Etica e arte in nome dell’acqua

Nel Parco di Villa Ottelio-Savorgnan artisti hanno proposto una serie di lavori e in omaggio all’elemento che costituisce la base della vita sulla terra. Dai paesaggi sonori di Mauro Bon al tableaux-vivant della compagnia Masque Teatro, alla video-installazione di Paolo Comuzzi, per fare qualche esempio, si è trattato di idee e performance servite ad attrarre l’attenzione sull’importanza dell’acqua per noi tutti

I l tema dell’acqua è forse quello che più di tutti, in quest’epoca, chiama in causa l’urgenza di appellarsi ai diritti dell’uomo, di tutti gli uomini e di tutte le donne, quindi di aprire una finestra d’attenzione verso i valori dell’etica con i quali anche l’ arte si trova a fare i conti. Non nel senso che vi è costretta. All’arte, infatti, non possiamo in alcun modo negare la sua prima via d’accesso: quella della libertà di pensiero, parola e produzione. Ma nel momento in cui ce ne occupiamo, la promuoviamo e la diffondiamo, dal suo ampio serbatoio possiamo scegliere e per Maravee questa scelta si rivolge, per l’appunto, all’arte sensibile ai valori dell’etica. Anche qui, però, subentra un’ulteriore selezione, perché tale sensibilità non indica una mera adesione agli aspetti del sociale, non comprende la tendenza alla cronaca, assunta oltre che dal punto di vista tematico anche come modalità linguistica, da quell’arte che definisco “da TG”, che registra l’esistente attraverso opere-documentario. Perché all’arte si chiede di più, e quando ci propone un “viaggio” lungo i sentieri dell’esistenza collettiva contemporanea, quel “viaggio” deve avvenire entro un linguaggio capace di muovere le corde della sensorialità e dell’emozione, oltre a quelle del pensiero e della riflessione. Un “viaggio” che quest’anno è stato condotto in nome dell’Acqua e di tutte le problematiche contemporanee ad essa connesse, ma anche entro le suggestioni poetiche, mitologiche e culturali che l’acqua porta con sé da sempre. Un viaggio che riproponiamo, attraverso questo testo e le immagini che lo seguono, nella successione secondo la quale gli eventi si sono svolti nel parco di Villa Ottelio-Savorgnan. Acqua, acqua e ancora acqua. Così s’intendeva proporre la spettacolarità corale di Maravee H2O, sin dall’inizio, sin dall’ingresso del parco, e s’intendeva farlo attraverso la musica, la sonorità, essendo il linguaggio che meglio si presta a suggerire le potenzialità d’avvolgimento di un’atmosfera. Ecco, allora, i Paesaggi sonori di Mauro Bon, che per l’occasione ha fuso, in una partitura inedita, il refrigerante suono di un fiume che scorre con suggestioni musicali di valenza mistica, inondando il parco con la presenza continua, ipnotica, quasi ossessiva dell’acqua.

Mentre il primo impatto, di valenza sonora, è stato affidato a Bon, il primo incontro di natura visiva è stato quello offerto dal tableaux-vivant Nuova carne della compagnia Masque Teatro. Dall’intreccio fra drammaturgia, architettura e filosofia, che caratterizza tutti i loro lavori, anche quest’opera ammicca all’ambito scientifico-sociale, nonché poetico. In questo grande “quadro” sospeso nel verde le fonti d’acqua istillano vita a ridosso di corpi imbrigliati in una mutazione in atto. Corpi, pelle e gocce che hanno accolto i visitatori con un grande impatto visivo ed emotivo, ma allo stesso tempo hanno richiesto loro l’attenzione di sguardi fermi, sui quei corpi, prima illuminati dalla luce diurna poi da quella artificiale, che ha tratteggiato il “quadro” con toni più drammatici immergendolo nell’oscurità della notte.Il percorso di Maravee H2O è poi proseguito verso la facciata della villa padronale dove, innanzi al giardino all’italiana, sulla sponda opposta del fiume, la video-installazione Maravee H2O Bambini realizzata dall’artista Paolo Comuzzi con Damatrà ha aperto quella finestra di creatività rivolta all’infanzia che rappresenta un tassello importante dell’intera manifestazione, fondato sì sul concetto di didattica ma, prima ancora, sull’idea di una crescita sensoriale ed emotiva in cui l’arte gioca un ruolo importantissimo. Le immagini girate durante i laboratori tenutisi a giugno con i bambini delle scuole dell’infanzia, sono apparse come una summa narrante storie, leggende e immaginazioni creative di acqua e sull’acqua, in cui i volti, le mani e la laboriosità dei bimbi scorrevano insieme ai disegni e agli oggetti creati e utilizzati per un viaggio di curiosità e scoperta. Il tutto sospeso sull’acqua corrente del fiume Stella, elevato a traccia simbolica dell’intera serata. Su quelle stesse acque Damatrà ha proseguito il suo operato anche il giorno seguente, con il laboratorio La barca delle storie, un percorso galleggiante per centinaia di barchette costruite dai bambini utilizzando carta, colori, alambicchi, stecchini, che su quelle barche, appoggiate sul fiume a volteggiare nei mulinelli, hanno riposto le storie ascoltate ad occhi sgranati e ricostruite a suon d’interrogativi, stupore, impegno e immaginazione.

Ritornando alla serata degli eventi, la sua centralità è stata poi affidata alla compagnia Motus Danza che, con lo spettacolo Aqua — vincitore del Premio Internazionale Teatarfest 2006 — ha proposto, in un unico atto e 14 scene, le problematiche sociali legate a quel diritto all’acqua che ora è semplicemente un bisogno, perché l’acqua è solo di chi può permettersi di pagarla a caro prezzo. A partire da questa constatazione i Motus si appellano a un vecchio proverbio orientale: «Dopo quaranta giorni si muore di fame, ma ne bastano cinque per morire di sete», che rivolge la propria attenzione agli uomini e alle donne con la gola secca. Quelli che vivono nel sud del mondo, non inteso come realtà geografica, bensì come parte più povera, più arretrata politicamente e più popolata del pianeta. I Motus continuano ancora con i numeri: “un miliardo e 100 milioni di persone, cioè un sesto della popolazione mondiale, vivono senza acqua potabile. Due miliardi e 400 milioni, cioè il 40 per cento della popolazione del pianeta, non dispongono di impianti igienici. Si stima che l’80 per cento di tutte le malattie presenti nei paesi in via di sviluppo abbia origini idriche. Sono 6.000 i bambini che quotidianamente muoiono per malattie causate da acqua inquinata e da impianti sanitari inadeguati, come se 20 jumbo jet si schiantassero ogni giorno”. Nella convinzione che l’arte possa e debba investirsi di un ruolo etico e ideologico, solitamente baluardo dell’impegno sociale, i Motus si sono chiesti come affrontare queste tematiche in termini di danza. Hanno risposto, con la loro ricerca e il loro lavoro, eludendo quello che spesso si dimostra essere il confuso confine tra l’arte tout court e un’arte di pura denuncia. Ciò accade quando le opere, troppo esplicite nei loro contenuti e nelle loro dichiarazioni, si omologano ai reportage. Le opere dei Motus, invece, raccolgono sì la sfida d’individuare una dimensione etica, ma lo fanno mettendo in scena quel carattere peculiare del fare artistico che esprime la dimensione del reale attraverso le sue figure significanti, come il simbolo o la poesia. Connotando in tal senso il processo costruttivo delle loro opere giungono a forme creative che divengono linguaggi necessari e fondanti il contenuto stesso della narrazione. è poi questa necessità a far confluire i contenuti in forme utili e civilmente pregnanti.

Nello spettacolo Aqua la ricerca di gestualità significanti è emersa anche grazie all’uso d’immagini proiettate su un ampio schermo, che fungeva da fondale ad ogni scena, e alla collaborazione con artisti di diversa estrazione. L’intreccio di queste partecipazioni, che ha senz’altro amplificato la complessità del processo creativo, ha aperto nuove sfide espressive, risolte in un lavoro in cui il tripudio di colori, immagini e azioni ha offerto la meraviglia di un “sogno danzato”. Il suggestivo intreccio di musica, danza e video, che da un lato si è espresso nella leggerezza di un’apparizione, dall’altro lato ha denotato un attento calibro di ogni espressione, sia nei momenti più lirici, sia in quelli in cui la denuncia di valenza sociale si traslava in ironia strappando sorrisi allo spettatore. Iniziato con l’immagine di una lavatrice innanzi alla quale un’unica danzatrice appariva come una comparsa lilliupuziana, lo spettacolo ha proposto come un fiume in piena lo scorrimento di paesaggi naturalistici — mari, fiumi, prati, iceberg, coste… — entro i quali il gruppo dei performers appariva spesso come un malleabile coagulo di corpi assolutamente sincronizzato con il dinamismo del filmato, nonché armonizzato con la sua struttura morfologica. A sottolineare la problematizzazione sociale, e anche politica del tema ecologico di Maravee, Acqua ha proposto alcune virate in ambito metropolitano, con immagini di strade, palazzi e traffico cittadino, per aprirsi anche su volti e situazioni di popoli per i quali l’acqua è un diritto spesso disatteso. Ma non sono mancate neppure sottili virate ironiche, come nella scena della doccia, dove i ballerini si sono spogliati per indossare accappatoi o, in quella dei nuotatori che dal fondo marino hanno trasformato le pinne in ali d’aeroplano per sorvolare una bella zona costiera, anche in questo caso innalzando una metaforica bacchetta dell’etica a suon di poesia e di acutezza critico-sociale.

Conclusosi lo spettacolo dei Motus, il percorso di Maravee H2O è ritornato innanzi al tableaux-vivant Nuova carne, ormai completamente sospeso nell’oscurità della notte: un “quadro” intenso, dove su una grande tenda elaborata con il lattice, apparivano tre figure nude incollate con la colla di pesce, bagnate, a poco a poco, dalle gocce d’acqua che scorrevano da tre fontanelle. Immobili, per oltre tre ore, i performers compivano leggeri movimenti e vocalizzi, inscenando una dimensione tesa fra lirismo e tragedia, carne e plastica, vita e morte, attirandosi gli sguardi attenti, silenziosi e a tratti sofferenti, perché partecipi, degli spettatori.Il finale, sempre ad opera del Masque Teatro, è stato affidato alla performance Spark-runner, un estratto in chiave performativa, realizzato appositamente per Maravee H2O, dello spettacolo Omaggio a Nikola Tesla, incentrato sulla figura dello scienziato serbo-croato che mettendo a punto il “trasformatore d’ingrandimento” in grado di trasmettere anche potenza elettrica senza fili, riuscì a battere il record del fulmine più lungo mai prodotto dall’uomo — 42 metri di lunghezza — e poi, a Coloorado Spring, nel 1899, portato addirittura a 200 metri. Riesumando dalla storia la figura di quest’uomo, mai pienamente riconosciuto nelle sue invenzioni, ma che ebbe la meglio su Marconi quando nel 1943 la Corte suprema degli Stati Uniti revocò il brevetto dell’invenzione della radio all’italiano per attribuirlo a Tesla, i Masque ce lo restituiscono all’insegna dello stupore che accompagnò sempre i suoi esperimenti e la sua vita. Uno stupore che si riconciliava con la quotidianità trasformandola da qualcosa di ordinario a qualcosa di straordinario. Ad opera di un uomo che mise sempre il valore dell’etica innanzi all’euforia dell’invenzione, tanto da apparire, in questo mondo asservito alla logica del profitto, come uno dei pochi scienziati capaci di agire verso una realizzazione tecnologica destinata esclusivamente al miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo.L’attenzione dei Masque sulla particolarità di questo percorso, restituita con Spark-runner, s’inserisce in quella commistione di riflessioni che, tese fra arte visiva, scienza, tecnologia e filosofia, genera lavori connotati da un magma di drammaturgia e architettura tradotto in performance e metarappresentazione.

Le opere dei Masque sono disseminate di oggetti tecnici o tecnologici. Fanno pensare all’universo scientifico. Malgrado questi artisti sottolineino l’indubbia divergenza, di genesi e finalità, tra sapere umanistico e sapere scientifico, è proprio nella scienza e nei suoi eroi che rinnovano l’entusiasmo per continuare a fare teatro. E lo fanno calcando la scena sul tasto dello stupore, di quella meraviglia innanzi all’arte e alla vita che Maravee ha sempre sottolineato, già a partire dal titolo della rassegna.In memoria di Tesla, il soggetto di Spark-runner è proprio il fulmine, animato da una sacerdotessa che evoca la necessità e la vitalità dell’acqua. Una sacerdotessa i cui panni sono stati vestiti da Catia Gatelli, sociologa e allieva di Lecoq, che insieme a Lorenzo Bazzocchi, ingegnere ma con esperienze di attore, ha fondato il gruppo nel ’93. Dopo aver condotto il pubblico, con fare quasi ipnotico, dal parco al portone di una sala della villa, la sacerdotessa ha aperto gli sguardi sull’installazione creata da Mazzocchi: una macchina suggestiva, un marchingegno misterioso, che ammicca all’universo scientifico, al laboratorio sperimentale entro la cui teca Catia Gabelli si muoveva come scossa da scariche elettriche. Dalle sue parole, dai suoi gesti e dall’intensità carismatica del personaggio è nato il fulmine, come un segno luminoso negli abissi della ricerca, tanto scientifica quanto artistica.

Sabrina Zannier
Critica d’arte contemporanea

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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