Il nuovo Piano del Lavoro

di Ferruccio Centonze

In attesa dell’emanazione degli ulteriori decreti attuativi, analizziamo i principali contenuti dei due decreti trasmessi alle Camere in data 13 gennaio 2015, oggi al vaglio delle commissioni

In n data 3 dicembre 2014, con il ricorso alla fiducia, il Senato ha approvato il disegno di legge rubricato “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”, comunemente appellato “Jobs Act”, il piano del Governo per favorire il rilancio dell’occupazione e riformare il mercato del lavoro italiano.
L’anglicismo (che qualificava un piano d’occupazione predisposto dal presidente Obama del 2011, mai approvato) risale ad un’intervista rilasciata dall’attuale Presidente del Consiglio in data 14 marzo 2014, nella quale rivelava “sto preparando un jobs act, un piano per il lavoro”.
In data 13 marzo 2014, il Ministero del Lavoro ha fornito sul proprio sito ulteriori coordinate, precisando che la predetta espressione si riferisce all’intervenuta approvazione “di un decreto legge contenente disposizioni urgenti per favorire l’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese che contiene interventi di semplificazione sul contratto a termine e sul contratto di apprendistato” e alla contemporanea approvazione “di un disegno di legge per riformare gli ammortizzatori sociali e i servizi per il lavoro, semplificare le procedure e riordinare le forme contrattuali, migliorare la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita”.
La legge delega n. 183 è stata approvata in data 10 dicembre 2014 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 15 dicembre 2014, n. 290.
Il testo contiene cinque deleghe legislative, da attuarsi con lo strumento del decreto delegato, con deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri entro sei mesi dall’approvazione della legge.
L’iter prevede che i decreti vengano trasmessi alle Camere accompagnati da una relazione tecnica che dovrà tener conto della neutralità finanziaria dei decreti.
I due rami del Parlamento dovranno, poi, esprimere entro trenta giorni il parere delle rispettive commissioni competenti per materia per gli aspetti finanziari.
Decorso inutilmente detto periodo, i decreti potranno essere approvati dal Consiglio dei Ministri con deliberazione definitiva anche in assenza dei pareri delle Commissioni Parlamentari.
Le cinque deleghe legislative – nel rispetto di quanto previsto dall’art. 76 Cost. – devono intervenire in materia di:
1) ammortizzatori sociali (articolo 1, commi 1 e 2);
2) servizi per il lavoro (articolo 1 commi 3 e 4);
3)  semplificazione delle procedure e degli adempimenti (articolo 1, commi 5 e 6);
4) riordino delle forme contrattuali e dell’attività ispettiva (articolo 1, comma 7);
5)  tutela e conciliazione delle esigenze di cura (articolo 1, commi 8 e 9).
Alla data del 24 dicembre 2014, il Governo aveva già approvato due decreti attuativi per l’attuazione del c.d. jobs act (“contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti” e “riforma degli ammortizzatori sociali”), trasmessi alle Camere in data 13 gennaio 2015. Al momento, sono al vaglio delle Commissioni Lavoro parlamentari.
Il Sole 24 Ore del 20 gennaio 2015 riporta che “a detta del sottosegretario al Ministero del Lavoro, Teresa Bellanova, entro la fine del mese di febbraio il Governo trasmetterà alle Camere i decreti legislativi attuativi aventi ad oggetto il riordino delle tipologie contrattuali, con il cosiddetto Testo Unico Semplificato, il riassetto degli ammortizzatori sociali (con riferimento alla Cassa Integrazione), le politiche attive del lavoro, la creazione dell’Agenzia Nazionale per l’Impiego, la conciliazione dei tempi di vita e lavoro.”
In attesa dell’emanazione degli ulteriori decreti attuativi, esaminiamo i principali contenuti dei due decreti trasmessi alle Camere in data 13 gennaio 2015 e oggi al vaglio delle commissioni.
a)  “Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti” (art. 1, commi 7 e 11, legge, 10 dicembre 2014, n. 183)
La delega si pone l’obiettivo di incrementare le opportunità d’ingresso nel mondo del lavoro favorendo le assunzioni con contratto a tempo indeterminato quale forma contrattuale prevalente.
Il percorso prescelto consiste nella previsione di conseguenze sanzionatorie per i datori di lavoro (in caso di licenziamento illegittimo) più misurate rispetto al quadro normativo pregresso e di cui alla L. 92/2012, c.d. “Riforma Fornero”.
Il cuore della delega è rappresentato, per le nuove assunzioni, dall’inserimento della figura del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio (cui sembrano laterali l’introduzione, anche in via sperimentale, del compenso orario minimo e la ridefinizione della disciplina vigente in materia di mansioni e controllo a distanza dei lavoratori).
Il decreto introduce, in sostanza, un doppio binario di tutele, atteso che l’applicazione della nuova normativa è riservata soltanto agli assunti dopo l’entrata in vigore del testo.
Quanto ai destinatari, si rileva da subito che sono esclusi dalla riforma i dirigenti e i dipendenti pubblici (per i quali è riservata un’altra delega – c.d. “Madia”).
Venendo al contenuto della contestata riforma, il testo disciplina con discreta precisione, pur abusando di espressioni atecniche, le conseguenze dei licenziamenti illegittimi irrogati ai lavoratori.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la legge delega statuiva “per le nuove assunzioni del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e limitando la reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato nonché prevedendo tempi certi per l’impugnazione del licenziamento”.
Al di là dell’utilizzo atecnico delle espressioni ivi contenute, il testo della delega così declinato, le cui previsioni sono lineari, ha prestato il fianco a perplessità interpretative in tema di ampiezza della sua applicazione.
Da subito, infatti, i commentatori hanno rilevato che la norma potrebbe essere estesa anche ai licenziamenti collettivi di cui alla legge 223/1991, intimati a seguito di riduzione / trasformazione dell’attività, con la conseguenza che, a seguito di un licenziamento collettivo dichiarato inefficace, possano verificarsi conseguenze diverse sui lavoratori a seconda della data della loro assunzione.
Nel decreto attuativo è stata data risposta a tali perplessità, con la previsione che i licenziamenti collettivi illegittimi potranno comportare la reintegra soltanto nel caso in cui siano intimati senza l’osservanza della forma scritta, “mentre nel caso della violazione delle procedure di cui all’art. 4, comma 12, legge 223/1991 o dei criteri di scelta di cui all’art. 5 comma 1 della stessa legge, il giudice applica la sanzione indennitaria di cui all’art. 3 comma 1”.
Ciò equivale a dire che, in tema di licenziamento collettivo, la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare non comporta alcun diritto di reintegra, pur potendo configurare un licenziamento sostanzialmente discriminatorio, ma solo il diritto all’indennizzo.
Ridisegnato, quindi, il perimetro applicativo, la riforma prevede chiaramente che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (o, secondo il testo del disegno di legge per “motivi economici”), il lavoratore non abbia diritto alla reintegrazione, ma soltanto ad un indennizzo economico predeterminato e crescente in funzione dell’anzianità di servizio (per la sua quantificazione, si veda infra).
Costituiscono eccezione a tale regola i licenziamenti nulli, discriminatori, nonché le ipotesi predeterminate di licenziamento disciplinare ingiustificato.
La novità, rispetto al quadro normativo precedente, è quindi sensibile perché “non si traduce in una semplice modulazione delle conseguenze sanzionatorie, come nella legge n. 92, ma in una diversità qualitativa delle tutele, cioè nell’esclusione della tutela reale per il caso di licenziamento per motivi oggettivi ingiustificati.” (T.Treu, “Jobs Act: prime riflessioni sui decreti attuativi” in Guida al Lavoro n. 3/2015).

Licenziamenti per motivi soggettivi (giusta causa, giustificato motivo)
Quanto ai licenziamenti per motivi soggettivi, le scelte del decreto si sono rivelate più articolate, ma la linea di fondo è coerente con l’impostazione che privilegia l’indennità alla reintegra.
La normativa prevede, infatti, che la reintegrazione del lavoratore possa essere ordinata dal giudicante solo in caso di licenziamenti discriminatori (quelli tipizzati dall’art. 3 della legge 108/1990), orali, o negli altri casi espressamente dichiarati tali dalla legge (licenziamento lavoratrice madre o durante matrimonio) o allorquando sia inesistente il fatto materiale che avrebbe giustificato il recesso unilaterale; viene, invece, completamente esclusa la tutela reale in caso di mancata proporzionalità tra il fatto contestato e la conseguenza sanzionatoria, nonché in caso di licenziamento per scarso rendimento o di licenziamento disciplinare.
Ad eccezione, quindi, dei casi di cui sopra, il giudice dovrà dichiarare estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di un’indennità NON assoggettata a contribuzione previdenziale (oggi le somme corrisposte sono sottoposte ad imposizione fiscale) pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro mensilità e non superiore a 24 mensilità; indennità dimezzata laddove l’impresa abbia meno di 15 dipendenti.
Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 204/1966 o della procedura di cui all’articolo 7 della legge n. 300/1970, invece, l’indennità viene quantificata in un importo pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici.
Nell’ipotesi in cui la società datrice di lavoro superi il numero di 15 dipendenti a seguito di nuove assunzioni, il licenziamento verrà disciplinato per tutti i dipendenti (neo e vecchi assunti) dalle norme del medesimo decreto.
Al momento, resta esclusa dal decreto la c.d. “opting out”, la possibilità concessa al datore di lavoro di scegliere la soluzione indennitaria, con maggiorazione delle indennità da attribuire al lavoratore, anche in caso di condanna alla reintegrazione.
b)  “Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati” (art. 1, commi da 1 a 4 e 11, legge 10 dicembre 2014, n.183)
In attuazione dell’art. 1, comma 2, della legge delega n. 183/2014, è stata disciplinata la nuova indennità mensile di disoccupazione (NASpi). A decorrere dal 1 maggio 2015, unificherà Aspi e miniAspi previste dalla precedente normativa. La finalità è quella di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori dipendenti che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.
La norma non si applica ai dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni e agli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato.
Secondo il testo approvato, a far data dal 1° maggio 2015 potranno beneficiare dell’indennità i lavoratori che abbiano perso involontariamente la propria occupazione, abbiano maturato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi quattro anni di lavoro (le stesse richieste per la mini Aspi) e abbiano lavorato almeno 18 giorni di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.
La novità è rilevante se si pensa che, sino al 30 aprile 2015, il presupposto per ottenere l’indennità è/sarà rappresentato dai requisiti richiesti dalla legge oggi in vigore, ovvero un anno di contributi nel biennio precedente (con minimo di due anni dal primo pagamento).
È bene precisare che beneficiari dell’indennità sono anche i lavoratori che abbiano rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale avvenuta nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 della legge 15 luglio 1966 n. 604, così come modificato dal comma 40 dell’art. 1 della legge 92/2012.
La durata massima dell’indennità potrà giungere fino a 24 mesi (18 mesi dal 1° gennaio 2017) e verrà corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà di quelle di contribuzione degli ultimi quattro anni, con esclusione dei periodi contributivi nei quali sono già state erogate prestazioni di disoccupazione.
La domanda dovrà essere presentata all’Inps in via telematica entro e non oltre 68 (sessantotto) giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. La prestazione decorrerà dal giorno successivo alla data di presentazione della domanda e, in ogni caso, non prima dell’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.
È molto importante precisare che l’erogazione della prestazione è condizionata all’effettiva partecipazione dei beneficiari alle iniziative di attivazione lavorativa ed ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai servizi competenti ai sensi dell’art. 1 comma 2, lett. g, del D. Lgs. 21 aprile 2000 n. 181 e ss.. Inoltre, il lavoratore avente diritto alla corresponsione della NASPi può richiedere la liquidazione anticipata in un’unica soluzione dell’importo spettante non ancora erogato quale incentivo all’avvio di un’attività di lavoro autonomo, di un’impresa individuale o per associarsi in cooperativa.
L’importo mensile è rapportato alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni utili (comprensiva degli elementi continuativi e non, e delle mensilità aggiuntive), divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per 4,33% ed è subordinato alla regolare partecipazione dei beneficiari alle politiche attive previste dai servizi per l’impiego.
Nei casi in cui la retribuzione sia inferiore o pari all’importo di € 1.195,00, l’indennità è pari al 75% della retribuzione.
Se la retribuzione è superiore a questa soglia, l’importo è pari al 75% del predetto importo incrementato di una somma pari al 25% del differenziale tra retribuzione mensile e il predetto importo.
In ogni caso, l’ammontare mensile non può superare l’importo di € 1.300,00 (la somma massima dell’Aspi era di € 1.166,00 nel 2014).
È prevista, invece, la decadenza dal diritto a percepire l’indennità nelle seguenti, ulteriori ipotesi:
–  assunzione con contratto di lavoro subordinato superiore a 6 mesi (laddove il rapporto di lavoro abbia, invece, durata inferiore, il diritto all’indennità sarà sospeso in corrispondenza del periodo di lavoro prestato);
–  raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia anticipato;
– inizio di un’attività autonoma laddove il lavoratore ometta di informare l’Inps entro un mese dall’inizio dell’attività (in caso, invece, di avviso tempestivo, vi sarà una riduzione dell’importo mensile dell’indennità sino all’80%);
–  mancata partecipazione ai corsi di aggiornamento o riqualificazione.

Asdi
Si tratta di un ulteriore assegno di disoccupazione, introdotto in via sperimentale, di cui potranno beneficiare i lavoratori che abbiano già usufruito integralmente della Naspi scaduta senza trovare occupazione nonostante la partecipazione ai percorsi di aggiornamento. L’Asdi potrà essere erogato, a far data dal 1° maggio 2015, sino ad un massimo di sei mensilità, con importo corrispondente sino al 75% dell’ultimo assegno Naspi.

Dis – coll
Si tratta della nuova indennità di disoccupazione introdotta, sempre in via sperimentale, per fornire tutela anche ai lavoratori assunti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e a progetto, iscritti in via esclusiva alla gestione separata, non pensionati e senza partita Iva, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione a far data dal 1° gennaio 2015.
Presupposto per l’accoglimento della domanda è poter far valere almeno “3 mesi di contribuzione nel periodo intercorrente dal primo gennaio dell’anno solare precedente l’evento di cessazione dal lavoro al predetto evento, nonché, nell’anno solare in cui si verifica l’evento di cessazione dal lavoro, un mese di collaborazione o un rapporto di collaborazione pari almeno ad un mese e che abbia dato luogo a un reddito almeno pari alla metà dell’importo che dà diritto all’accredito di un mese di contribuzione.”
L’importo dell’indennità, le modalità di presentazione della domanda, i requisiti per l’accesso, la decadenza sono sostanzialmente i medesimi della Naspi, con la differenza che la durata dell’indennità non potrà superare 6 mesi e verrà corrisposta mensilmente per un numero di mesi pari alla metà dei mesi di contribuzione tra il 1° gennaio dell’anno solare antecedente e la data dell’evento.
Nelle more di conoscere il contenuto dei pareri delle commissioni e dell’emissione degli altri decreti attuativi, non resta che attendere l’impatto della riforma sul sistema economico e su quello giudiziario per poterne valutare la caratura risolutiva.

Riferimenti bibliografici:
T. Treu, “Jobs Act: Prime Riflessioni sui decreti attutativi” in Guida al Lavoro n. 3/2015;
F. Ciampi “Doppio Binario sui licenziamenti in base all’assunzione” in Guida al Diritto n. 4/2015;
F. Ciampi “L’avvento della Naspi garantisce prestazioni ai disoccupati”, in Guida al Diritto n. 4/2015;
F. Ciampi “Un intervento in 5 mosse per l’occupazione” in Guida al Diritto n. 4/2015;
F. Ciampi “Nasce il contratto indeterminato a tutele crescenti” in Guida al Diritto n. 4/2015;
“Jobs act, entro febbraio gli altri decreti attuativi” di G, Pogliotti, in Il Sole 24 Ore del 20.01.2015;
“Jobs act, trasmessi alla Camera i due decreti attutativi” in Il Sole 24 Ore del 13.01.2015.

di Ferruccio Centonze
avvocato del Foro di Monza

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