Un fenomeno doloroso

Il futuro dei Paesi che hanno subito un conflitto dipende molto dalla capacità di ricostruire i legami di rispetto reciproco e la convivenza pacifica tra la popolazione.

“Ogni bambino chiede il nostro amore. Pensiamo pertanto in questa notte in modo particolare anche a quei bambini ai quali è rifiutato l’amore dei genitori. Ai bambini di strada che non hanno il dono di un focolare domestico. Ai bambini che vengono brutalmente usati come soldati e resi strumenti della violenza, invece di poter essere portatori della riconciliazione e della pace. Ai bambini che mediante l’industria della pornografia e di tutte le altre forme abominevoli di abuso vengono feriti fin nel profondo della loro anima”. Con queste parole, Benedetto XVI nella notte di Natale del 2008 ha tracciato una sintesi agghiacciante delle violenze subite dai bambini.

E non si tratta di tematiche a noi lontane, se è vero – come risulta dal 4° Rapporto su “I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia” – che il 24% dei minori italiani, quasi uno su quattro, è esposto a rischio di povertà.
Una delle piaghe più profonde è quella che vede sempre più bambini non solo subire le conseguenze delle guerre, come oggi in Terra Santa, ma anche diventare strumenti di guerra, vittime di una miriade di conflitti di cui spesso neppure si parla.
L’attenzione al tema dei conflitti nel mondo, ed in particolare di quelli cosiddetti “dimenticati”, è una delle priorità del lavoro svolto in questi ultimi anni dalla Caritas Italiana.

Si è sviluppata sia con l’elaborazione di tre rapporti di ricerca sul tema in meno di 10 anni – di cui l’ultimo dal titolo “Nell’Occhio del ciclone” (ed. Il Mulino, gennaio 2009) – che sono utilizzati per attività di lobby e advocacy e di animazione alla mondialità, sia con il sostegno a progetti di emergenza, riabilitazione e sviluppo a fianco delle Caritas e delle Chiese dei Paesi teatro di conflitti. Le azioni in questi contesti assegnano priorità assoluta alla protezione della dignità della persona umana, soprattutto dei soggetti più deboli, vulnerabili e non altrimenti assistiti. Sono quindi gli anziani, i malati, le vedove, le donne sole, i carcerati e i minori, in particolare quelli non accompagnati, i beneficiari primi dei nostri interventi. Questi ultimi sono sicuramente la categoria più fragile e bisognosa. Sono i traumi subiti l’ostacolo maggiore alla speranza di un futuro dignitoso, una volta che il conflitto sarà terminato.

Secondo la nostra esperienza sono due gli ambiti di intervento principali a favore dei minori che vivono situazioni di conflitto, ed entrambi hanno in sé sia una componente di aiuto immediato, sia un aspetto pedagogico per preparare un futuro di pace per i beneficiari degli interventi e le loro comunità di appartenenza.

I minori profughi, rifugiati e sfollati
Sono milioni in tutto il mondo i minori costretti a vivere una parte consistente della propria infanzia e adolescenza in un campo profughi. Non è raro che molti di loro nascano e raggiungano la maggiore età in questi luoghi. Altri, invece, vi entrano bambini e ne escono adulti e genitori. L’arrivo al campo avviene normalmente dopo un periodo particolarmente traumatico per il minore, costretto ad abbandonare il suo villaggio e le sue abitudini, spesso dopo un attacco violento a cui è seguita la distruzione della sua casa, della sua scuola, la perdita di amici, parenti, fratelli e sorelle e di uno o entrambi i genitori. A questo segue spesso un lungo viaggio a piedi, pieno di insidie, la cui conclusione, per chi ce la fa, è proprio il campo profughi.

Diventa così fondamentale che il campo sia prima di tutto un luogo di accoglienza, non solo in termini di servizi di assistenza materiale, ma anche opportunità per aiutare il minore a cercare di superare il trauma subito e ricostruire una quotidianità il più possibile positiva. La possibilità di frequentare una scuola con insegnanti adeguatamente formati è, con i suoi aspetti di socializzazione e quelli più propriamente educativi, in molti casi la prima risposta importante per vivere meglio un presente difficile ma anche per sostenere la speranza di un futuro migliore. Sono molte in questo senso le nostre esperienze di sostegno a progetti di istruzione primaria, secondaria e addirittura professionale e universitaria nei campi profughi.

Tra queste, ricordiamo quelle in Sudan, nei campi del Darfur e prima ancora in quelli sorti intorno alla città di Khartoum, che hanno accolto i profughi dal Sud Sudan. Le attività della locale Caritas comprendono la costruzione di scuole, la loro gestione e la formazione di insegnanti. Per quel che riguarda invece l’istruzione superiore, per alcuni anni Caritas Italiana ha sostenuto e seguito da vicino la scuola di formazione professionale gestita dai Padri Salesiani nel campo profughi di Kakuma. Situato nel nord del Kenya ed aperto nel 1992, vi sono accolti soprattutto rifugiati, provenienti dal Sudan, ma anche somali, etiopi, eritrei e persone provenienti dalla regione dei Grandi laghi. Nello stesso campo la Caritas Italiana ha accompagnato l’avvio del progetto di distance learning con l’università del Sud Africa, gestito dal Jesuit Refugee Service.

I minori direttamente coinvolti nei conflitti: i bambini e le bambine soldato.
Tra i fenomeni più inquietanti e dolorosi delle dinamiche di un conflitto, va annoverato l’arruolamento di bambini, a seguito di false promesse ed inganni o coercitivamente da parte delle forze armate regolari e dei gruppi combattenti ribelli e irregolari. I bambini, dall’infanzia negata, sono utilizzati come assistenti o soldati, costretti a perpetrare uccisioni e massacri o ad assistervi, a violentare e torturare (e a subire violenze e torture), a incendiare e saccheggiare villaggi, usati come combattenti, messaggeri, spie, facchini, cuochi; le bambine, in particolare, sono costrette a subire abusi sessuali.

Sono ancora vive nella nostra memoria la voce e l’azione di Mons. Biguzzi, Vescovo di Makeni, in Sierra Leone, che ha denunciato questo dramma e si è reso personalmente protagonista di azioni volte a consentire il ritorno a casa dei bambini, durante il sanguinoso conflitto avvenuto nel Paese africano negli anni ’90 e conclusosi con gli accordi di pace nel 2002. Più di 5.000 bambini sono stati reclutati da fazioni militari ribelli o filogovernative ed impiegati nei campi di battaglia. Altrettanti usati come forza-lavoro al seguito dei gruppi armati. Il ritorno a casa, che segna un altro trauma per la stigmatizzazione sociale che comporta, ha significato un lungo e paziente lavoro della Caritas di Makeni, svolto sotto il profilo materiale e sociale, per ciascun minore, nei centri di accoglienza, nelle famiglie nel corso della riunificazione famigliare e nelle scuole.

L’impegno oggi più significativo in risposta a questo dramma ci vede coinvolti nella Repubblica Democratica del Congo. Il Paese è reduce da un conflitto più che decennale, non ancora completamente conclusosi, che ha causato 4 milioni di morti, con il coinvolgimento di 16 milioni di persone, circa un terzo della popolazione del Paese, ed il massacro di 750 mila bambini. In tempo di guerra, i bambini-soldato erano e sono tuttora suddivisi in tre gruppi in funzione del ruolo esercitato. I più piccoli (4-6 anni) sono utilizzati come sentinelle: spogliati nudi, sono armati di trombette e sonagli e lasciati nelle foreste o nei campi, con il compito di strillare, correre o fare finta di giocare, qualora scorgessero l’avanzata dei militari nemici; in occasione dei numerosi combattimenti, subiscono il fuoco incrociato dei contendenti.

Le ragazzine (10-12 anni, ma anche più grandi) vengono per lo più sfruttate per preparare i pasti e lavare i panni dei militari, trasportare zaini durante gli spostamenti del fronte, soddisfare i desideri sessuali dei militari, mediamente organizzati in gruppi di 7 persone. Infine, i ragazzini dai 7 agli 11 anni, ma anche d’età maggiore, operano come veri e propri militari, impegnati nella guerriglia al fronte. Il complesso progetto a cui partecipa Caritas Italiana nasce grazie all’intuizione di Suor Adele Yuma, psicologa, direttrice delle Scuole Cattoliche della Diocesi di Kindu ed attuale Coordinatrice del programma di formazione e counselling diocesano. Suor Adele nel 2003 comprese quali erano le ragioni di tanti nuovi fatti di violenza provocati da molti bambini nelle classi stesse, verso compagni e professori: a perpetrarle erano proprio quelle piccole vittime innocenti che anni prima erano state rapite e strappate dalle loro famiglie e che ora, ritornate a casa e nelle scuole, erano traumatizzate e abusate, violente, indisciplinate, aggressive, irrispettose verso chiunque.

Invitando i direttori delle scuole e gli insegnanti a non espellere questi ragazzi problematici, ma a prenderli in carico, è iniziato un lungo programma di formazione degli insegnanti, che nel tempo sono divenuti mediatori familiari, mediatori di villaggio, mediatori con le autorità pubbliche, specie con i tribunali, e gradualmente counsellor ed assistenti sociali. Il futuro dei Paesi che hanno subito un conflitto dipende molto – al di là degli accordi di pace che possono essere firmati, in maniera più o meno convinta, da parte dei contendenti e dell’impegno della comunità internazionale con aiuti umanitari o l’invio di una forza di peacekeeping – dalla capacità di ricostruire i legami di rispetto reciproco e la convivenza pacifica tra la popolazione.

Protagonisti di questo percorso non possono che essere i minori, i quali devono essere accompagnati in questo che forse è per molti il momento più difficile. Debbono superare il trauma, ritornare alla serenità e all’auto-stima, accettando di convivere con gli effetti di una violenza di cui sono stati vittime e trovare la forza della riconciliazione. Chiudo con due bei segni di speranza che vedono Caritas italiana protagonista con la presenza di giovani in servizio civile: sono il Centre Jeunes Kamenge di Bujumbura, in Burundi, gestito dai missionari Saveriani, dove ogni giorno migliaia di giovani si incontrano per sperimentare la pace, la convivenza e la riconciliazione, attraverso i tornei sportivi, lo studio presso la biblioteca, la visione di film, le attività teatrali, dei gruppi musicali e degli acrobati, e l’asilo di Pritzen in Kosovo, gestito da suore in collaborazione con i volontari della Caritas Italiana, dove bambini ortodossi e musulmani percorrono insieme i primi passi della loro vita.

Vittorio Nozza
Direttore della Caritas Italiana

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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