
La diffusione del virus Sars-CoV-2 ha evidenziato poche luci e molte ombre nel sistema amministrativo italiano, in attesa di un suo necessario riassetto
La pandemia di origine asiatica che dallo scorso inverno ha fatto prepotentemente irruzione nelle vite di tutti ha contribuito a mettere sotto stress un “sistema Paese” già scosso e traumatizzato da una situazione socio-economica deteriorata da troppi decenni.
Il Covid, contemporaneamente, è riuscito a porre sotto i riflettori e amplificare le contraddizioni di una suddivisione territoriale e di una gestione della cosa pubblica che hanno mostrato tutti i loro limiti sotto molteplici prospettive.
Riparto di competenze
L’Italia è stato il primo Paese, escludendo la Cina, a essere vittima della diffusione di un morbo nuovo e letale che, alla fine di febbraio 2020, ha trovato la Penisola impreparata e non ancora cosciente di quello che sarebbe divenuto il suo destino per i mesi a seguire.
Oggi, la finalità ultima che segna la strada seguita dagli amministratori nazionali, locali nonché dalla gran parte degli attori politici risiede nel contenimento, a qualsiasi costo, di questa storica emergenza che ha travalicato i confini degli Stati ed è divenuta problematica di livello globale.
Rispetto alla gran parte delle nazioni, però, il Bel Paese è quello che più di altri ha dovuto sobbarcarsi e risolvere un problema che si è fatto duplice. Da un lato abbiamo l’aspetto prettamente sanitario, gestito con coraggio, competenza e, soprattutto all’inizio, lungimiranza. Dall’altro quello politico e giuridico, espressione della peculiare organizzazione amministrativa dello Stato.
Il primo comma dell’articolo 114 della Costituzione tratteggia tale struttura facendo riferimento a un impianto gestionale della res publica imperniato su differenti livelli territoriali: comuni, province, città metropolitane, regioni, Stato.
Diversamente dagli altri enti di decentramento amministrativo, la peculiarità delle regioni risiede nella potestà legislativa che il dettato costituzionale, similmente a quanto previsto per lo Stato “centrale”, loro espressamente riconosce.
Sancito nell’articolo 117, norma inserita nel famoso e discusso Titolo V già oggetto di attenzioni e modifiche da parte della volontà politica e di quella dei nostrani operatori del diritto, tale potere è divenuto elemento distintivo del regionalismo italiano.
Le regioni, dunque, ordinarie o a statuto speciale, competono con lo Stato nella produzione normativa di rango primario e il riparto di competenze fra tali enti trova una strutturata e complessa regolamentazione nello stesso testo costituzionale.
Gli ambiti considerati
Dal punto di vista prettamente sanitario si incontrano e scontrano aspetti molteplici.
Da una parte, la “Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” e la profilassi internazionale vengono dalla Costituzione attribuiti alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, dall’altra la tutela della salute e la gestione della protezione civile sono materie di legislazione concorrente fra Stato e Regioni. In tale ambito la potestà legislativa è demandata alle Regioni, con la sola eccezione della determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione statale.
A ciò si aggiunga il portato del secondo comma dell’articolo 120, in cui si prevede che “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni… ” nel caso si origini un grave pericolo per l’incolumità pubblica quando lo renda necessario “… la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”.
In un quadro normativo di riferimento così stratificato e complesso diviene inevitabile intuire la difficoltà di poter aggredire efficacemente e con rapidità un evento pandemico di tale portata.
E ciò, puntualmente, è accaduto.
Incontro e scontro
A fronte di un dettato costituzionale all’apparenza esplicito nell’affidare alla competenza primaria di Roma, quando si tratti di profilassi internazionale, la gestione e il contenimento della pandemia all’interno dei confini della Penisola, si è assistito a un deplorevole e insensato scontro.
Stato e Regioni, arroccandosi su posizioni troppo spesso contrastanti in una sorta di sfida continua e sentimento rivale da galvanizzare, hanno vanificato sforzi e commesso errori.
Le controversie ideologiche sono state la cifra operativa dominante in troppi contesti. Molte le situazioni gestite in ordine sparso e in condizione da ignorare i ripetuti appelli all’unità e alla leale collaborazione fra istituzioni, espressi anche dalla prima magistratura dello Stato, il Quirinale.
Si è potuto assistere a una iperlegificazione prolungata, a una incomprensibile e schizofrenica alternanza delle fonti. Ordinanze regionali, ministeriali, d.p.c.m. sono stati emanati a intervalli sempre più ravvicinati, finanche quotidiani.
Con lo scopo, vero o presunto, di voler troppo spesso soverchiare la fonte concorrente, precorrerne i tempi di adozione, sconfessarla, restringerne o allargarne in modo quasi insensato l’ambito di applicazione, le infinite fonti regolamentari prodotte hanno creato molti disagi e pochi benefici.
Si è dovuto, ma forse anche preteso, limitare la libertà personale con strumenti non sempre adatti e, con specifico riferimento all’approccio governativo, si è scelto di parlamentarizzare la crisi e la gestione pandemica con un estremo ritardo iniziale, poi fortunatamente recuperato.
Le motivazioni
Tutto ciò è stato reso possibile oltre che dal troppo spesso incomprensibile e ingiusto protagonismo regionale anche dalla debolezza statale, che più volte ha visto il Governo esitare anche e soprattutto a causa della mancanza di regole chiare e applicabili in modo univoco da tutti gli attori in gioco.
Serve in ogni caso capire dove vogliamo andare, sapere che cosa vogliamo diventare, come preferiamo evolverci.
Il regionalismo è un simbolo del Paese, lo definisce e connota, ma ha anche dimostrato una serie di limiti importanti, che la pandemia ha nettamente evidenziato.
Ci troviamo di fronte a un macroscopico problema di attribuzione di competenze fra enti dello Stato che deve essere riconosciuto e risolto, onere impellente che spetta al legislatore nazionale.
Non possiamo ancora sapere se prevarranno le istanze autonomiste o le spinte centraliste. Ciò che è certo è che la questione dovrà essere opportunamente affrontata per edificare un nuovo e più consono riassetto istituzionale e amministrativo, per ridefinire alla radice il rapporto, la potestà legislativa e le competenze di Stato e regioni, facendo tesoro di ciò che la pandemia ci ha insegnato.