Diritto alla vita è diritto alla salute

L’anoressia miete vittime tra giovani e meno giovani, colpisce trasversalmente le classi sociali, ammesso che questa società possa, ancora, essere suddivisa in fasce; incide sulle stesse prospettive di sviluppo, perché – fatte salve rare eccezioni – affonda le radici in modelli di vita che nessun governo può sperare di correggere

La ribalta giornalistica di un problema sociale che ha assunto proporzioni, ormai, allarmanti, è fonte di un dibattito sempre più serrato tra psicologi, medici ed esponenti del mondo politico e delle Istituzioni. L’anoressia è un fenomeno che trascende i confini, tutt’altro che angusti, dei disturbi della personalità; una realtà che non può essere affrontata e combattuta a mezzo dei soli presidi farmacologici o clinici, una piaga che la legge, da sola, non può rimarginare. L’anoressia è tutto questo e, forse, qualche cosa di più: miete vittime tra giovani e meno giovani; colpisce trasversalmente le classi sociali, ammesso che questa società possa, ancora, essere suddivisa in fasce; incide sulle stesse prospettive di sviluppo, perché – fatte salve rare eccezioni – affonda le radici in modelli di vita che nessun governo può sperare di correggere.

E, tuttavia, l’anoressia impone, anche e soprattutto, qualche riflessione di carattere giuridico. In particolare, pone l’operatore del diritto, al quale sfuggono le sfumature psicologiche e sociali del fenomeno, di fronte ad uno dei temi fondanti dell’ordinamento: il diritto alla vita, ovvero, meglio, il diritto di vivere. L’articolo 2 della nostra Carta Costituzionale afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. Il successivo articolo 32 ci ricorda che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, precisando che soltanto la legge può imporre il trattamento sanitario obbligatorio. Infine, l’articolo 2 della c.d. Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali stabilisce che “il diritto di ogni persona alla vita è protetto dalla legge”. Viviamo, dunque, in un Paese che riconosce (vale a dire afferma come preesistente allo stesso ordinamento giuridico) il diritto alla vita e la protegge. Viviamo in uno Stato che si impegna a tutelare la salute, considerandola un diritto del singolo, ma anche della collettività.

Dunque, la Repubblica non può restare indifferente a fronte della mattanza indotta dall’anoressia. Deve, piuttosto, intervenire – mediante la legge – sulle manifestazioni patologiche, sapendo (e dichiarando) che la tutela alla salute, a volte, impone interventi coattivi; nell’interesse del singolo, il cui diritto alla vita, oltre che inviolabile, è indispensabile, ma anche nell’interesse dell’intera collettività, che rappresenta l’insieme degli individui che compongono il c.d. corpo sociale. Una lettura conforme a Costituzione dei principi appena enunciati, ci consente di ricavare una prima, significativa, conclusione: il diritto alla vita ed alla salute si traduce, in una prospettiva di interpretazione dinamica del dettato costituzionale, sul diritto di vivere. E di vivere bene, in salute ed in condizioni idonee a consentire lo svolgimento della personalità. Fatto il primo passo, il secondo viene da sé.

Una interessante teoria del diritto – la quale, a dire il vero, ha avuto migliore fortuna nei Paesi di Common law – afferma che il Diritto è un gioco. In altri termini, al Diritto dovrebbero applicarsi le regole ed i canoni del gioco (ovviamente, di un gioco serio). In questa prospettiva, è agevole comprendere la simmetria tra diritti e doveri, nonché le implicazioni soggettive che ne derivano. Al diritto di vivere corrisponde, quindi, il dovere – penalmente assistito da un precetto e da sanzioni – di non togliere la vita; allo stesso modo, il diritto alla salute implica il dovere di non recarle danno. Si noti: l’obbligo vincola tutti, interessato compreso anche se – per ovvie ragioni – la legge ha scelto di non punire chi compie atti autoconservativi. Sono, però, soggetti alla pena tutti coloro che, avendo il dovere di intervenire, omettono di farlo. Parlo dei genitori, che non si curano della evidente degenerazione delle condizioni di salute della figlia minore, che ha cessato di nutrirsi. Alludo ai medici, che talora sottovalutano segnali o sintomi allarmanti. Mi riferisco, insomma, a tutti coloro i quali, investiti della c.d. posizione di garanzia, omettono di fare quanto dovrebbero e, pertanto, si inseriscono nel procedimento di causazione dell’evento dannoso o letale che sia.
Mi rendo conto che può sembrare addirittura stravagante introdurre il tema della responsabilità in una materia così drammatica, quasi a voler aggiungere le stigmate della riprovazione ad una sofferenza molte volte devastante. Nondimeno, per quanto possa apparire sgradevole, è opportuno ricordare che quella responsabilità e quelle (eventuali) pene derivano dalla violazione di principi cardine dell’ordinamento. Ammesso il diritto alla vita ed il diritto alla salute e corredati entrambi di rilevanza sociale, il vincolo di solidarietà si traduce in precetto sanzionato (anche) penalmente, per ricordarci che la vita non è mai rinunciabile e che le omissioni sono inescusabili. In conclusione: so bene che la ricetta per curare l’anoressia non è scritta nei codici, e che la malattia non guarisce nei Tribunali; so, però, che una maggiore consapevolezza dei principi che regolano la nostra vita può aiutarci a capire che il problema è di tutti.

Mauro Anetrini 
Avvocato

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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