Il problema è il pallone

Danilo Cipollini

Si rischia di finire come Prodi: vince alla Camera per 24.000 voti, però poi non prende i premi di maggioranza sulle singole regioni e si ritrova clamorosamente sotto di un seggio al Senato.

Il problema è il pallone.
No, non inteso come gioco del calcio. Il pallone come oggetto.
Mi spiego: la prima vera forma di politica che l’essere umano sperimenta è il campetto da calcio di quartiere.
Lì si stabilisce una prima, strategica gerarchia. La scelta delle squadre ad opera dei due capitani. I capitani sono, di norma, i due riconosciuti universalmente come “i più forti”. Bam, pari o dispari, si inizia a scegliere. I primi ad andar via sono i portieri. Subito. Poi i giocatori bravi. Poi quelli medi. Poi quelli scarsi, ma almeno dotati di un fisico accettabile. Per ultimi, gli scarti.
Chi vi scrive, a otto anni praticava già sport da combattimento. Mai fatta la cosiddetta “scuola calcio”. Inoltre, sono sempre stato tozzo e massiccio. Non è che fossi esattamente l’atleta perfetto per quel tipo di gioco.
Ero uno degli ultimi ad essere scelti, esatto. Ma non me ne dispiacevo. Tutto sommato, il pallone mi disgustava, quindi, quando toccava a me, mi accomodavo silenziosamente nell’area di campo che “quelli bravi” mi destinavano, e lì finiva.
Qualcuno fra i miei compagni “degli ultimi turni”, invece, ci rimaneva male. Ed era allora che ricorrevano al mezzo più subdolo.
Il pallone.
Sacrificavano qualche altro regalo che sarebbe loro spettato per Natale o compleanno per ricevere un pallone nuovo. Più era fico, meglio era. Palloni spaziali, argentati, dorati. Meraviglie della tecnica.
A quel punto, si presentavano sul campo con un po’ di anticipo. Sfoderavano la loro nuova arma di distrazione di massa. Esclusa categoricamente l’ipotesi che si potesse non giocare con quella meraviglia.
Però.
C’era un però.
Era quello il momento in cui il proprietario della sfera sfoderava la solenne frase: “Il pallone è mio. Gioca chi dico io”.
Da quel momento, con maggiore consapevolezza, avresti potuto già intuire da quale lato politico sarebbero andati a finire da grande. I socialisti, una volta investiti, seppur grazie a questo trucco meschino del potere, non dimenticavano i vecchi compagni di sventura. Una delle prime tre chiamate era SEMPRE qualcuno preso dal “fondo”. Poco importava se la qualità media della squadra ne risentiva: non si dimenticano i compagni di trincea.
I conservatori, invece, erano arrivisti. Selezionavano subito i più forti, meglio ancora se precedentemente capitani. Cercavano l’amicizia dei potenti perché, si sa, un pallone può anche rompersi e quindi è meglio rinsaldare i rapporti ora, che si è sulla cresta dell’onda.
Io non ho mai chiesto un pallone in regalo. Questo, per la cronaca.
Mentre scrivo, mi rendo conto di quanto maschilista io involontariamente sia: in 30 anni di vita non mi sono mai chiesto qual era, fra le femmine, l’oggetto del contendere. Litigavate per la palla da pallavolo? O per la casa di Barbie? Devo ricordarmi di chiederlo.
Ma qui, da me, oggi, ci si aspetta un articolo sul sistema elettorale italiano.
Immagino che, da come ho iniziato, sembra io sia fuori tema. Non è così, fidatevi.
Il problema è il pallone.
Ci accingiamo a votare per la terza volta con una legge elettorale firmata dal ministro Calderoli. Si, proprio lui, quello che ha detto che abbiamo vinto i mondiali contro la Francia perché loro hanno in squadra negri e islamici. Proprio lui. Si, fa il Ministro. Da anni, eh. Lo so, sembra impossibile. Però è così.
Ebbene, nonostante la relativa statura morale dell’uomo, costui non ha potuto esimersi dal definire la sua legge elettorale “una porcheria”.
No, Roberto, non è una porcheria: il problema è il pallone.
Nel 2005, il Governo di centrodestra aveva visto crollare i propri consensi. Gli alleati, i gregari, diventavano a quel punto fondamentali. Urgeva, quindi, un sistema elettorale che, in qualche modo, li “premiasse”.
Ecco l’invenzione: circoscrizione nazionale alla Camera dei Deputati, base regionale al Senato, un premio di maggioranza impostato al 55% dei seggi – ve l’immaginate la scena? “Quanto famo, famo er 53%? Signora, è 55%, che faccio, lascio?”- alla coalizione o partito con la maggioranza relativa.
Su base nazionale potrebbe quasi funzionare. Ma, su base regionale, la situazione si complica. Si rischia di finire come Prodi: vince alla Camera per 24.000 voti, però poi non prende i premi di maggioranza sulle singole regioni e si ritrova clamorosamente sotto di un seggio al Senato.

Messa così, sembrerebbe che questa meravigliosa legge elettorale sia stata fatta dal centrodestra solo per i propri fini ed i propri interessi. Sembrere.
Allora, perché mai, direte voi, le forze della sinistra italiana avrebbero dovuto votare una legge così sconveniente per loro?
Ancora non avete capito? Il problema è il pallone.
Corollario di questa porcheria era la nuova norma che prevedeva listini bloccati ed abolizione delle preferenze. L’Italiano poteva smettere di seguire le singole campagne elettorali dei singoli candidati, finalmente, e non affaticarsi troppo a pensare. Bastava crociare un simbolo, sarebbero state poi le segreterie dei partiti a decidere chi doveva essere eletto assegnando una graduatoria interna a loro insindacabile giudizio.
Capite, ora?
Il pallone è loro. Decidono loro chi gioca. Lo fanno con i nostri soldi, con le nostre tasche, con i nostri voti. Ma le squadre… le fanno loro.
Non posso scegliere se farmi rappresentare o meno da un’igienista dentale brianzola. Se la sopracitata igienista ha avuto argomenti sufficienti a convincere il segretario del suo partito a “sceglierla” fra i primi giocatori della squadra, vincerà.
Non posso scegliere se il figlio semianalfabeta di un noto politico, uno che si è inventato lauree e master molto prima di Giannino, merita o no di sedere in un Consiglio regionale: la decisione spetta a qualcuno sicuramente imparziale. Suo padre.
E quella politica toscana la cui facciotta rubiconda spunta in video da ormai… quanti? 20 anni? 30? Ecco, non posso scegliere io se la trovo ancora adeguata ai tempi oppure no. Lo scelgono gli altri. Il pallone è loro, poco conta che il campo sia di tutti.
Vista così, scommetto che prende senso.
Quel che non riesco a ricordare è quale sia stato il momento in cui ci hanno strappato il pallone di mano. Non ricordo, non riesco a ricordare quanto ci siamo incazzati per questo. Se abbiamo gridato, scritto, manifestato. Se ci è stato chiesto un parere. Se, almeno, qualcuno abbia sollevato un dubbio.
I sistemi elettorali non rappresentano soluzioni ai problemi interni dei singoli Paesi. Sono freni e acceleratori per determinate dinamiche. Perché funzionino, tanto i freni, quanto, soprattutto, gli acceleratori, è strategico che le leve siano azionabili direttamente dal basso.
Altrimenti, il concetto stesso di Democrazia va a farsi benedire.
Non so voi, ma, per la prima volta in vita mia, io rivoglio il mio pallone.

Danilo Cipollini
Scrittore (autore di Didattica dell’odio, Bel ami’ Edizioni)

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