Senza vincolo di mandato

Antonio Irlando

Nonostante le vicende storiche, pochi, oggi, conoscono l’articolo 67 della Costituzione. La sua comprensione può spiegare molto della vita politica italiana. Testualmente recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

Si era alla vigilia delle elezioni politiche italiane dell’ottobre 1882 quando il Presidente del Consiglio Agostino Depretis stipulò un accordo con l’onorevole Marco Minghetti per unire le forze politiche della sinistra moderata e della destra storica contro l’estrema sinistra, promuovendo in ambito parlamentare le fusioni tra gruppi politici di estrazione diversa. Era iniziato il trasformismo. Commentava Depretis “Se qualcuno vuol trasformarsi e diventar progressista, se vuole accettare il mio moderatissimo programma, posso respingerlo?”. La politica dei compromessi e dei favoritismi, con maggioranze sempre diverse e provvisorie e con stretti rapporti personali, tendeva ad annullare le diversità di idee tra gli esponenti di più gruppi e permetteva al governo Depretis di garantirsi l’appoggio dei deputati dell’opposizione. L’unica vera opposizione governativa, costretta in gran parte ad operare fuori dal sistema politico, divenne quella radical-socialista. Nonostante le vicende storiche, pochi, oggi, conoscono l’articolo 67 della Costituzione. La sua comprensione può spiegare molto della vita politica italiana. Testualmente recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. L’elezione di un candidato non deriva da un contratto con gli elettori, l’eletto non deve per legge adempiere agli obblighi assunti verso il suo elettorato. Giuridicamente parlando, il rapporto elettorale non può essere paragonato ad un contratto privatistico, la sua disciplina è sancita a livello costituzionale. La conseguenza sta nel fatto che la volontà popolare viene sostituita da quella dei singoli parlamentari. Senza andare a richiamare tutti gli episodi che, nel corso degli anni, hanno modificato gli equilibri parlamentari, registriamo sul blog del leader del Movimento 5 Stelle un intervento molto forte. Il riferimento è proprio all’art. 67 della Costituzione, secondo Grillo causa della “circonvenzione di elettore”, cioè della possibilità, da parte dei candidati eletti, di disattendere senza conseguenze il mandato loro affidato dall’elettorato e fare in modo che “il cittadino può essere gabbato a termini di Costituzione”. Per Grillo, l’elettore, al momento del voto, crede in buona fede alle dichiarazioni del candidato che sceglie, condivide la linea politica ed il programma espresso dal suo partito, gli affida un mandato di 5 anni per rappresentarlo in Parlamento ed attuare i punti del programma, gli paga lo stipendio attraverso le tasse, desidera che le promesse vengano mantenute. Le tesi sono chiare, razionali. Ma come si fa a non ricordare che l’art. 67 della Costituzione Italiana è presente come principio fondante nella maggior parte delle Democrazie moderne? Introduce, inoltre, al principio del “divieto di mandato imperativo”. Il Parlamentare eletto diventa rappresentante dell’interesse generale della Nazione e non dell’interesse particolare di chi lo ha eletto. Lo ritroviamo, addirittura, tra le istanze costituzionali del movimento rivoluzionario francese del 1789. Nello Statuto Albertino si leggeva, all’art. 41: “I deputati rappresentano la Nazione in generale e non solo le province in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli elettori”. Nelle Democrazie moderne, fondate sulla mediazione politica dei partiti, questa norma serve a svincolare il parlamentare dagli interessi particolari dei suoi elettori e a permettergli di rappresentare gli interessi generali di tutta la collettività. Solo al termine del mandato, nel caso si ripresenti alle elezioni, i comportamenti politici tenuti sono sottoposti al giudizio degli elettori. Tra gli studiosi del problema, il costituzionalista Salvatore Curreri, nella sua pubblicazione “Democrazia e rappresentanza politica. Dal diritto di mandato al mandato di partito” esprime il fenomeno del transfughismo parlamentare e le gravi conseguenze che questo può produrre sulla governabilità. Per Curreri, il principio di divieto di mandato imperativo dovrebbe servire al perseguimento di interessi generali: gli eletti devono liberarsi dagli interessi particolari dei singoli elettori, ma non dei partiti politici che sintetizzano ed esprimono interessi generali. Continuare a rivendicare piena ed assoluta libertà di mandato nei confronti non solo degli elettori, ma anche dei partiti, diventa un atteggiamento non plausibile nel moderno regime partitocratico. Sarebbe, quindi, necessario ripensare le istituzioni della rappresentanza politica per adeguarle alle nuove sfide della Democrazia del XXI secolo. Sarà questa la ricetta giusta per mantenere l’autonomia dei parlamentari ed evitare le imbarazzanti e tristi vicende di personaggi improponibili?

Antonio Irlando
Dirigente medico ASS4

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