Ha fatto scalpore la notizia della condanna all’ergastolo di una dottoressa che curava i tumori con ultrasuoni e terapie alternative.
L’era di internet permette a qualsiasi persona di accedere ad informazioni mediche in autonomia. Questo porta a seguire percorsi sanitari che spesso non sono corrispondenti alla migliore soluzione al problema.
Il rischio che un individuo, con una malattia potenzialmente mortale, venga trattato con una terapia di efficacia non comprovata è quindi elevato.
Ci sono molte terapie non riconosciute dalla scienza, alcune di recente ideazione, altre risalgono ad antiche tradizioni come quelle cinesi, indiane, tibetane, africane e delle Americhe.
Tutte si inseriscono nel calderone delle “terapie non convenzionali”. Termine che indica le discipline che si servono di strumenti non analizzati scientificamente: quel procedimento in cui l’innovazione è ottenuta grazie ad un metodo oggettivo e verificabile.
Si definiscono “olistiche” perché considerano la malattia come mancanza di equilibrio tra stato fisico, emotivo e spirituale in antitesi con la medicina ufficiale che la considera un evento provocato da agenti esterni o dalla senescenza, affrontando solo la fisiopatologia organica.
La situazione è tale che il 38% degli adulti e il 12% dei bambini utilizzano pratiche non convenzionali. Le più utilizzate, secondo il National Health Interview, sono esercizi di respirazione, Yoga, terapia manipolative, omeopatia, fitoterapia, meditazione, ma anche naturopatia e varie tipologie di “terapia energetica”. Possiamo escludere da questa “lista” l’agopuntura e gli integratori alimentari che invece hanno un supporto scientifico ben strutturato.
L’utilizzo di terapie non riconosciute non è comunque scevro di rischi. Spesso non c’è una adeguata analisi degli effetti collaterali ma soprattutto è risultato che chi le utilizza abbandona maggiormente le terapie con efficacia comprovata.
Questo è quanto documentato in uno studio pubblicato sulla rivista Jama Oncology. L’analisi è stata condotta su 1290 pazienti oncologici. Si è notata una ridotta sopravvivenza in chi si era rivolto a terapie alternative rispetto a chi, con la stessa diagnosi, si era affidato a cure riconosciute dalla comunità scientifica.
Le terapie non convenzionali si basano infatti su risultati che la maggior parte delle volte corrispondono all’effetto placebo: un evento emotivo che porta a un miglioramento clinico solo grazie ad un atteggiamento psicologicamente positivo.
L’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha pubblicato un compendio di 20 pagine in cui descrive i rischi, fisici e psicologici, del provare terapie cosiddette “alternative”, “miracolistiche” o comunque non verificate. Si tratta della traduzione in italiano della pubblicazione “I’ve got nothing to lose by trying it” curata da Sense about Science, una charity inglese impegnata nella corretta informazione scientifica.
Può essere interessante leggerlo. Si trovano alcune indicazioni su come destreggiarsi nel ginepraio delle informazioni online per chi cerca la migliore soluzione al proprio problema sanitario.