Dante, Divina Commedia, Inferno: la selva, la retta via e l’amore

di Tiziana Mazzaglia   @TMazzaglia

 

Alcuni concetti presenti nella Divina Commedia di Dante Alighieri, Inferno canto I, II, V. La selva oscura, la retta vita, l’amore cortese.

 

Paolo e Francesca, dipinto. Fonte: google.it

Paolo e Francesca, dipinto. Fonte: google.it

I primi versi della Divina Commedia, sono l’esordio del viaggio intrapreso da Dante, di cui parla l’intera opera:

1.                  Nel mezzo del cammin di nostra vita

2.                  Mi ritrovai per una selva oscura,

3.                  Ché la diritta via era smarrita.

 

4.                  Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

5.                  Esta selva selvaggia e aspra e forte

6.                  Che nel pensier rinova la paura!

In questi versi Dante ci dice: Quando avevo compiuto l’età che noi intendiamo come il punto in cui si è giunti a metà del cammino, quindi lasciamo alle spalle la giovinezza e andiamo incontro alla vecchiaia. Mi ritrovai in uno stato di confusione mentale, di crisi e depressione, tale da vedere tutto nero e quindi avevo perso la strada della salvezza che conduce a Dio. -La selva oscura di cui ci parla è la metafora della confusione mentale e la retta via è la metafora di una vita vissuta secondo i comandamenti cristiani, quindi senza peccati e anche nella gioia-. Ahi, ancora adesso, parlare di quell’esperienza, aspra, difficile e travagliata procura in me paura, perché il solo ricordo rievoca tutte le sofferenze provate.

In questo modo Dante ci racconta di come mai si è imbattuto nell’ultraterreno. Accompagnato da Dante percorre l’Inferno. Quando si rende conto di essere giunto nell’oltretomba da vivo, si spaventa e ricorda di Enea, l’unico a cui, finora era stato dato questo privilegio e a cui era stato destinato il compito di fondare Roma, la sede dell’Impero e della Chiesa. Questo accade nel canto II, in cui l’autore-protagonista ci mostra i suoi dubbi e i suoi timori nel sentirsi inadeguato al compito assegnatoli dal destino.

31.   Ma io, perché venirvi? O chi ‘l concede?

32.   Io non Enëa, io non Paulo sono;

33.   me degno a ciò né io né sltri ‘l crede.

«Ma io, perché dovrei intraprendere questo viaggio? Chi lo sta decidendo? Io non sono Enea, né Paolo. Nessuno mi pensa degno di tale onore, né io né altri».

A questa supplica risponde Virgilio, la guida:

43.  «S’ì ho ben la parola tua intesa»,

44.   rispuose del magnanimo quell’ombra,

45.   «l’anima tua è da viltade offesa;

46.   la qual morte fïate l’omo ingombra

47.   sì che d’onrata impresa lo rivolve,

48.   come falso veder bestia quand’ombra.

Virgilio dopo aver ascoltato la supplica di Dante, gli risponde dicendo di aver capito il suo stato d’animo indebolito da una vita spesso angosciosa, in cui l’uomo si sente ostacolato nel sul cammino e lo incita a continuare e a non lasciarsi spaventare dal buio, perché quando manca la luce non si vede cosa ci circonda e si ha paura immaginando cose che non ci sono.

Così, Dante continua il suo viaggio e incontra vari personaggi, come ad esempio le due anime di Paolo e Francesca (Canto V). Collocati nel secondo cerchi, dove vi sono le anime morte per peccato di lussuria, costretti a vagare spinti dai venti. Dante osserva questo luogo e la sua attenzione viene catturata da queste due anime che viaggiano insieme, abbracciate. Francesca si accorge della presenza di un umano incuriosito e decide di raccontagli la sua storia. Era stata data in moglie ad un ricco e anziano uomo, di cui non ne era innamorata. Questo aveva un fratello giovane e bello, Paolo. Un giorno, si sono ritrovati soli, in una stanza del palazzo e leggendo il libro che racconta la storia d’amore di Lancillotto e Ginevra si sono accorti di amarsi. Il fratello di Paolo, marito di Francesca li ha sopresi e li ha uccisi.

100.   Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,

101.   prese costui de la bella persona

102.   che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

103.   Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

104.   mi prese del costui piacer sì forte,

105.   che, come vedi, ancor non m’abbandona.

106.   Amor condusse noi ad una morte.

107.   Caina attende chi a vita ci spense».

108.   Queste parole da lor ci fuor porte.

(…)

127.   Noi leggiavamo un giorno per dieltto

128.   di Lancillotto come amor lo strinse;

129.   soli eravamo e senza alcun sospetto.

(…)

137.   Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse.

(…)

142.   E caddi come corpo morto cade.

 

In questi versi Francesca ci parla dell’amore inteso con i termini di amore cortese, nobile d’animo. Un amore che nasce in un cuore ingenuo, sensibile e non malizioso, che li ha travolti all’improvviso. Ci descrive di come un amore puro l’ha travolta, e allo stesso modo irruento le è stato ucciso l’uomo amato. Un amore mai provato da nessuno prima di loro due, degno di essere perdonato a causa della sua natura spontanea, che non ha colpa, un amore che continua, ancora, dopo la morte eppure, li ha condotti alla morte, anche se, poi la peggior morte ha atteso chi gli ha tolto la vita e che in base a questo peccato è destinato a Caina, un’altra parte dell’Inferno, in cui si trovano collocati i traditori dei parenti. Ancora, Francesca si giustifica citando come causa del loro innamoramento la lettura della storia d’amore di Lancillotto e Ginevra. Dante comprende il dolore delle due anime e non li giudica colpevoli, anzi, si commuove talmente tanto da cadere a terra svenuto.

 


 

 

 

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