L’educazione alla tecnologia

E’ quanto mai opportuno illuminare i valori positivi ed educativi delle nuove tecnologie e al tempo stesso condividere una piena assunzione di responsabilità nei confronti della tutela dei minori

Si avvertiva un gran bisogno di una discussione pubblica sulla cultura del videogioco, un dibattito sereno per affrontare il rapporto tra nuove tecnologie e pratiche sociali, mettendo a confronto giovani e adulti. La società dell’informazione nella quale siamo immersi è una realtà densa e in continuo mutamento, caratterizzata dallo sviluppo impetuoso di nuovi mezzi di comunicazione sempre più partecipativi. Da tempo non abbiamo più a che fare con la sola vecchia cara tv generalista che ci faceva tutti “couch potatoes”, spettatori totalmente passivi. Oggi, in Rete, un numero sempre maggiore di cittadini è in grado di dar vita attivamente ad una nuova sfera pubblica prendendo parte in prima persona alla produzione di contenuti e pubblicando agevolmente i propri pensieri attraverso soli pochi clic. I nostri ragazzi conoscono da vicino questo mondo e le sue continue evoluzioni: una recente ricerca IARD ci dice che nelle famiglie italiane il 90% degli studenti tra i diciassette/diciotto anni possiede un pc e il 97% ha un cellulare. Insomma la tecnologia è quotidianamente nelle mani dei ragazzi italiani. Inoltre, quasi la totalità dei ragazzi italiani ha una buona familiarità con i videogame, che siano su un cellulare, su un computer o su una console. E molti bambini apprendono l’inglese e la matematica proprio giocando con il computer. Questo fa sì che i videogiochi costituiscano per i ragazzi una delle principali porte di ingresso all’apprendimento della cultura tecnologica e contribuiscano notevolmente, attraverso l’interattività, alla diffusione della alfabetizzazione informatica.

Chi conosce i videogiochi sa che per descriverli non basta un’etichetta sola. Ci sono giochi che simulano una partita di calcio, una corsa con le auto, un’avventura in un mondo fantasy. Ci sono quelli che simulano la giornata di un detective alle prese con un caso misterioso da risolvere o le incombenze di un sindaco di una grande metropoli che deve pianificare l’organizzazione della città, dalle questioni di pianificazione urbanistica, all’erogazione di servizi pubblici, all’aumento delle tasse. E poi ci sono anche i videogiochi horror, i thriller, i cosiddetti giochi “sparatutto” in cui lo scopo è colpire con estrema precisione e ferocia l’avversario, ladro, poliziotto o terrorista che sia. E, come sa chiunque ha preso in mano un joystick o una console, la maggior parte dei videogiochi non realizza simulazioni in cui poter dar sfogo a tutte le peggiori fantasie ma, al contrario ed il più delle volte, contesti ludici fortemente regolati, dove, esistono precise cornici normative da rispettare. Il piacere del gioco è, infatti, composto anche dall’abilità di esplorare uno scenario in cui vigono regole specifiche che vanno comprese, introiettate e messe in pratica per raggiungere gli obiettivi del gioco.
In questo senso occorre sottolineare anche la funzione educativa che hanno molti di questi giochi in modo da considerarli non solo mezzi potenzialmente pericolosi ma al contrario anche nostri alleati nella diffusione di valori positivi rivolti ai più giovani.

In questo dibattito, però, non possiamo non ricordare che nei mesi recenti alcuni episodi di cronaca che hanno coinvolto i ragazzi hanno portato all’attenzione generale l’aspetto specifico del rapporto tra l’utilizzo dei videogiochi da parte dei minori ed episodi di violenza e bullismo tra adolescenti. In questi casi si è spesso sottolineata l’esistenza di un legame diretto ed inevitabile – fino ad oggi non avvalorato scientificamente – tra la violenza rappresentata sullo schermo e la propensione all’azione violenta nella vita reale. Personalmente sono convinta che occorra intervenire con fermezza in tutti questi episodi di violenza, evitando però di accontentarsi di un contrasto al bullismo che passi esclusivamente attraverso la censura dei videogiochi o vietando che i cellulari entrino nelle classi se poi continuiamo a lasciare i bambini e gli adolescenti ore e ore soli davanti a uno schermo, senza domandarci cosa facciano – solo il 46% dei genitori dichiara di aver provato a giocare con i figli ai videogame – ed evitando di fornire loro modalità alternative di svago. La complessità del fenomeno fa sì, dunque, che tutti coloro che si occupano dei più piccoli e dei più giovani – le famiglie, la scuola ma anche le istituzioni pubbliche – devono sentirsi chiamati ad intervenire responsabilmente. Il fine che ritengo ci si debba porre è come tutelare i minori senza criminalizzare il mezzo. Sono convinta, infatti, che nei confronti di tutte le agenzie di comunicazione che parlano ai nostri ragazzi – dalla moda alla musica, dallo sport al mondo dei videogiochi – occorre non utilizzare un approccio dirigista. In particolare porci con un approccio allarmato nei confronti delle nuove tecnologie rischia di dare l’impressione ai ragazzi che le istituzioni sono troppo distanti dal loro mondo.

E soprattutto ci fa correre il rischio di essere poco concreti. Tutto ciò ci impone, dunque, da un lato, di utilizzare un linguaggio adeguato ai ragazzi e dall’altro di coinvolgere tutte le figure che sono chiamate in causa (dai genitori, alle istituzioni scolastiche, dai produttori di videogame fino ai distributori) chiamandole ad una comune assunzione di responsabilità condivisa. In questo senso sarebbe molto utile, nel definire le caratteristiche di un nuovo sistema di tutela, confrontarci con le esperienze intraprese dai nostri vicini europei
Viene, infatti, dalla Svezia e in particolare dalla Svizzera l’interessante esperienza dei codici etici di condotta, adottati dai rivenditori dei videogame nazionali, sotto la spinta dei singoli governi, allo scopo di innestare un circolo virtuoso nella promozione di una corretta vendita dei giochi ai minori. Per prima cosa, dunque, credo sia necessario lavorare ad una diffusione degli strumenti che già esistono e che sono il frutto di un’esperienza consolidata e condivisa a livello europeo. Penso al PEGI (Pan European Game Information), il sistema di autoregolamentazione europeo adottato dall’industria dei videogame che classifica i videogiochi definendone il contenuto e che stabilisce a quali delle 5 fasce di età (+3, +5, +12, +16 e +18 anni) è rivolto ogni singolo prodotto. Una sorta di bollino, insomma, che è già presente su ogni videogioco distribuito in Italia e in Europa ma che non sempre i commercianti, le istituzioni e, soprattutto, i genitori conoscono, ed è quindi uno strumento che va diffuso maggiormente. Così come va esteso al maggior numero di piattaforme di gioco esistenti il sistema di Parental Control, il meccanismo adottato dalle consoles di nuova generazione per consentire ai genitori di limitare l’accesso ai figli a giochi ritenuti non adatti alla loro età.

Sono perciò lieta che diverse realtà (impegnate nella produzione, distribuzione e vendita di videogiochi) si siano già mosse per promuovere un consumo consapevole e informato dei prodotti videoludici lavorando ad una maggiore diffusione nei punti vendita del sistema di rating PEGI e predisponendo campagne di comunicazione dirette a giovani consumatori e in particolare alle famiglie. Vista, infatti, la pervasività, le enormi potenzialità ma anche i rischi connessi ad un utilizzo dei videogiochi non appropriato alle singole fasce di età ritengo importante coinvolgere nella campagna di sensibilizzazione anche gli stessi rivenditori al fine di responsabilizzare maggiormente i venditori e gli esercenti che sono l’effettivo punto di contatto con il pubblico dei consumatori. Partendo da queste esperienze, il Ministero delle Politiche Giovanili ha improntato la sua concreta azione sul campo proprio su queste linee ed ha già raccolto la disponibilità dei soggetti maggiormente rappresentativi nel comparto produzione e distribuzione di software video-ludici a definire, insieme ed in breve tempo, i contenuti di un comune codice di condotta in materia di diffusione, consumo ed uso dei videogames da parte dei più giovani. La convinzione che mi anima, dunque, è che sia quanto mai opportuno illuminare i valori positivi ed educativi delle nuove tecnologie e al tempo stesso condividere una piena assunzione di responsabilità nei confronti della tutela dei minori. Solo così dimostreremo di aver compreso appieno il ruolo sempre più centrale che hanno oggi le tecnologie legate alla diffusione della conoscenza, dispositivi che costituiscono il terreno sul quale si rappresentano le sfide del Terzo millennio.

Giovanna Melandri
Ministro per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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