Basta con i modelli negativi

I servizi devono avere la capacità di costruire con la comunità e nella comunità modelli diversi e positivi di cosa sia salute e cosa sia la cura di sé. Il Friuli Venezia Giulia sta cercando di costruire da una parte nuovi modelli di collaborazione tra scuola, servizi sanitari e sociali, amministrazioni locali, associazionismo ecc. e dall’altra strumenti di informazione destinati agli operatori sanitari e sociali 

I disordini del comportamento alimentare e le loro forme più gravi (anoressia e bulimia) sono in costante aumento anche in regione Friuli Venezia Giulia. Si stima una prevalenza di 1,3% di forme gravi e del 6 % delle forme più lievi nella fascia di età tra i 15 e il 25 anni. Studi condotti in altri paesi quali l’Olanda hanno dimostrato che solo una minoranza di queste persone accede ai servizi. I problemi che un’amministrazione regionale deve affrontare quindi si possono sintetizzare in tre punti. Il primo è rappresentato dalla certezza che la patologia è in aumento, il secondo che è ancora sotto diagnosticata, il terzo che si accede poco alle cure e ai servizi. Per affrontare il primo tema è indispensabile pianificare interventi di prevenzione attiva. Ma come? Non ci sono ancora studi convincenti che dimostrino l’efficacia della prevenzione primaria, ma è evidente come alcuni modelli culturali abbiano un peso rilevante. Si sa che sono proprio alcune professioni che godono ora di grande popolarità (modelle, ballerine, atlete, ecc.) ad essere più a rischio. La spiegazione più convincente dell’aumento dei casi sta proprio nell’intreccio tra modelli culturali diffusi ed enfatizzati dai mass media ed in particolare dalla televisione e l’influsso di questi nell’età adolescenziale. Non è semplice quindi per il servizio sanitario affrontare un problema di questo tipo proprio perché richiede un approccio a tutto campo. È necessario sviluppare strategie globali che coinvolgano tutte le istituzioni in grado di veicolare verso gli adolescenti nuovi messaggi di salute. Il primo obiettivo è sicuramente quello di cercare di contrastare modelli negativi. Ma la prevenzione deve però su questo ripensarsi. Non può essere l’approccio didattico e terroristico a prevalere. È ampiamente dimostrato che non aiuta ad essere più informati né influisce sugli stili di vita.

Deve essere invece la capacità dei servizi di costruire con la comunità e nella comunità modelli diversi e positivi di cosa sia salute e cosa sia la cura di sé. La nostra Regione sta cercando di costruire da una parte nuovi modelli di collaborazione tra scuola, servizi sanitari e sociali, amministrazioni locali, associazionismo ecc. e dall’altra strumenti di informazione destinati agli operatori sanitari e sociali, sviluppati sulla base di evidenze scientifiche e di altre esperienze già in corso. Il secondo tema è di avere la capacità di riconoscere i casi e di saperli affrontare. Si è capaci di vedere quello che si sa. È quindi necessario allertare e formare la “prima linea” (MMG, consultori familiari, pediatri) al saper riconoscere e al saper fare. Troppo spesso è insufficiente la formazione di base e diffusa sui disturbi del comportamento e in generale sui disturbi psichiatrici. Si sa ad esempio quanto sia poco diagnosticata e poco trattata una malattia importante e grave come la depressione. Il terzo punto è quali debbano essere i servizi per far fronte ai casi conclamati e complessi. È evidente che questi servizi devono essere veloci, flessibili, articolati, capaci di fornire risposte personalizzate. In questo caso deve essere attivata una vera rete che possa saper parlare di dieta, ricoverare in un reparti ospedalieri se è necessario, fornire un supporto residenziale adeguato quando serve e così via.

Nello stesso tempo questi servizi devono rifuggire dalla tentazione dell’essere l’ennesimo servizio superspecialistico che separa, etichetta e crea stigma. Da sempre la medicina ha la tendenza, di fronte ad un problema, a creare non una soluzione bensì una struttura rigida, “un reparto” dove reparto è sinonimo di divisione. È proprio questo l’errore da evitare. Su questo terreno siamo in ritardo. Il Piano socio-sanitario triennale del FVG di recente approvato si pone proprio l’obiettivo di rafforzare una modalità di intervento integrato in grado di superare l’attuale eterogeneità della risposta, di promuovere una rete “multidisciplinare di professionisti (tra cui MMG, pediatri, servizi distrettuali..) in grado di cogliere precocemente i primi sintomi, di fare la diagnosi, di valutare il bisogno in termini multiprofessionali e di programmare un intervento personalizzato”. La strada non è sicuramente semplice: nessun atto amministrativo o legislativo può garantire l’integrazione dei servizi e una nuova cultura della “presa in carico” attiva delle condizioni di bisogno. Un problema come i disturbi del comportamento alimentare, che agisce con forti pressioni culturali sulla popolazione giovane, deve trovare soluzioni che siano in grado di essere dentro la vita quotidiana e non fuori. Può sembrare uno slogan ma è proprio questa la vera sfida della costruzione di un nuovo modello del prendersi cura e quindi di un nuovo modello di sanità.

Ezio Beltrame
Assessore alla Salute e Protezione sociale
del Friuli Venezia Giulia

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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