Carnefici e vittime

Gabriella Carlucci

Siamo uno Stato che vuole sentirsi all’altezza degli altri partner europei e detiene, invece, il solitario primato del “guinness” dell’insicurezza sul lavoro. L’inferno della Thissenkrupp è divampato a causa della scarsa concretezza e della mancanza di controlli: estintori scarichi, turni di lavoro massacranti. Non serve quindi solo modificare le norme della sicurezza. Occorre soprattutto creare una cultura di prevenzione. Le “morti sporche sul lavoro”, altro che bianche, sono davanti ai nostri occhi

A  ridosso del periodo natalizio siamo stati colpiti dall’ennesima tragedia annunciata. La strage della Thyssenkrupp di Torino ha fatto riemergere il dibattito sulla sicurezza sul lavoro nel nostro Paes a causa del quale si muore sempre più. La risposta a questa emergenza sociale non può essere certo quella di puntare tutto su un pugno di leggi che, di per sé, non possono abbattere infortuni, malattie professionali e morti sul lavoro. I fatti ci dicono che in questi ultimi anni si è lavorato sempre di più percependo salari da fame e in ambienti a sicurezza zero. Senza affrontare il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, la perdita di potere di acquisto dei salari, delle pensioni e dei diritti. Prodi è alla frutta. E fin qui niente di nuovo. Ma è imbarazzante come questo esecutivo di centrosinistra, con 15 sindacalisti tra Ministri, Viceministri e Sottosegretari, sia stato travolto dal problema e non sia in grado di fare nulla. Il messaggio è chiaro: nonostante le parabole raccontate fino ad oggi, questo non è un Governo amico dei lavoratori! Come dimostra il protocollo sul welfare e l’ultima finanziaria, la maggioranza è troppo impegnata a fare affari o dare risposte ai poteri forti da cui dipende. Scelte che meritano lo sdegno e la rabbia di tutti, perché non possiamo più accettare che vengano calpestate le vite di milioni di cittadini, che producono per il nostro Paese, e dallo stesso dimenticati. Le “morti sporche sul lavoro”, altro che bianche, sono lì davanti ai nostri occhi e ci parlano di un paese reale totalmente diverso dal paese mediatico di cui parlano i giornali o le arringhe politiche. Si muore per lavorare. Si muore per sopravvivere al carovita, ai prezzi impazziti, alla difesa degli standard di vita, sociali, scolastici, consumistici, per riuscire a pagare le rate di apparecchi elettronici e dell’auto, insieme al mutuo per la casa. Siamo uno Stato che vuole sentirsi all’altezza degli altri partners europei e detiene, invece, il solitario primato del “guinness” dell’insicurezza sul lavoro in tutto l’Occidente più industrializzato. Torino ci ha fatto capire che esistono ancora troppe lacune in materia di sicurezza sul lavoro, e che gli organi preposti al controllo di questi posti, molto spesso, al di là dalla retorica propaganda, si dimostrano poco vigili ed impotenti. Parliamo di chi cerca di difendere le ragioni del privilegio ideologico-sindacale ad ogni costo, senza tener conto dei risvolti mortali che le loro bizzarre scelte hanno sui cittadini. Il moralismo scuote, sorprende, affascina. Finchè si scopre che anche l’inferno della Thyssenkrupp è divampato a causa della scarsa concretezza e della mancanza di controlli: estintori scarichi, turni di lavoro massacranti in un settore estremamente pesante e pericoloso, il tutto consumato in una fabbrica in dismissione. Solo di fronte alla morte si sono cominciate a levare le prime prese di posizione.

Come quelle di un Piero Fassino, fautore del PD, che si è accorto che sono per lo meno dieci anni che non si parla di sicurezza del lavoro, che non si fanno inchieste, che i suoi alleati sindacati, per giunta, anziché responsabilizzare il loro lavoro, si son buttati a fare politica. (D’altronde, quando il sindacato cambia lavoro e si sostituisce alla politica iniziano i guai dei lavoratori). Eppure il concetto è ben scolpito nella Costituzione: la nostra Repubblica è fondata sul lavoro, che deve essere sicuro, dignitoso, giustamente retribuito e ragionevolmente garantito. Più presente di così! Veniamo a qualche dato imbarazzante. Secondo fonti Eurispes, la piaga degli incidenti sul lavoro in Italia ha causato più morti della seconda Guerra del Golfo. Si calcola che dall’aprile 2003 all’aprile 2007 i militari della coalizione che hanno perso la vita sono stati 3.520, mentre dal 2003 al 2006 i morti sul lavoro nel nostro Paese sono stati ben 5.252. Un incidente ogni 15 lavoratori, un morto ogni 8.100 addetti. Un dato “ impressionante”, cui va aggiunto che ogni anno questi infortuni costano alla comunità 50 miliardi di euro. Tanta carta e cavilli, ma poca sostanza. Le “morti bianche” e gli incidenti (non mortali, ma gravi) sul lavoro – ha detto Romano Prodi in occasione della tragedia sul lavoro consumata a Napoli nel 2006 – sono un’emergenza nazionale. Il ritmo degli incidenti e l’inconsistenza delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio non sono cambiati nei giorni a seguire. Nel 2006 ci sono stati un milione di incidenti e 1250 morti in 12 mesi: quattro al giorno, al netto dei festivi. Nei primi mesi del 2007, la situazione non è migliorata: oltre mille nei primi nove mesi. L’Italia ha il triste record, tra i Paesi dell’Unione Europea, di essere quello con la più alta incidenza sia di infortuni sia di incidenti mortali sul posto di lavoro. Alcune riflessioni. Questi dati dimostrano che non è sufficiente avere una legislazione. Occorre anche implementarla e soprattutto creare una cultura di prevenzione. Tutti i soggetti coinvolti in questo dramma, dalle autorità pubbliche ai datori di lavoro e ai lavoratori, dovrebbero affrontare questo problema concretizzando gli sforzi di prevenzione e traducendoli in impegni tangibili sulla sicurezza. Ma molto spesso queste esigenze male si coniugano con le esigenze della politica, in modo particolare con quelle di una maggioranza di sinistra debole, e sempre sull’orlo dell’implosione. Gli interessi dei lavoratori in questo eterno equilibrismo sono i primi a cadere.

In un Paese come il nostro la crisi della rappresentanza può generare danni difficilmente stimabili, in quanto nelle dinamiche legate al lavoro si insinuano delle logiche che poco hanno a che vedere con la democrazia. Si generano delle spirali di odio sociale che negli anni hanno prodotto disgrazie. Il sindacato, in modo particolare la Cgil che si è schierata al fianco di Prodi sin dalla campagna elettorale, oggi sta pagando il prezzo per aver accettato il mandato politico del Governo. La crisi di rappresentanza del sindacato va ricondotta alla politica spregiudicata del governo Prodi, che ha caricato impropriamente le parti sociali di un ruolo politico di rimpiazzo. Il sindacato dovrebbe prendere atto dell’evidenza: la logica del “governo amico” non permette di intercettare le reali esigenze dei lavoratori. Questo vuoto di rappresentanza sta colpendo in modo significativo il mondo del lavoro. Ecco perché è necessario pervenire, in tempi brevissimi, al codice unico sulla materia. Un sistema che rinchiuderebbe gli addetti ai lavori nella loro responsabilità e che abolirebbe le norme anacronistiche ed obsolete a favore di una normativa più chiara ed efficace, in linea con gli standard europei. Ancora, bisognerebbe regolamentare la normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso i contratti nazionali. Ad oggi i sindacati restano negligenti in materia: sia perché distratti dalla concertazione – tradotto, significa che si occupano di cose di competenza del Governo e della politica – sia perché non vogliono assumere direttamente l’onere del controllo della materia. Insomma, meglio giudicare, piuttosto che darsi da fare e sedere nei consigli di amministrazione – Inail – piuttosto che sporcarsi le mani. Severe dovrebbero essere anche le verifiche sul lavoro che andrebbero fatte in base alla Bossi-Fini – che si sta tentando di sopprimere – per controllare il lavoro di alcuni clandestini, disposti ad ottenere un lavoro a qualunque prezzo, anche se rischioso e nocivo. Oggi in nome di una flessibilità esasperata e di permessi di soggiorno “sotto banco”, gli extracomunitari sono costretti ad un ricatto perenne: non esistono esseri umani ma braccia e gambe da utilizzare, anche nelle condizioni più estreme. Le denunce della sinistra hanno sempre il sapore della propaganda e dei pochi fatti. A volte anche dell’indifferenza più lampante. Non dimentichiamo la formazione e l’informazione, strumenti strategici per fare crescere la cultura della prevenzione della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, affinché diventi un valore reale per tutti i soggetti coinvolti. Le leggi che tutelano la sicurezza sul lavoro, bene o male, esistono. Tutte queste normative, però, continuano evidentemente a non essere rispettate. Per negligenza, per superficialità, per l’ignoranza che porta molti datori di lavoro a credere che si possa risparmiare sulla sicurezza dei lavoratori. Come investire i soldi del patrimonio Inail? Ovviamente in formazione piuttosto che in case o emolumenti. L’Italia ha bisogno di una “cultura” del lavoro e della sicurezza. Un concetto molto più importante delle dosi minime di cannabis promosse dal Ministro Livia Turco, o dei Dico o Cus che siano. Purtroppo, questo governo ha mostrato la sua più totale irresponsabilità e incuria nell’affrontare il tema. Più tasse e meno salari. Più doveri e meno diritti. La sinistra non è più con i pensionati, con gli operai, con i giovani. In questi ultimi anni abbiamo visto il sogno delle loro ideologie appannarsi sempre di più, a causa di persone che puntano solo a difendere quel posto che gli è stato consegnato. Un Governo che ha perso il contatto con la gente, che ha annacquato le proprie iniziative nei boicottaggi dei partiti di maggioranza. La vita delle persone non si può esaurire a causa dell’inefficienza dei Palazzi. Nelle Aule mancano i cittadini perché la sinistra in questi anni ha fatto credere che basta andare a votare e poi “ci pensiamo noi”, a tal punto che tutto tace, tutto dorme, e in tanti si muore. Questa sinistra non è di sinistra!

Gabriella Carlucci
Parlamentare, segretario “VII commissione”
(cultura, scienza e istruzione)

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