Munnezza connection

Anno dopo anno, rotte e metodologie di smaltimento illecito si sono adattate alle esigenze della domanda del mercato, e si sono moltiplicate le truffe ai danni  dei privati e di enti pubblici

Sono passati vent’anni da quando nel 1988, secondo le confessioni del primo boss pentito dell’ecomafia, Nunzio Perrella, i clan hanno scoperto che “la munnezza è oro”. Sono stati vent’anni di corruzione, di camorristi che diventano “imprenditori della munnezza” e di imprese che fanno affari con i clan. La Campania è da decenni il territorio d’elezione dell’ecomafia.  I rifiuti trafficati dall’ecomafia sono d’ogni genere, da quelli solidi urbani a quelli speciali di provenienza industriale. I luoghi di provenienza, l’intero Paese. I quantitativi impressionanti. La “munnezza connection” ha radici profonde. Dal 1988, la camorra comincia a mettere le mani sulla gestione dei rifiuti urbani del Centro- Nord Italia, come rivela il boss Nunzio Perralla ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Da quelle dichiarazioni nasce l’inchiesta Adelphi che mette a nudo una situazione allarmante: la Campania è stata scelta dalla camorra come un unico e grande immondezzaio. La camorra ha un ruolo di primo piano in un business illegale stimato oggi da Legambiente in quasi 7 miliardi di euro, tra gestione illecita di rifiuti speciali e controllo degli appalti per quelli urbani nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa. Nel 1994 Legambiente presenta il suo primo dossier sui traffici illegali dei rifiuti – “La Rifiuti Spa” – che dal Nord prendono le vie del Mezzogiorno, in particolare della Campania.  è un dossier che denuncia la gravità ambientale delle attività di smaltimento illegale che in quegli anni cominciano a devastare i territori del Sud Italia. All’inizio l’attività criminale legata ai traffici illegali di rifiuti riguarda principalmente quelli solido-urbani, e si caratterizza per la semplicità degli sversamenti. Una cava abbandonata dopo aver sottratto il materiale necessario per il calcestruzzo, piuttosto che un terreno agricolo o un’area dell’entroterra poco frequentata sono i nascondigli perfetti per questo genere di cose.  Nel 1994 su ordine del Commissario straordinario all’emergenza rifiuti vengono chiuse le discariche private e i clan sono pronti per tuffarsi sui traffici di rifiuti speciali. La camorra dissemina il territorio campano di discariche abusive. I clan si offrono alle industrie del Nord promettendo di smaltire i loro rifiuti, a costi – per le imprese – decisamente più bassi. Chi ci rimette è l’ambiente, la salute dei cittadini e l’economia agricola di quei luoghi.

Nel 1995 nel secondo dossier “Rifiuti S.p.A. 2” Legambiente calcola il fatturato che si cela dietro i traffici. Tenuto conto dei costi ufficiali di smaltimento, e prendendo in considerazione tutte le tipologie di rifiuti, la cifra finale sottratta allo smaltimento legale risulta di circa 6.000 miliardi annui. Nel 1999 magistratura e forze dell’ordine assestano un duro colpo all’ecomafia campana: i Carabinieri per la tutela dell’ambiente dell’allora Sezione operativa centrale e il Noe di Caserta, coordinata dal Sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere, Donato Ceglie, danno vita alla maxi inchiesta “Cassiopea”, che ha portato a galla un traffico di rifiuti speciali che dal Centro-nord venivano trasportati ed illecitamente smaltiti in alcune regioni del Sud, ed in particolare in Campania. Anno dopo anno, rotte e metodologie di smaltimento illecito si sono adattate alle esigenze della domanda del mercato. Si sono moltiplicate le truffe ai danni dei privati e di enti pubblici e le società che fanno girare e traslocare rifiuti con documenti perfetti, ma che non hanno niente a che vedere con ciò che viene realmente trasportano nei camion. Prima che qualcuno se ne accorga, spesso la società che gestisce i traffici si è già sciolta. Restano i veleni smaltiti illegalmente, i territori ormai compromessi, i gravissimi rischi per la salute dei cittadini. Dove l’emergenza raggiunge l’acme, da quindici anni a questa parte, è nel cosiddetto Triangolo dei fuochi, ossia l’area tra Giugliano, Qualiano e Villaricca, dove sono state censite sino ad oggi dal Commissariato ben 25 mega discariche illegali, alcune poste sotto sequestro, altre no. La gente lì comincia a morire di cancro al pancreas, al fegato, ai polmoni, muoiono pure gli animali, a centinaia, in un territorio che assorbe costantemente altissime percentuali di diossina, di metalli pesanti, acidi e sostanze chimiche. Nella “Terra dei fuochi” i clan prima sversano, poi bruciano tutto, non per nascondere le tracce, ma solo per fare spazio ai prossimi sversamenti. Da quelle parti la situazione igenico-ambientale si è fatta insostenibile. Lo studio dell’Oms, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e il Cnr, e pubblicato nel Rapporto Ecomafia 2005, fa emergere un quadro allarmante di aumenti di tumori che interessa 25 comuni della provincia di Caserta e Napoli. Proprio quei comuni che per anni sono finiti sotto i riflettori dei Rapporti Ecomafia.

Stefano Ciafani
responsabile scientifico di legambiente

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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