardi di anni di vita del nostro pianeta la sua superficie sarà costituita da rocce composte da silicati, altri minerali e anche da plastica. Stiamo assistendo probabilmente all’impatto geologico più potente che l’umanità ha imposto al pianeta terra.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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