Premiare la virtù

Stefano Zamagni

È possibile comportarsi pedagogicamente con la cittadinanza, educandola anche attraverso le lodi affinché comprenda che, rispettando la legge, non fa del bene soltanto agli altri, ma anche a se stessa.

L’evasione fiscale rappresenta una piaga endemica e strutturale della società italiana. Nel nostro Paese, attraversa tutti gli strati sociali e tutte le regioni in maniera trasversale. Molto spesso, sui mass media non trapela il fatto che, per esempio, la percentuale più alta di cittadini che evadono il fisco è nel Nord-Italia. Il fenomeno riguarda anche i dipendenti a reddito fisso, rispetto ai quali, ovviamente, ci riferiamo al reddito non percepito direttamente dal datore di lavoro. L’evasione fiscale non ha residenza, dunque, al Sud, né esprime il suo apice tra gli artigiani o tra i dentisti: in Italia, riguarda la maggioranza della popolazione ed ha un volume che raggiunge i 120 miliardi di euro all’anno.
Per contrastare questo processo, lo Stato investe, ormai da 60 anni, cifre considerevoli per permettere all’Agenzia delle Entrate, ai tribunali, alla Guardia di Finanza e alle carceri di funzionare in maniera efficace. Ma proprio l’efficacia rincorsa appare, come l’orizzonte, costantemente un passo più in là. E il fenomeno, anziché ridursi, aumenta.
Appare necessario un cambio di prospettiva e, a mio avviso, dobbiamo partire da una domanda che non molti hanno il coraggio di porre per la sua entità e l’eco che potrebbe avere: quali sono le cause di una tale diffusione dell’evasione fiscale in Italia? Perché ci troviamo in questa situazione?
Per comprenderlo, è utile partire dalle origini dell’approccio contemporaneo alla lotta contro gli evasori: nel 1764, nel pieno sviluppo dell’Illuminismo milanese, Cesare Beccaria scrisse il celebre saggio “Dei delitti e delle pene” nel quale l’intellettuale definisce l’evasione come un delitto. La ricetta pensata per ridurre e debellare il problema passa per l’inasprimento delle pene: la teoria illuministica di Beccaria sosteneva che rendere la vita difficile agli evasori sarebbe stato un efficace disincentivo alla pratica delittuosa. Questo modello è diventato quello prevalente. Tuttavia, ci fu una replica alla teoria del Beccaria affidata alla penna di Giacinto Dragonetti.
Insieme al suo maestro Antonio Genovesi, Dragonetti animò l’Illuminismo nel secondo centro culturale italiano dell’epoca: Napoli. Il conflitto intellettuale tra la città partenopea e quella lombarda si risolse, però, a favore della seconda e molto del pensiero dei Napoletani non ha avuto la fortuna che meritava.
La critica diretta a Beccaria è contenuta nel pamphlet “Della virtù e dei premi”, pubblicato in forma anonima nel 1766. Secondo Dragonetti, infatti, è meglio utilizzare le risorse destinate a combattere i comportamenti malavitosi, tra i quali colloca l’evasione fiscale, per premiare i virtuosi. A partire da questo spunto, può mutare completamente la visione della lotta all’evasione: premiare quelli che pagano le tasse serve a curare e potenziare la cittadinanza.
Rispettare e pagare le imposte non costituisce, semplicemente, “fare il proprio dovere”. Anzi, limitarsi a questo punto di vista è, a mio avviso, una forma di ipocrisia. È possibile comportarsi pedagogicamente con la cittadinanza, educandola anche attraverso le lodi affinché comprenda che, rispettando la legge, non fa del bene soltanto agli altri, ma anche a se stessa. Un meccanismo che premi la virtù ha l’obiettivo e l’ambizione di provare a cambiare il sostrato sociale e culturale del Paese che si rifà al vecchio adagio: “Fatta la legge, trovato l’inganno”. Se l’approccio proposto da Beccaria ha avuto successo in altri Paesi, come la Germania, in Italia ha dimostrato la sua inefficienza. Essa appare evidente nel momento in cui ci si interroga sulle cause dell’evasione e si osserva la trasversalità del fenomeno. L’Italiano potrebbe essere più stimolato a sentirsi parte di una comunità se colui che si comporta “bene” venisse lodato come uno studente che sostiene un buon esame universitario o un bambino che obbedisce alla mamma.
La lotta “virtuosa” all’evasione non è soltanto una teoria razionale di stampo illuministico, ma è stata applicata in molti Paesi esteri, come, per esempio, l’Australia, dove ha riscosso un successo considerevole. Da qualche anno a questa parte, anche l’Agenzia delle Entrate, a fronte dell’esorbitante spesa annuale e dei risultati limitati, ha avviato delle forme di sperimentazione in questo senso a livello locale. In Emilia-Romagna, ad esempio, è attiva una collaborazione tra l’Agenzia ed i Comuni che prevede una spartizione del raccolto: metà va allo Stato, metà resta sul territorio per finanziare scuole o case di riposo. In questo modo, il cittadino vede concretamente i risultati della lotta contro l’evasione fiscale ed è incentivato a rispettare la legge e a pagare le imposte. Non è detto che questo meccanismo di tipo imitativo faccia presa su tutti coloro che evadono, ma, vista la sua diffusione, almeno qualche piccolo evasore interromperà la sua attività illecita.
L’alternativa al sistema basato sul dovere e sulla punizione di stampo calvinista che ha prevalso storicamente è l’approccio positivo, che passa attraverso il riconoscimento della virtù. Non è altro che espressione del dovere civico, quintessenza della cittadinanza in una Democrazia. Concludo con una frase dimenticata di Giovenale perché la virtù non è certo un’invenzione moderna: “Si loda la virtù, ma la si lascia morire di freddo”.

Stefano Zamagni
Professore Ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna (Facoltà di Economia)
e Adjunct Professor of International Political Economy alla Johns Hopkins University, Bologna Center

Dichiarazioni raccolte da Angela Caporale, collaboratrice di SocialNews.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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