Vita. Siamo sicuri di poterla definire tale?

Quando non c’è lucidità, forse il testamento biologico potrebbe arrivarci in soccorso, ed alleviare le nostre coscienze, nel dare, anche in quella fase di “assenza”, voce alla volontà del paziente e restituzione di “dignità” alla morte.
Sì, perché anche la morte può pretendere dignità, nel rispetto della vita stessa di cui ne rappresenta l’ultimo tratto.

“Fade out” è in termine tecnico “sfumata”. La si usa per le immagini che sfuocano piano prima di entrare nel nero durante la lavorazione in video o per i suoni che vengono fatti finire lentamente, come in un’uscita morbida e naturale. Non è un taglio netto, niente di traumatico, bensì un intervento esperto esterno di assecondamento del processo di spegnimento. La similitudine concettuale con l’eutanasìa era evidente. Premesso che, per me, la vita viene al primo posto e quindi anche la difesa della stessa fino in fondo, dovunque e comunque sia possibile, aggiunto che sono da anni al fianco di Amnesty International nella campagna per la difesa dei diritti umani e, dunque, contro la pena di morte, specificato che anche in me convivono emozioni uguali e contrarie e derivanti pensieri spesso contrastanti sull’argomento in questione, al punto di sentirmi anch’io incapace di dare giudizi certi e definitivi, stabilito che il mio essere cattolica mi tiene sospesa in una profonda contraddizione, perché sono stata spinta a scrivere e dedicare a Piergiorgio Welby una canzone? Intanto perché, come sottolineano continuamente le cronache, Piergiorgio non era solo sé stesso, ma rappresentava un coro silenzioso di domanda.

Una domanda terribile, se si vuole, da accettare, da ascoltare, da soddisfare. Ma sempre una domanda che torna, di fronte alla quale dire semplicemente no, far finta di non rispondere, o rimandare, o dimenticare o, peggio, far finta che non sia mai stata fatta, né che ci sia mai arrivata, è l’atteggiamento peggiore che si possa avere. Ho raccontato quel punto interrogativo. L’ho amplificato affidandolo alle note, al mio canto, perché ci ricordiamo che quella domanda è ancora lì, sopra di noi ed attende risposte. Attende un aiuto da parte di qualche legislatore di coraggio e volontà, scrupolo ed attenzione, che ci sollevi di fronte a tanta nostra impotenza, che sappia dare indicazioni non occasionali né di fortuna quando qualcuno ci chiede di smettere di soffrire. Certo, quando non c’è lucidità, forse, il testamento biologico potrebbe già arrivarci in soccorso ed alleviare le nostre coscienze nel dare, anche in quella fase di “assenza”, voce alla volontà del paziente e restituzione di “dignità” alla morte. Sì, perché anche la morte può pretendere dignità, nel rispetto della vita stessa di cui ne rappresenta l’ultimo tratto. Porre fine allo strazio della sofferenza, di qualcosa di non più sopportabile o gestibile, ad uno stato fisico biologico impietoso, dal corso ormai irreversibile. Questa era la domanda che arrivava dalle parole di Welby, dalla lettera inviata al Presidente della Repubblica, pubblicata su tutti i giornali ed accesasi agli occhi dei lettori che, come me, ne sono stati attratti, impietositi e strattonati. Non potevo chiudere gli occhi, fare come se non le avessi lette mai quelle sensazioni! Non potevo rimanerne indifferente.

Quale soglia del dolore si oltrepassa se ogni malato sogna invece di combattere e guarire? Li ho sempre visti resistenti, tenaci, con momenti di debolezza, certo, ma quanta forza ho sempre trovato e sentito e addirittura ricevuto! E ancora, dall’altra parte, di fronte a chi ci è caro e su un letto di terminale sofferenza, confortato dalle nostre premurose cure, chi di noi si sottrarrebbe alla speranza di aggiungergli anche un solo secondo in più di vita? Di vita, però, questo è il problema! Siamo sicuri di poterla ancora chiamare così? E quante volte, sommessamente, intorno ad un respiro ormai esile ed affannoso, ho sentito a mezze labbra e con teste che annuivano in silenzio, pur dolorosamente, pronunciare la frase ” Se deve solo soffrire…che il Signore se lo prenda con sé presto!” Qual era il significato di quel “presto”, anche se in una richiesta di delega suprema? Ero bambina, eppure nel bisbiglio lo avevo già sentito. E questa frase si ripete, l’ho sentita ancora nelle situazioni e nei luoghi più disparati, so che continua ad avere la sua corsa. Solo di tutti questi ragionamenti e non di soluzioni, se mai del grido di aiuto nella richiesta delle stesse, qualora ce ne fossero di migliori, nell’aperto dibattito, solo di questo e non di altro, voleva trattare la mia canzone.

Una vicinanza a chi soffre perché lo chiede, a chi lo fa perché è intorno a chi chiede ed è attanagliato dal dubbio di protrarre non vita, ma dolore ad un proprio caro, che in quella fase, forse, può essere assai peggiore della morte.

Mariella Nava
Cantautrice italiana

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi