Nella notte del 25 giugno militari e veicoli corazzati turchi sono entrati nel territorio del Kurdistan iracheno, hanno instaurato una base militare e portato avanti azioni di sfollamento dei villaggi, a due mesi dal patto per la sicurezza stipulato tra Iraq e Turchia “Iraq Development Road”.
Un rapporto pubblicato da Channel 8 rivela che, a partire dal 25 giugno, l’esercito turco ha schierato quasi 1.000 militari con 300 carri armati e veicoli corazzati nella regione del Kurdistan iracheno, ovvero nel nord dell’Iraq. Secondo questo rapporto, l’esercito turco si sarebbe inizialmente stanziato tra i villaggi di Babira e Kani Blaff nella regione di Badinan, che attraversa il fiume Tigri, una risorsa idrica di grande importanza strategica. Questa forza corazzata è ora di stanza nei villaggi intorno alla catena montuosa di Matina e nella regione di Bamerni al confine tra Siria e Turchia, nella provincia di Duhok, ovvero la zona con la maggior concentrazione di popolazione curda in Iraq. La presenza di un migliaio di soldati, centinaia di carri armati e veicoli blindati nella regione, insieme alla creazione di basi militari, ha avuto delle importanti conseguenze sul territorio e sulla popolazione che vi risiede, prevalentemente curda.
Le azioni aggressive intraprese dall’esercito turco, tra cui posti di blocco, ispezioni dei documenti d’identità dei cittadini, interrogatori per strada e sfollamento dei villaggi, fermando e impedendo spesso il movimento dei curdi, dimostrano un’occupazione de facto della regione che mina la sovranità dell’Iraq e del popolo curdo. Con queste azioni, la Turchia sembrerebbe mirare a stabilire una zona cuscinetto di sicurezza che si estende dalla regione di Shiladzi alla città di Batufa. In questo modo riuscirebbe a circondare una parte significativa del Kurdistan iracheno e recidere il collegamento tra i guerriglieri del PKK e altre aree del Bakur, ovvero il Kurdistan turco. Se la Turchia riuscirà in questo intento, il governo regionale del Kurdistan potrebbe perdere il controllo del 75% del suo territorio. Il popolo curdo subisce una repressione incessante da parte della Turchia a partire dalla disgregazione dell’Impero Ottomano nel 1923, tramite l’implementazione di politiche di discriminazione culturale, segregazione e violenza istituzionalizzata. La popolazione curda viene oppressa ormai da un secolo, nel tentativo di una pulizia etnica da parte delle potenze egemoniche che governano sui territori curdi, ovvero Turchia, Iraq, Iran e Siria.
Tuttavia, in questo scenario la presenza militare turca nella zona non lede solo il popolo curdo, ma anche lo stato iracheno. Negli ultimi giorni l’escalation si è intensificata tanto in Iraq quanto in Siria, in una palese violazione della sovranità di entrambi i Paesi. Nonostante il pretesto per l’occupazione fosse quello di combattere i guerriglieri del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), un’eventuale risposta irachena potrebbe portare a un’escalation della guerra a lungo termine, con implicazioni regionali e globali. La denuncia arriva direttamente dal KCK, Unione delle Comunità del Kurdistan, organizzazione politica curda impegnata nella realizzazione del confederalismo democratico in Kurdistan, comprendente i quattro partiti politici degli Stati da cui dovrebbe sorgere il Kurdistan: il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK, turco), il Partito dell’Unione Democratica (PYD, siriano), il Partito per la Vita Libera in Kurdistan (PJAK, iraniano) e il Partito della Soluzione Democratica del Kurdistan (PÇDK, iracheno).
L’occupazione avviene a due mesi dalla stipula dell’accordo tra Turchia e Iraq denominatoIraq Development Road, ovvero un patto per la realizzazione di 1.200 chilometri di autostrade e ferrovie che da Port Grand Faw, a Bassoura, nel sud dell’Iraq affacciato sul Golfo Persico, conducono fino ad Ovakoy, sul confine Turchia-Krg (Governo regionale del Kurdistan – Kurdistan in zona irachena), creando un ponte commerciale fra Asia ed Europa. Nell’aprile del 2024 Turchia e Iraq avevano infatti ripreso le relazioni diplomatiche dopo un lungo periodo di tensioni, quando il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan è volato a Baghdad per incontrare il primo ministro iracheno, Mohammed Shia’ Al-Sidani, con cui ha siglato l’accordo “Iraq Development Road”. L’accordo permetterebbe alla Turchia di intensificare la sua presenza nella regione, una presenza funzionalizzata ad una strategia militare la cui vittima designata sarebbe soprattutto il Pkk, il partito dei lavoratori curdi. Al piano partecipano anche lo stesso Krg, Qatar, Emirati Arabi Uniti e prevede una serie di ulteriori accordi in materia di cooperazione, sicurezza e gestione delle risorse idriche. “Erdoğan usa l’acqua come un’arma di ricatto e la rende negoziabile. L’Iraq Development Road è solo una strategia per aumentare la presenza militare turca sul territorio iracheno e curdo”, spiega Songül di Repak (The Kurdish Women’s Relation Office), un’ong con sede a Sulaymaniyah.
Il piano prevede il collegamento del Grand Faw Port nel sud dell’Iraq con l’Europa, passando per il confine turco. Il progetto avrebbe l’obiettivo di trasformare il paese in un centro di transito, accorciando i tempi di viaggio tra l’Asia e l’Europa, nel tentativo di competere con il Canale di Suez dell’Egitto. La rete di ferrovie, strade e porti, che talvolta viene definita “via della seta irachena”, dovrebbe rafforzare la posizione geopolitica dell’Iraq nella regione e nel mondo, nonché aumentare i livelli di sicurezza e di stabilità nella regione. Ciononostante, le azioni aggressive condotte dall’esercito turco senza la diretta autorizzazione dal governo iracheno rischiano di creare nuove tensioni tra i due Stati.