Il bambino sognato e quello reale

Quando viene al mondo un bimbo ha già un corredo di proiezioni, profezie, paure e desideri dei genitori e della famiglia, emozioni, sentimenti ed aspirazioni che sin dall’inizio influiscono sulle relazioni che ha con loro e che moduleranno il suo modo di vivere se stesso

Prima che nel ventre materno il bambino vive nella fantasia: nel desiderio della madre e del padre, nei miti familiari della coppia, nei sogni dei fratelli e della famiglia allargata.

La nascita della famiglia naturale (o adottiva) avviene seguendo un percorso analogo, prima nella fantasia, nel desiderio, nel mito, nei dubbi e nei timori, poi nella realtà, quando il figlio “irrompe” modificando tutto, dando compimento ma trasformando radicalmente e irreversibilmente la coppia in famiglia.

La genitorialità dell’adulto ha infatti una sua storia e delle radici già nell’infanzia: il proprio vissuto di figlio, le emozioni vissute alla scoperta del proprio corpo “sessuato”, i sogni della costruzione di una propria famiglia, le fantasie e le emozioni  collegate alla pubertà, la comparsa del ciclo mestruale, l’innamoramento e la vita di coppia, l’esperienza della fertilità o infertilità… si intrecciano con la difficoltà e la capacità di integrazione tra il desiderio di realizzazione personale e il desiderio di maternità e paternità…

Nel divenire genitori contano molto le esperienze vissute in quanto figli: figli che ritengono di essere nati in una buona famiglia, o che pensano di non essere stati amati, che portano con sé il rifiuto dello stile dei genitori o l’intento di essere ad ogni costo diversi da loro, ripropongono comunque le esperienze vissute e sperimentate nella propria relazione con i genitori…

Risultano correlate con il funzionamento genitoriale anche le caratteristiche psicologiche dei neo genitori, la localizzazione interna del controllo, la capacità di intrattenere relazioni interpersonali affettuose, la capacità di adattarsi a situazioni nuove e la soddisfazione o insoddisfazione personale e professionale.

Alla nascita il bambino si trova già quindi con un “corredo” di proiezioni, di profezie, di paure e desideri dei genitori e della famiglia che influiscono sulle relazioni che avrà con loro e che moduleranno il suo modo di viversi; alla nascita il bambino ha già un “corredo relazionale” costruito in nove mesi di interazioni piacevoli o spiacevoli, ha un ritmo sonno veglia organizzato con il ritmo della madre, ha già ascoltato quanto la madre ha ascoltato, ha sognato quando la madre ha sognato, si è attivato quando la madre ha provato emozioni piacevoli o spiacevoli…

Ogni neonato è già, per altro, dotato di competenze sue individuali  sorprendenti, di un patrimonio innato che gli  permette di stabilire fin dai primi momenti di vita ( come già in utero) un “dialogo” significativo con la madre e con l’ambiente circostante; è un soggetto attivo, dotato di caratteristiche comportamentali che lo predispongono al rapporto sociale: un rapporto ricco di scambi affettivi e di “informazioni” che risultano essere fondamentali per lo sviluppo.

Questo rapporto, questo processo interattivo, coinvolge profondamente sia il bambino sia l’adulto; entrambi i partner della relazione, infatti, pur presentando livelli quanto mai diversi di competenze, si influenzano reciprocamente.

La famiglia nasce in questo momento, quando il primo figlio cambia radicalmente i ruoli sociali, i rapporti all’interno della coppia e con la famiglia allargata e con la società in generale, quando la madre, “elaborato il lutto”della perdita del bambino come “parte di sé” e alimentato il desiderio del bambino parzialmente “altro da sé”, riconosce nei movimenti del figlio il ritmo dei movimenti che sentiva in utero, sente l’odore del bambino e lo riconosce come appartenente a qualcosa che ha a che fare con lei e con il partner, ne osserva le caratteristiche somatiche e si trova in parte rispecchiata ed in parte stupita e differente .

Questo percorso segue uguali leggi per il bambino che nasce in un reparto Ospedaliero e che nei giorni di permanenza al Nido viene accompagnato alla famiglia, e per il bambino che non viene riconosciuto o che viene abbandonato alla nascita…ma questo secondo bambino nasce con un doppio bagaglio di sogni, proiezioni e desideri…positivi e negativi sia per la coppia che lo abbandona, sia per la coppia che diventa famiglia per lui.

Dal bambino sognato al bambino reale (il sostegno degli operatori sanitari)

Il personale che vive fianco a fianco con il neonato e che accompagna la coppia (naturale o adottiva) a diventare una famiglia, si costruisce sul campo una professionalità ed una competenza ”relazionale” oltre alla competenza “biologica”, acquisita con il titolo di studio.

Questa interazione tra le competenze “biologiche” e “relazionali” del bambino, dei genitori e del personale può essere estremamente incisiva sulla nascita dei primi rapporti affettivi del bambino.

Il periodo perinatale è infatti un periodo ricco sul piano emotivo per tutte le figure che ne sono coinvolte.

I genitori sono particolarmente sensibili nell’incontro con il figlio naturale o adottivo (sia che questi sia sano, sia, tanto più, nel caso presenti qualche difficoltà), e  possono essere tanto fragili o vulnerabili da accogliere con ansia e ricordare per tutta la vita ogni parola ed ogni intervento dei “tecnici”.

I “tecnici” analogamente si trovano a fare i conti con il riemergere dei propri vissuti di figli e di genitori, e con le emozioni legate alla malattia, all’ abbandono, alla solitudine del bambino, e ai primi approcci della famiglia adottiva che si avvicina ad un figlio sognato e desiderato ma che non può ancora riconoscere come “carne della propria carne” nel ritmo del movimento e del sonno, nel profumo, a volte nel colore della pelle …e lo riceve dal Nido come il padre riceve il bambino dalla madre. Questa metafora, del “nido madre” che consegna il bambino alla coppia adottiva o affidataria  “padre” mi pare renda l’idea dell’attenzione protettiva e vigile con cui gli operatori osservano e guidano i primi passi della costruzione della nuova famiglia.

E’ possibile aiutare i genitori, ed in genere durante i corsi di preparazione al parto e nei colloqui di preparazione all’adozione si  propongono in modo sistematico occasioni per rielaborare la storia della nascita del figlio e della famiglia dando voce agli elementi costitutivi della relazione.

Ma è soprattutto la vita quotidiana di un reparto di ostetricia e/o di neonatologia  che offre  occasioni estremamente utili e spesso irripetibili nel sostegno ai genitori: l’atteggiamento accogliente, la parola, il gesto di un’infermiera o di un medico possono aiutare il genitore ad esprimere sofferenze, difficoltà, sogni e aspettative che altrimenti resterebbero non dette.

E’ opportuno che il personale del reparto non rinunci al ruolo di confidente e consulente che il genitore spontaneamente gli attribuisce quando trova un intoppo nel suo percorso “verso la famiglia”; spesso infatti i genitori “scelgono” la persona con cui parlare e a cui eventualmente chiedere aiuto rivolgendosi spontaneamente all’operatore che sentono più vicino, in genere l’infermiera che più è a contatto con  il bambino.

Questo ruolo di sostegno è  però a volte costellato da ansie, timori, preoccupazioni dell’infermiere o del medico che teme di non essere sufficientemente “competente” nel valutare l’entità della sofferenza del bambino e della sua famiglia e sente la necessità di chiamare in causa lo specialista in neuropsichiatria. Anche chi sostiene può aver bisogno di sostegno.

Lo specialista neuropsichiatra di riferimento di un reparto di T.I.N. o di pediatria deve fare attenzione, a mio parere, alle scelte esplicite o implicite dei genitori e del bambino nei confronti dell’operatore o degli operatori ( anche il neonato in qualche modo segnala le sue preferenze) e sostenere la relazione; il suo ruolo consiste allora nel “dare parole”agli eventuali dubbi e timori degli infermieri e dei medici, ascoltare le loro osservazioni e valutazioni per permettere che ogni bambino costruisca il percorso con la sua famiglia, senza sostituirsi nel rapporto diretto con i genitori e con il bambino

E’ opportuno allora prevedere occasioni in cui i vari operatori possano discutere tra loro e confrontarsi  o chiedere un supporto quando si trovino in difficoltà a gestire le emozioni dei genitori o le proprie reazioni nei confronti della sofferenza del bambino.

Le esperienze descritte in letteratura mostrano che le risposte più adeguate per i bambini sono state “costruite su misura”  dagli operatori, impegnati con gli specialisti nella ricerca delle soluzioni più opportune per “proteggere lo sviluppo del bambino” nei casi in cui le necessità di intervento tecnico-terapeutico parevano in contrasto con i bisogni emotivi e relazionali…( in situazioni di ricoveri prolungati dovuti a situazioni di trascuratezza o di abbandono da parte della famiglia come in casi di  neonati che necessitano di e di interventi dolorosi o di isolamento …) .


Silvana Cremaschi

membro del Comitato direttivo triveneto della Società Scientifica di Neuropsichiatria Infantile; dirigente medico presso l’U.O. di NPIA; Referente dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’ Infanzia e dell’Adolescenza dell’ASS 4 Medio Friuli

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