Aporie e limiti della segregazione abitativa rom in Italia

di Rosi Mangiacavallo

Le ripetute dichiarazioni di “stato di emergenza” da parte del Governo hanno portato, ancora una volta, alla sospensione di alcuni diritti umani e delle libertà fondamentali dei Rom

Viene da Napoli l’ultimo progetto per i Rom: un nuovo campo nel quartiere di Scampia, nella cui area, chiamata Cupa Perillo, vivono, in diversi campi informali e da una ventina d’anni, circa 800 Rom, di cui 300 minori. Il nuovo “villaggio” temporaneo, mono-etnico e segregante, ne ospiterà 400 e sarà situato vicino all’autostrada. Non avrà gli standard minimi previsti per l’edilizia abitativa sociale e non sono ancora chiari gli eventuali percorsi di inclusione che potrebbero essere avviati per gli abitanti del nuovo villaggio.
Il recente progetto campano appare, purtroppo, in linea con le fallimentari politiche italiane rivolte ai Rom residenti nel Paese. Nel maggio del 2008 è stato dichiarato, con decreto ministeriale, il cosiddetto “stato di emergenza” motivato da quella che veniva definita come “situazione estremamente critica” causata dalla “presenza di campi nomadi” in cinque Regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio e Campania).
Esso ha comportato, nelle stesse, la sospensione di alcuni diritti umani e delle libertà fondamentali del popolo rom.
Ha assegnato, inoltre, poteri straordinari alle autorità locali, concretizzatisi in misure vessatorie rivolte ai soli Rom: campi formali sorvegliati, censimento dei residenti (minori inclusi) degli stessi, foto segnalazioni anche di Rom dotati di cittadinanza italiana, espulsioni arbitrarie, sgomberi forzati e segregazione in campi formali. Dopo una lunga battaglia legale portata avanti da ERRC e da una famiglia rom, nell’aprile del 2013 una sentenza della Corte di Cassazione ha finalmente confermato la precedente decisione del Consiglio di Stato, ovvero l’illegalità, infondatezza e carenza di motivazione dello stato di emergenza.
Nel febbraio del 2012, il Governo italiano ha inoltre approvato la Strategia Nazionale di Inclusione di Rom, Sinti e Caminanti, in linea con quanto richiesto dalla Commissione Europea agli Stati membri. La strategia italiana, così come sancito dall’Europa, comprende quattro aree: istruzione, lavoro, alloggio e salute. Essa, inoltre, enfatizza la necessità di superare le politiche emergenziali.
Malgrado l’adozione della Strategia e la sentenza della Corte di Cassazione, le politiche emergenziali persistono, in particolare per quanto riguarda gli sgomberi forzati e la segregazione alloggiativa. Dall’attività di monitoraggio di ERRC in Italia, risulta, infatti, che le famiglie stanziate nei campi informali vengono continuamente sgomberate senza garantire loro il rispetto degli standard internazionali e delle procedure nazionali. Ciò significa che gli abitanti dei campi non vengono consultati prima di uno sgombero, né avvertiti formalmente dello stesso – il che rende difficile qualsiasi azione legale – e non viene offerta loro, a fronte dello sgombero, un’adeguata alternativa abitativa, costringendoli, così, ad un ciclo senza fine di sgomberi forzati. La frequenza scolastica dei minori e la salute (gravidanza, malattie, anzianità, ecc.) degli abitanti dei campi non vengono prese in dovuta considerazione.
I campi formali, costruiti sotto lo “stato di emergenza”, sono ancora lì. La soluzione tutta italiana dei campi è il risultato di politiche regionali – e non l’espressione della cosiddetta cultura rom – iniziata negli anni ‘80 e ‘90. Questa strategia ha creato la percezione che i Rom siano nomadi e stranieri e che possano vivere soltanto in aree isolate dal resto della società. La segregazione nei campi è una barriera all’istruzione, all’impiego e alla salute. Nei campi, i rom sono spesso costretti a vivere in condizioni di sovraffollamento, senza nessuna tutela della loro privacy e della loro vita familiare. Malgrado ciò, le autorità italiane continuano a pianificare la costruzione di insediamenti monoetnici come unica soluzione abitativa, sperperando ingenti risorse economiche. Oltre al già citato caso di Napoli, un nuovo campo, La Barbuta, è stato aperto a Roma nel giugno del 2012.
Il campo si trova a 25 km dal centro e a 4 km dalla fermata dell’autobus più vicina, è circondato da recinzioni con filo spinato ed è attualmente oggetto di una causa legale di discriminazione abitativa. Sempre a Roma, nel dicembre scorso, il Comune ha chiuso il campo formale de La Cesarina allo scopo di ristrutturarlo. Ancora una volta, consistenti risorse economiche verranno usate per segregare i Rom attraverso la politica anacronistica, discriminatoria e fallimentare dei campi monoetcnici.
La segregazione assume anche forme diverse dai campi. I centri di accoglienza temporanei, a Roma cosi come in altre città italiane, rappresentano un nuovo trend in materia di alloggio. Si tratta di soluzioni abitative – come i campi – destinate a soli Rom. Sono strutture gestite generalmente da un ente ed il Comune fornisce servizi di base come acqua, luce, raccolta dei rifiuti, cibi precotti e, talvolta, cucine. Sebbene questi centri vengano definiti temporanei, ci sono casi, come quello dell’ex scuola Deledda di Napoli, dove circa 120 persone vivono da oltre 8 anni.
L’esperienza italiana – da più parti parafrasata come “Paese dei campi” – dimostra che segregare i Rom è antieconomico e non beneficia nessuno, né i Rom stessi, né il resto della società. In Italia, i membri di questa etnia perdono automaticamente la possibilità di entrare a far parte della società maggioritaria e sono costretti a diventare un peso, anche economico. La società maggioritaria, invece, crede che quello dei Rom sia un mondo a parte, lontano e di difficile approccio. Questo porta, erroneamente, ad appoggiare politiche segreganti che vanno a solo beneficio di chi lucra sul business esistente attorno all’assistenzialismo a cui i Rom sono costretti. Allo stesso modo, queste politiche miopi portano vantaggio a chi, con scadenza elettorale, utilizza fatti di cronaca, più o meno rilevanti, per costruire muri d’odio e paura finalizzati esclusivamente a dividere due mondi, quello rom e quello gagio (non rom), che hanno condiviso lo stesso sangue, la stessa terra e la stessa nazionalità per oltre cinque secoli.

Rosi Mangiacavallo
Researcher and Human Rights Monitor for Italy, European Roma Rights Centre (ERRC)

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