Chi aiuta le madri salva i bambini

Storia di Rachele e di sorti non sempre benigne Ragazze sbandate, senza fissa dimora, tossicodipendenti o con problemi psichici.Clandestine irretite dalla prostituzione, minacciate dagli sfruttatori. Infine, giovanissime che vivono la gravidanza come un vergogna da non confidare in famiglia. O vittime di uno stupro. Le madri che abbandonano i figli spesso sono solo povere donne in difficoltà

Vincenzo D’Angeli, operaio trasportatore, come tutte le mattine anche quell’11 luglio scorso è andato a prendere il suo furgone parcheggiato in una viuzza dell’Osteria del Curato, periferia di Roma.  Prima di mettere il carico, ha dato un’occhiata al cassone: “ Mi sono messo a tremare quando ho visto quella bambina addormentata”, dirà in seguito ai cronisti.Era una neonata dai tratti orientali, forse cinese o filippina, partorita dodici ore prima. All’ospedale l’hanno chiamata Rachele. Sarebbe sopravvissuta se il signor Vincenzo quel giorno non fosse andato al lavoro, se avesse caricato il furgone senza guardare, se la notte fosse arrivato un temporale?

La sopravvivenza della piccola Rachele, adesso già data in adozione a una giovane coppia, era legata all’esile filo delle circostanze favorevoli. Per altri bambini abbandonati, la sorte non è stata altrettanto benigna. Nessuno è arrivato in tempo per salvare, e cito un solo doloroso caso, la piccola trovata, il 19 gennaio scorso, dentro una cabina telefonica nel centro di Milano, poco distante dal tribunale, passata dalla vita alla morte senza un nome, in una notte di freddo. Rachele, viva per caso, è diventata quasi il simbolo di un convegno che si è tenuto a Roma il 13 luglio. L’ha organizzato il Ministero delle Pari opportunità, per lanciare una campagna di informazione contro l’abbandono dei neonati. Perché i giornali pubblicano con tanti particolari le notizie sui bambini ritrovati, ma sono assenti o distratti nel far conoscere le opportunità offerte dalla legge e dalle istituzioni  per aiutare le madri in difficoltà. Alla tavola rotonda del convegno hanno partecipato studiosi ed esperti come Anna Clemente, che dirige il gruppo diritti umani della Commissione parità; Paola Ricci Sindoni, docente all’Università di Messina; Magda Brienza, presidente del Tribunale per i minorenni di Roma; Maria Carla Bocchino, vicequestore della polizia; Massimo Ammaniti, psichiatra, docente all’Università di Roma; Francesco Marsico, vicedirettore della Caritas; Massimiliano Fanni Canelles, medico, direttore di questo periodico; suor Giuliana Moretti, responsabile di una casa-famiglia a Roma.

 Dai loro interventi, sono emersi due motivi principali dell’abbandono. Il primo è che le donne che abbandonano un figlio alla nascita non sono “madri snaturate” come si diceva un tempo, o “scherzi di natura”, secondo la frettolosa e inaccettabile definizione di alcuni sociologi. Ma, per la maggior parte, immigrate prive del minimo sostegno, o che hanno paura di perdere il lavoro se fanno un figlio. Ragazze sbandate, senza fissa dimora, tossicodipendenti o con problemi psichici. Clandestine irretite dalla prostituzione, minacciate dagli sfruttatori. Infine,  giovanissime che vivono la gravidanza come un vergogna da non confidare in famiglia. O anche vittime di uno stupro, che subiscono la violenza nell’isolamento, fino a negare la gravidanza e  arrivare all’infanticidio

Il secondo motivo è la mancanza di conoscenze sull’aiuto che possono dare  la legge e lo Stato alle madri in difficoltà. C’è la possibilità di partorire in ospedale in assoluto anonimato e di lasciare il bambino all’ospedale che provvederà all’adozione. Ci sono anche diverse forme di assistenza, medica e sociale. In casi di grave bisogno, lo Stato riconosce un assegno di maternità, che per il 2005 è di 1.747 euro;  i Comuni provvedono con assegni mensili di circa 285 euro per cinque mesi.

Il manifesto della campagna di informazione rappresenta un bambino quietamente addormentato, protetto dentro un guscio come una lumaca. Per dire che anche l’esistenza più a rischio può salvarsi, e non per caso come è successo alla piccola Rachele: bensì ma facendo conoscere le possibilità di aiuto e assistenza alle madri che non sono “snaturate” ne’ “scherzi di natura”,  ma  tremendamente sole e disperate.

Franca Zambonini
giornalista del settimanale “Famiglia Cristiana”

Rispondi