Gli occhi tristi dei bambini

Qualche tempo fa, una giovane madre mi consigliò di leggere il libro di Lucio Della Seta (analista psicologo della scuola di Jung) “Debellare il senso di colpa”. Cosa che puntualmente feci. Con la consapevolezza che hai quando compri un libro che altri ti consigliano: può essere molto utile, inutile, interessante o da tenere in libreria per ogni evenienza. Questo volume l’ho ritirato fuori per scrivere un contributo che definisco “di libertà”. Poche, ma intense parole che escono dal cuore di chi ha svolto il percorso tortuoso del giornalista, del ricercatore, del formatore e, soprattutto, del genitore. A pagina 121 Della Seta scrive:
“Molte persone parlano bene di sé o addirittura pensano bene di sé pur essendo oppresse da sensi di colpa, ma questo autoinganno indica solo il conflitto permanente tra l’incubo della sconfitta (cioè della colpa) e il bisogno di stimarsi per sopravvivere. L’essenza vera del nostro dialogo interno, le cose sulle quali dialoghiamo dentro di noi in continuazione nello stato di veglia, contengono il conflitto. È come se, senza sapere che lo stiamo facendo, sfogliassimo una margherita inesauribile fatta di petali con su scritto valgo, non valgo, mi posso stimare, non mi posso stimare”.

Ho chiuso il libro ed ho pensato ai potenti del mondo. Chissà se i grandi del mondo hanno i sensi di colpa… Chissà se quando ordinano “le guerre” pensano ai bambini, ai loro occhi, alla loro tristezza, alla fame, alle sofferenze. Come scrive Giulietto Chiesa, giornalista oggi europarlamentare, nel libro “La guerra infinita”: “nulla autorizza a ritenere che i cinque sesti dell’umanità che vivono nella più assoluta indigenza accettino supinamente la miseria in cui vivono”. Svolgendo numerose ricerche sull’infanzia, rileggendo i dati del consumo dei nostri bambini, avallati da genitori e nonni, ho ripensato ai miei viaggi nei paesi dove si muore per mancanza di cibo, di medicinali, di cure. Dove non c’è istruzione e non c’è futuro. Ho ripensato agli occhi dei bimbi di Bagdad ed a quelli di Bombay. Occhi tristi, pieni di angoscia e di paura. Occhi che non ridono. Ho ripensato a quante volte, da piccoli, pur di farci mangiare ci dicevano: ”pensa che i bambini del Terzo Mondo con quello che tu lasci potrebbero vivere due giorni”. In cuor mio, pensavo ad una esagerazione e non sempre questo mi spingeva a mangiare.

Quando il Direttore di Social News, Massimiliano Fanni Canelles, mi ha parlato del tema di questo numero, si è riaperto dentro di me il contrasto tra quello che ho potuto appurare in 12 anni di ricerche e quello che ho potuto vedere nel mondo. Ed il pensiero costante è stato perché non c’è una vera globalizzazione per permettere a tutti di avere qualcosa. Pensieri scontati? No! Immagini che si sovrappongono nella mente con un mix quasi improponibile: i nostri bambini a tavola, nei ristoranti, che, seduti con in mano un videogioco, non disturbano i discorsi dei grandi, ma si isolano. I bambini nell’altra parte del mondo, che muoiono perché la stessa siringa viene usata quattro volte. O non crescono, perché non mangiano nulla che contenga vitamine. O, ancor peggio, perché mettono loro in mano un fucile e li spingono a sparare ad un nemico che non conoscono.

Certo, un discorso retorico e forse da bollare come politico o demagogico. Ma almeno non rimane il senso di colpa di non averlo detto e di non averlo scritto. Perché nessuno ha il diritto di far rimanere tristi gli occhi dei bambini perché non sanno, perché non hanno.
È vero, si può essere tristi anche avendo la tv in camera, il computer, il videogioco ed il cellulare di ultima generazione. Ma si ha la pancia piena. Ed altrettanto tristi con un fucile in mano, a fare una guerra che non è la tua guerra. Ma devi farla, devi odiare. Perché qualcuno ti ha chiesto di odiare e così sarai il migliore, subito… senza aspettare di essere grande…Nonostante tutto e tutti.

Il libro è diviso per aree di conflitto. L’Africa rosso sangue degli anni ottanta ha le tinte forti dell’Uganda, dell’Angola, del genocidio in Ruanda. La storia del Medio Oriente senza pace inizia con il primo reportage durante l’invasione israeliana del Libano nel 1982 e si conclude con l’odierna tragedia dell’Iraq. Per certi paesi, come l’Afghanistan, le fotografie percorrono tutta la storia della loro crisi dall’invasione sovietica ad oggi. Alcune immagini riflettono guerre dimenticate, sopite o concluse, ma sono state inserite per il loro valore e drammaticità come nel caso della Birmania o del Nicaragua. Le fotografie dei massacri in Uganda e Ruanda non vanno mostrate ai bambini, ma la guerra è crudele e non guardarla negli occhi non basta ad eliminarla.
La tirannia delle pagine ci ha costretto a scartare tante, troppe foto. Altre di grande valore sono rimaste dimenticate nei cassetti di qualche redazione o sono andate perdute. L’importante è che sfogliando questo libro, le sue pagine vi diano il senso degli occhi della guerra.

Francesco Pira
Sociologo e giornalista, docente di Comunicazione e Relazioni Pubbliche
all’Università degli Studi di Udine

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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