A proposito di Torino

Il siderurgico è il settore industriale metalmeccanico più esposto al rischio di mortalità e di infortuni invalidanti. Tra Taranto, Terni, le fonderie del bresciano e del bergamasco, Piombino, Trieste ecc., il conto dei morti nel corso di questi anni è lungo

Passando sotto le sedi nazionali dei sindacati confederali ho visto, come al solito, le tre bandiere, quella dell’organizzazione, quella europea e quella italiana, issate sui pennoni. Nel vederle così, normalmente esposte, appena smosse dal vento, mi sono reso conto che mi aspettavo di vederle a mezz’asta perché ieri è accaduto che a Torino ci sono stati, ancora una volta, degli operai morti in una fabbrica a causa del loro lavoro. E questo incidente, per le ragioni che lo hanno determinato, per il modo in cui si è svolto, conferma una tragica verità: che la fabbrica, come in genere tutti i luoghi di lavoro, sono immaginate e gestite in funzione del massimo profitto subordinando a questo gli uomini che vi lavorano, la tutela della loro salute, la loro sicurezza. E contro questa logica sembra che nulla possa valere. La politica, che predispone strumenti di controllo e sanzione, non può o non sa intervenire su questo terreno e il sindacato non sembra più capace di assumere la questione del lavoro e del modo in cui è organizzato come bussola della sua azione e collocarla al centro del suo discorso pubblico. Quello di Torino, quindi, è il segno di una sconfitta in una partita che vede sul tavolo il profitto di pochi contro la vita di molti. Per questo mi aspettavo le bandiere abbrunate. Quello stabilimento di Torino è in via di chiusura. C’è stato un accordo sindacato – azienda, la “ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni”, che prevede il trasferimento di una quota di dipendenti in un altro stabilimento del gruppo, a Terni e, poi, incentivi per chi lascia, prepensionamenti, cassa integrazione e mobilità per gli altri. I primi a lasciare sono stati gli specialisti della manutenzione per i quali è facile trovare un altro posto. La fabbrica è in via di chiusura e, tuttavia, gli operai della linea 5 lavoravano in straordinario. Per un picco di produzione, è stato detto. E è già strano che una impresa multinazionale sovraccarica di ordini tanto che, malgrado la ovvie politiche di pianificazione della produzione, deve far fronte a picchi di produzione imprevisti, avvii la chiusura di un suo stabilimento. Così come è strano e anche preoccupante, che per farvi fronte ricorra proprio a quello stabilimento praticamente smobilitato, in cui sono restate solo circa 200 persone e con attività ridotta a 15 turni rispetto ai 18-21 che si fanno in siderurgia, riattivando in fretta e furia una linea produttiva, la 5 appunto, inattiva da tempo.

“Si è andata proprio così”dice Fausto Durante segretario nazionale della Fiom Cgil, “solo che quello era uno stabilimento con quattrocento dipendenti che, dopo l’accordo per la sua chiusura firmato presso il ministero delle attività produttive, si sono ridotti a meno della metà e molte delle professionalità che sarebbero servite per far funzionare in sicurezza quella linea non ci sono più. Ma piuttosto che richiamare dalla cassa integrazione quelli che servivano, alla ThyssenKrupp hanno pensato che per quel lavoro erano sufficienti le persone che erano restate in fabbrica. In queste condizioni non dev’essere stato facile per loro riavviare la linea. Ma hanno deciso di farlo egualmente per non dover pagare una penale per mancata consegna del prodotto. Quindi un concorso di fattori ha determinato l’evento e le dimensioni tragiche che ha avuto: l’assenza del personale specializzato; lo scarso interesse, dato il destino di quello stabilimento, dell’impresa a mantenere elevato il livello di protezione, di sicurezza e di attenzione per l’incolumità delle persone; il ricatto cui erano sottoposti gli operai che sapevano che tra qualche mese non avrebbero avuto più lavoro e avevano bisogno di guadagnare”. Evitare una penale e lavorare al risparmio. Con gli operai che ci sono. Tanto per le lavorazioni a ciclo continuo sono possibili gli straordinari. Non importa se si arriva a turni di dodici ore e il lavoro si svolge davanti a forni che raggiungono temperature di 1000 gradi e, per dippiù, in uno stabilimento dove, già nel passato in condizioni di funzionamento normale e con gli organici al completo, si sono verificati incendi devastanti.

D.: “C’era nell’accordo una clausola sulla gestione della sicurezza in questo periodo di transizione?”

R.: “No e per una ragione molto semplice. Intanto perché stiamo parlando della Thyssen Krupp e quindi non c’era da parte nostra, né ci poteva essere, tenuto conto della rilevanza dell’impresa e della solidità del sistema di relazioni che ci sono con l’impresa, alcun timore circa una caduta di attenzione, una minore costanza e regolarità dei controlli. Abbiamo confidato che una multinazionale, uno dei più grandi gruppi industriali del mondo, non potesse abbassarsi a questo livello. A me è capitato di fare riunione con Thyssen Krupp ai massimi livelli a Dusseldorf, di partecipare a delle riunioni del Comitato Aziendale Europeo (CAE) e sulle questioni della sicurezza in generale l’azienda ha sempre dimostrato una grande attenzione e una grande cura. C’è da dire che a Torino non c’era più management. C’era un presidio per i rapporti con il personale ma di veri e propri interfaccia con poteri e capacità d’intervento non ce n’erano più. Adesso noi ci rimettiamo a discutere anche delle questioni che riguardano la sicurezza negli stabilimenti delle multinazionali perché quello che avvenuto ci dimostra che anche quelle con il nome e il blasone più antico non danno nessuna garanzia che non si lasci la pelle anche in quegli stabilimenti lì, anche nelle grandi imprese”.

Il gruppo Thyssen Krupp, un colosso mondiale dell’acciaio, appena poche settimane fa, dichiarava un incremento degli utili del 27% rispetto al bilancio precedente, al netto di tutti gli oneri.

R.: “Non c’è azienda siderurgica che sia in perdita. In Italia come nel resto del mondo sono quelle che presentano il maggior incremento di fatturato, di utili, di dividendi per gli azionisti. Allora la tragedia di questi giorni colpisce ancora di più perché ci troviamo di fronte a padroni che continuano a arricchirsi.”

R.: Dopo l’edilizia la siderurgia è il settore in cui ci sono più incidenti, è vero?

R.: É così. Il siderurgico è il settore industriale metalmeccanico più esposto al rischio di mortalità e di infortuni invalidanti. Tra Taranto, Terni, le fonderie del bresciano e del bergamasco, Piombino, Trieste ecc. il conto dei morti nel corso di questi anni è lungo. Taranto in particolare è un caso a parte anche perché lì abbiamo una storica scarsa sensibilità del padrone di quell’impresa. Perciò in questo settore i controlli, le attenzioni dovrebbero esser più elevate e invece quando discutiamo con la Federmeccanica – adesso stiamo discutendo il rinnovo del contratto – di fronte a due richieste che sono: più ore per la formazione e per la vigilanza degli RLS; più ore d’informazione nei confronti dei dipendenti per sensibilizzarli rispetto ai rischi e ai pericoli che si corrono negli stabilimenti, la Federmeccanica ci dice che sono richieste inaccettabili”.

Da www.articolo21.info

Raffaele Siniscalchi
Giornalista e coordinatore della campagna di articolo21 contro le morti bianche

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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