La guerra vista dalle bambine soldato

“Mi ha sorpreso la quantità di armi che c’erano nell’accampamento. Le maneggiavano anche i bambini: quelli più piccoli riuscivano solo a trascinarle, mentre i più grandi sembravano già abituati a usarle… La cosa che più mi ha sorpreso è stata che tra gli ufficiali c’erano molte donne. Nei villaggi erano sempre gli uomini a gridare ordini. Solo più tardi ho scoperto che le donne non erano altro che vice-capi e che per quanto riguardava i ruoli più importanti, le cose andavano esattamente come nei villaggi.”

È la testimonianza di Senait Mehari, giovane donna eritrea che racconta la sua tragica esperienza di ragazza soldato nell’autobiografia “Cuore di fuoco”, recentemente pubblicata in Italia da Fabbri editore. Arruolata a 6 anni nelle file dell’ELF (Eritrian Liberation Front) da un padre povero e violento, Senait è la più giovane della sua unità. È l’inizio degli anni Ottanta e i due fronti di liberazione dal dominio etiope, l’ELF, appunto, e l’EPLF (Eritrean People’s Liberation Front), anziché combattere uniti per la stessa causa, lottano l’uno contro l’altro per governare in un futuro l’Eritrea indipendente.

Impiegata inizialmente in cucina o nella raccolta dell’acqua e della legna, Senait viene indottrinata e addestrata a combattere i soldati dell’ELPF. Stuprata in una tenda da un commilitone e trasformata in oggetto sessuale dal branco, riesce a condividere la sua esperienza soltanto con una compagna di sventura, Eden, dalla quale apprende le regole del gioco: “i ragazzi prendono quello che vogliono”. A questo punto spera solo di non restare incinta (in realtà non può perché è ancora una bambina e non ha avuto il menarca): ha già visto molte compagne con il pancione assentarsi nel bush e uccidere il neonato.

“Non era raro che noi ragazze fossimo costrette a offrire prestazioni sessuali a più di cinque ufficiali della stessa unità, senza contare quelli di grado più basso come i sergenti maggiori. Praticamente ogni sera, un ufficiale veniva e ti ordinava di presentarti nella sua tenda”. Anche China Keitetsi, ex bambina soldato ugandese, racconta le violenze subite nella sua biografia “Una bambina soldato”, edito da Marsilio. China si arruola nel NRA (National Resistence Army) dell’allora capo ribelle Museveni per fuggire dalla mano violenta del padre. Nel 1986 Museveni rovescia Tito Okello, conquista Kampala e diventa presidente dell’Uganda che governa ancora oggi.

Le testimonianze di Senait e China raccontano le storie emblematiche, in contesti e tempi diversi, di due bambine stuprate dalla guerra. Nel mondo ci sono migliaia di China e di Senait arruolate per fuggire dalla violenza e dalla povertà, ma ce ne sono altre migliaia rapite a forza nei villaggi. Alcune di queste storie tragiche sono state raccolte e pubblicate in Italia nel libro “Non chiamarmi soldato” a cura della Caritas (edizioni Ega), e “Soldatini di piombo” di padre Giulio Albanese, pubblicato da Feltrinelli.

Tante altre storie rimangono nell’ombra insieme alle ragazze che, una volta rilasciate, non si presentano nei centri di accoglienza. Sono molte le ragazze che per paura di essere stigmatizzate preferiscono tacere la loro storia. Se il 40% dei bambini soldato sono bambine e mediamente solo l’8% di loro entra a far parte dei programmi di recupero, è chiaro che l’uscita dalla guerra e dai traumi subiti è più difficile per loro anche quando le armi tacciono.

Spesso il ricongiungimento familiare è ostacolato dalle famiglie stesse che non vogliono accogliere una ragazza non più vergine, con un figlio a carico o malata. Oltre alla discriminazione per essere stata soldato, c’è sempre e innanzitutto quella di genere. Vivere nel bush con i gruppi armati, anche se costrette con la forza, per la comunità può voler dire rompere ogni schema socialmente accettabile.

Elisa Serangeli
CIDEM – Università di Roma La Sapienza

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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