I perché del disordine alimentare

Gli psichiatri di formazione biologista sostengono che esiste sicuramente un gene specifico, altri pensano ai disturbi da dipendenza. I terapeuti che fanno riferimento alla teoria delle memorie represse, invece, affermano con certezza che il 90% delle donne affette da un disturbo dell’alimentazione abbia subito un abuso sessuale

L’idea che ogni terapia sia in grado di “funzionare” perché ciò che realmente cura è la relazione che si stabilisce tra paziente e terapeuta è sempre più affermata. Il problema è che il “funzionamento” di una teoria deve anche essere considerato in rapporto all’efficacia e all’efficienza: esiste una differenza sostanziale tra “dieci anni” e dieci sedute”. Di innovativo, nella moderna letteratura scientifica, compare non solo una forte critica rispetto alle teorie a alle tecniche terapeutiche precedenti. La sindrome da “Vomiting”, il mangiare per vomitare, oggi rappresenta una categoria diagnostica a sé: nella precedente letteratura scientifica -e tuttora in autori non aggiornati -questa patologia caratterizzata da specifici meccanismi di formazione e persistenza, veniva fatta rientrare nella categoria diagnostica della Bulimia Nervosa. Con questo termine intendiamo riferirci a un tipo di disturbo basato sul fatto di mangiare e vomitare compulsivamente più volte al giorno, sintomatologia che in letteratura viene attualmente considerata una particolare variante di Anoressia e Bulimia. Oggi poi viene riconosciuto un altro tipo di disordine alimentare: accanto all’anoressia, alla bulimia e al già citato vomiting compare il binge eating (il mangiare per abbuffarsi).

Gli psichiatri di formazione biologista sostengono che esiste sicuramente un gene specifico responsabile di ogni disordine alimentare. I terapeuti che fanno riferimento alla teoria delle memorie represse, invece, affermano con certezza che il 90% delle donne affette da un disturbo dell’alimentazione abbia subito un abuso sessuale. Poi c’è anche chi, in un’ottica psicodinamica, connette il problema a un mancato superamento di complessi arcaici, in particolare -visto che la maggior parte delle persone che soffrono di questi disturbi sono donne -il complesso di Elettra. Per gli studiosi fedeli a una scuola di orientamento relazionale, poi, le cause dei disordini alimentari vanno cercate nella famiglia: nelle dinamiche madre-figlia o nella conflittualità fra genitori. Infine, da qualche anno esiste una prospettiva che collega strettamente i comportamenti anomali legati al cibo a disturbi da dipendenza, come alcolismo e la tossicodipendenza. C’è quindi necessità di valutare anche diversamente questo panorama partendo da un nuovo punto di vista: i disturbi delle persone affette da anoressia, bulimia e vomiting sono il risultato di un processo di retroazioni tra soggetto e realtà, in cui sono proprio gli sforzi che la persona compie in direzione del cambiamento a mantenere la situazione immutata. Lo scopo del terapeuta diventa quello di spezzare il circolo vizioso tra la reiterazione dei tentativi fallimentari del soggetto per risolvere il proprio problema e alla persistenza delproblema stesso: per farlo, egli deve capire “come funziona” il problema, piuttosto che spiegare “perchè esso esiste”

I disordini alimentari sono patologie in rapida evoluzione, che si modificano in concomitanza all’evoluzione degli individui e delle società e, per questo, richiedono interventi terapeutici in grado di aggiornarsi continuamente in modo da calzare alla realtà su cui devono intervenire. Per esempio, il vomiting costituendo una patologia a sé stante, presenta caratteristiche di persistenza completamente diverse rispetto a quelle dell’anoressia e della bulimia e si configura come un vero e proprio “perfezionamento” nel campo dei disturbi alimentari. Questo tipo di disturbo, che attualmente appare essere il disordine alimentare più diffuso, ha come matrice la bulimia o l’anoressia ma una volta chesi è costituito diventa una vera e propria “qualità emergente”, che nonha più niente a che vedere con ciò che inizialmente lo ha prodotto. Indursi il vomito diviene un problema del tutto diverso ed autonomo.

Le persone che presentano il disturbo “vomiting” sono caratterizzate dall’impulso irrefrenabile a mangiare per vomitare e non solo ad abbuffarsi e poi a procedere con il vomito quale necessaria eliminazione di ciò che hanno mangiato. Attraverso la ripetizione continua, la sequenza del mangiare e vomitare si trasforma a poco a poco in un rituale sempre più piacevole, fino a diventare, nell’arco di qualche mese, il massimo dei piaceri, a cui la persona non riesce più a rinunciare. L’aspetto più rilevante di questa sindrome risiede quindi nel fatto che ciò che rende irrefrenabile la compulsione tipica del Vomiting è il piacere di tutta la sequenza del mangiare e vomitare, che viene progressivamente costituendosi come un vero e proprio modello di ricerca del piacere. Una volta instaurata una sindrome da vomito, dunque, il problema non è più il controllo del peso, ma il controllo di questa compulsione al piacere: il mangiare e vomitare, che rispetto ad anoressia e bulimia rappresentava la “tentata soluzione”, diventa il problema e trova nel piacere la sua ragione di persistenza. Emerge quindi, chiaramente, come la sindrome da vomito, pur essendo un prodotto evoluto di Anoressia e Bulimia, non possa essere considerato un disordine alimentare tout court, quanto piuttosto una vera e propria “ Ciò che permette di riconoscere una ragazza vomitatrice o potenziale vomitatrice e un’anoressica è il modo in cui parla del cibo. L’anoressica non ama assolutamente parlare del cibo, è un argomento che la disturba. Il cibo è qualcosa di costantemente cattivo: si ingeriscono soltanto quelle pochissime cose che popolarmente si sanno essere a bassissimo tenore calorico.

Un’anoressica non si soffermerà a parlare di quello che mangia, di come mangia, delle sue tentazioni circa il mangiare, perché sono sempre, perennemente sensazioni di disgusto. Mangia quel tanto necessario, indispensabile, per non finire ospedalizzata. La ragazza con sindrome da vomito parla del cibo come se parlasse di qualche cosa di molto piacevole, con gusto. Il binge eating è altresì un ulteriore esempio di sviluppo nel campo dei disordini alimentari: è connotato dall’alternarsi di periodi prolungati di astinenza o regime ipercontrollato nel rapporto con il cibo e periodi, più o meno lunghi, di intensa trasgressione, in cui la persona si abbandona completamente al piacere delle abbuffate. All’abbuffata, generalmente concentrata in uno spazio limitato di tempo, segue poi un altro lungo periodo “punitivo” di digiuno, e il ciclo ricomincia. Il sistema percettivo-reattivo di queste persone è quindi basato sulla continua alternanza di digiuno/abbuffata, controllo/perdita di controllo. La capacità di controllarsi di queste persone è infatti talmente ben riuscita che dopo un po’ non riescono più a gestirla e perdono il controllo. Partendo da questa prospettiva, tutti i disturbi alimentari sono il risultato di un modo “disfunzionale” di percepire e reagire “al reale” che noi stessi, con le nostre azioni, ci siamo costruiti (la Nostra realtà). Se all’interno di tale processo cambiano le nostre percezioni e le nostre reazioni, “coerentemente” cambieranno anche le nostre resistenze.

Portare a sperimentare (fare nuove esperienze), mediante stratagemmi e raffinate forme di suggestione -“nuove” percezioni di realtà -arresterà quel sistema circolare che rende persistente il problema e produrrà un concreto “cambiamento” nella sfera comportamentale, cognitiva ed affettiva di ognuno di noi. Con questo si vuole dire che per conoscere come un problema funziona non è sufficiente l’osservazione esterna, ma è necessario agire in modo da cambiarne il suo funzionamento. La realtà che ognuno di noi percepisce, i problemi che si creano e le patologie che si formano, sono il frutto delle modalità con le quali ognuno di noi si rapporta a tale realtà: non esiste una “unica” e “vera” realtà ma tante quante sono le nostre interazioni con tutto ciò ci circonda: “ognuno costruisce la realtà che poi subisce”.

Manuela Ponti
Psicologa psicoterapeuta
Movimento delle associazioni di volontariato italiano Mo.d.a.v.i. Futuro Pensato – gruppo del Veneto

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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