“Senza qualcuno nessuno può diventare un uomo”

Il linguaggio carismatico di Giuseppe Povia     

L’artista, il cui nome è legato al progetto di aiuto alle vittime della guerra civile nel Darfur “Avamposto 55”, ha scritto uno dei “tormentoni” del 2005: “i Bambini fanno oh!!.” Un successo di cui ha girato un anno di proventi a favore delle vittime di una delle più sanguinose guerre africane

Un pomeriggio di agosto mi squilla il cellulare: è qualcuno che mi sta chiamando da un numero riservato. Rispondo. “Buongiorno, vorrei parlare con Marina…” fa un ragazzo con una voce simpatica. “Veramente sono Martina…” e lui scherzosamente, ridendo: “Sì, lo so, volevo vedere se eri attenta! Ti sto chiamando perché mi hanno detto che mi cercavi per un’intervista, sono Giuseppe Povia!”. E così capisco che, dopo un mese intero vanamente speso in maldestri tentativi di metterci in contatto con il giovane cantante, a forza di telefonare a mille agenti e a mille case discografiche dobbiamo aver parlato con qualcuno che gli ha davvero passato il mio numero di telefono… E dal modo semplice con cui l’artista, il cui nome è legato al progetto di aiuto alle vittime della guerra civile nel Darfur “Avamposto 55”, mi contatta e si rende disponibile, capisco subito che non è affatto uno di quei personaggi del mondo dello spettacolo che, magari, con le loro canzoni, si presentano in un certo modo ma poi nascondono una personalità molto diversa da quella venduta alle radio ed alle televisioni. Al contrario: le cose che non riescono a restare inosservate sono la sua umanità e la sua voglia di essere vicino agli altri.

Originario dell’isola D’Elba, Povia è nato a Milano nel ‘72. A 14 anni comincia a suonare la chitarra come autodidatta e a 20 inizia a comporre le sue prime canzoni. Nel ‘99 si iscrive all’Accademia di Sanremo dove, dopo essere arrivato in finale, viene eliminato per la sua ironica esuberanza. L’esperienza si rivela comunque di fondamentale importanza per la sua carriera perché qui incontra il produttore Giancarlo Bigazzi che lo mette in contatto con un altro produttore, Angelo Carrara, per la realizzazione e l’arrangiamento del singolo “E’ Vero”. Nel 2003 è il vincitore della XIV Edizione del Premio Città di Recanati “Nuove Tendenze della Canzone Popolare e d’Autore” con la canzone “Mia Sorella”. In questa occasione esegue parte della canzone, appena composta, “I bambini fanno oh”, e deve di conseguenza rinunciare alla gara canora di Sanremo nella categoria giovani. Pur non essendo in gara, il pezzo viene scelto come colonna sonora per “Avamposto 55”, una campagna di solidarietà a favore dei bambini del Darfur presentata al Teatro Ariston durante il Festival.

“In effetti – racconta Povia – non dico niente di originale perché per me la canzone è sempre stata un rifugio e un lungo cammino spirituale per farmi passare la depressione, l’ansia…non ho mai studiato oltre la terza media, quindi non provengo da filoni poetici o filosofici ma se tornassi indietro… questo vorrei studiare…sì lo so, sono ancora in tempo!” “Avendo una naturale predisposizione a voler stare al mondo – scrive ancora di sé – la scuola di vita, cioè quella tamarra per eccellenza, non poteva e non può fare altro che aprirmi gli occhi e così ho scoperto col mio linguaggio di essere carismatico e poter arrivare al cuore di qualcuno… anche perché appunto… senza qualcuno nessuno può diventare un uomo”.

Dopo essermi un po’ raccapezzata dalla sorpresa della sua telefonata, comincio a fare a Povia le mie domande… la linea è un po’ disturbata perché lui è in viaggio, così ogni tanto mi scuso e gli chiedo di ripetere qualcosa… “Non preoccuparti”, è la risposta. E sempre ridendo “e poi pago io!”

Hai cominciato a suonare la chitarra e a comporre le tue prime canzoni da autodidatta. Chi o che cosa ha fatto nascere in te il bisogno di fare musica?

“A far nascere in me la necessità di esprimermi con la musica è stata senz’altro la mia famiglia. Mia mamma, ad esempio, che cantava sempre e aveva anche vinto un “Microfono d’Argento” con Mike Bongiorno. E mio nonno che faceva teatro. Vengo da una famiglia umile dove tutti hanno sempre lavorato molto: ma anche se non abbiamo vissuto d’arte tutti in casa mia erano artisti”.

Nel ’99 c’è stata l’Accademia di Sanremo cui sono seguiti la realizzazione del singolo “E’ Vero” e la vittoria, nel 2003, della XIV Edizione del Premio Città di Recanati. Di questa parte del tuo percorso musicale quali sono le persone che ricordi con maggior emozione e gli episodi che ti hanno segnato di più?

“Le persone che mi sono state sempre vicine sono la mia fidanzata Teresa, Giancarlo Bigazzi, Angelo Carrara e Fabrizio Federighi, un ragazzo che mi ha insegnato a cantare ed a pescare (la pesca, per me, è una grande metafora di vita). Non ci sono stati episodi più importanti degli altri, quello che posso dirti è che la cosa più importante nel mio percorso è stata osservare quello che succedeva in giro”.

Nel 2005 la canzone “I bambini fanno oh” viene presentata al Festival di Sanremo. Com’è cambiata la tua vita dopo aver raggiunto la notorietà presso il grande pubblico?

“Beh, i cambiamenti sono che vado molto più in giro, che mi riconoscono per strada, che mi chiedono gli autografi… La mia vita però non è cambiata molto dal punto di vista economico, perché ho deciso di devolvere per un anno i proventi derivanti dai diritti d’autore a favore di Avamposto 55, il progetto di aiuto alle vittime della guerra nel Darfur. Umanamente non sono cambiato: la notorietà non è diventata un’abitudine, e se lo diventasse smetterei”.

Hai devoluto, quindi, per un anno intero i proventi derivanti dai diritti d’autore a favore di un’iniziativa che intende aiutare le vittime di una guerra. Ti consideri un musicista che sente il bisogno di mettere al servizio degli altri la sua arte? In che modo?

“Io credo che non bisognerebbe parlare di mettere l’arte al servizio di chi ne ha bisogno, ma è l’artista che dovrebbe mettersi al servizio di chi ne ha bisogno, devolvendo magari anche solo il 2% o il 3% dei suoi proventi a favore di chi è meno fortunato. Invece molti si limitano a parlare di mettere al servizio degli altri l’arte ma poi in concreto non fanno nulla, ed è molto facile parlare…”

Hai mai avuto esperienze nel mondo del volontariato?

“No, purtroppo non ho mai fatto esperienze nel mondo del volontariato, a parte la figura della beneficenza e la devoluzione dei proventi. Mi sarebbe sempre piaciuto e mi piacerebbe molto fare un corso per il pronto soccorso per poi così poter andare ad aiutare la gente col mio lavoro a gratis. Purtroppo in questo momento della mia vita non riuscirei assolutamente a trovare il tempo necessario, ma un domani…”

Scrivi ne “I bambini fanno oh” che “senza qualcuno nessuno può diventare un uomo”. Chi ti ha aiutato a diventare un uomo? Chi hai aiutato a diventare un uomo?

“Mi ha aiutato a diventare uomo il cammino che ho fatto nella vita. Ho lavorato moltissimo, ed il lavoro fa diventare uomini: una cosa che fa crescere moltissimo, poi, secondo me, è prestare il proprio lavoro sotto gli altri. Non so chi ho fatto diventare uomo ma spero che in tal senso potrò aiutare mia figlia Emma, che ora ha sette mesi”.

Per una bambola o un robot magari litigano un po’; ma col ditino, ad alta voce, almeno loro fanno la pace”. Così descrivi i bambini nella tua canzone “I bambini fanno oh”. Cosa ti ha ispirato questa canzone? Che cosa dovremmo imparare dai bambini?

“Dai bambini dovremmo imparare a non pensare troppo, a non prenderci molto sul serio, a meravigliarci per le piccole cose che spesso a noi adulti passano inosservate e così non riusciamo più a goderne. Quello che mi ha ispirato questa canzone è stato fondamentalmente il pensiero che a noi adulti sembra tutto scontato mentre con gli occhi dei bambini tutto è bello, non esistono pensieri cattivi, non esistono sospetti, non esistono differenze tra le persone: non esiste il disabile, non esiste il malato, non esiste l’immigrato, non esiste il nero, non esiste il diverso, ma esistono solo tante persone ognuna con qualcosa da dire… dovremmo imparare l’innocenza”.

Sabato 2 luglio hai cantato al Live 8, una giornata d’azione mondiale con cui, tramite l’organizzazione di una serie di concerti che si sono svolti a Londra, Edimburgo, Philadelphia, Berlino, Parigi, Roma, Tokio, Johannesburg e Mosca, milioni di persone si sono riunite per chiedere l’annullamento totale del debito, maggiori e migliori aiuti all’Africa e giustizia negli scambi commerciali. Pensi che ognuno di noi possa portare il suo contributo per cambiare il futuro di milioni di uomini, donne e bambini? Come?

“Ognuno può portare il suo contributo senza pretendere di scomodare l’arte e senza spendere molte parole ma dando un po’ del suo benessere. Invece di cancellare il debito pubblico io credo che dovrebbero cancellare il reddito. Quando in una bilancia uno dei due piatti è a terra, quello che fai è togliere un po’ di peso da una parte e metterlo dall’altra… e così bisognerebbe fare per ripartire il benessere nel mondo, così ognuno di noi potrebbe cambiare il futuro degli altri…”… e si mette a cantare “Parole, parole, parole” di Mina, ridendo, ma stavolta con un po’ di tristezza…

L’intervista è finita, saluto Giuseppe Povia che non smette di augurarmi tantissima felicità e tantissime cose belle per la mia vita… e mi metto a scrivere, felice nella consapevolezza che, ogni tanto e forse più spesso di quanto possa sembrare a prima vista, dal mondo dello spettacolo e dal mondo dell’arte ci arrivano anche messaggi che vale la pena di ascoltare attentamente…

 

Martina Seleni
giornalista pubblicista

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