Il muro della vergogna

di Vesna Vuletic e Laura Caviglia

Pregiudizi di ogni tipo ostacolano i rapporti con i Rom. Tuttavia, alcuni progetti di integrazione ed inclusione scolastica cancellano storici stereotipi e facilitano un miglioramento delle relazioni

01Rom: tra ghetto ed emergenza
Nelle rappresentazioni collettive, Rom e Sinti sono spesso erroneamente identificati come popolazioni “nomadi”, che decidono liberamente di vivere ai margini della società in baracche o roulotte, rifiutando ogni forma di lavoro e scolarizzazione.
Quando si pensa alle minoranze rom, si parte dal presupposto che sia impossibile ogni forma di integrazione nella società maggioritaria a causa di una differenza culturale invalicabile e di una resistenza assoluta, che li qualifica come interlocutori “difficili” e come emergenza. Tante volte si sente, infatti, parlare di “Emergenza Rom”, quasi ad associare loro l’immagine di catastrofe naturale imprevedibile e difficilmente gestibile.
Questa immagine è andata alimentandosi nel corso degli anni a causa di una rappresentazione distorta e strumentale, messa in atto dai mass media e dalle istituzioni politiche a livello nazionale e locale.
Un’immagine che, peraltro, non ha tenuto conto della diversificazione esistente all’interno della stessa comunità rom. Sul territorio nazionale, infatti, notiamo la presenza di Rom romeni, serbi, croati, bosniaci, macedoni, Sinti, ecc., giunti nel nostro Paese in diverse ondate migratorie a partire dal XV secolo.
L’aspetto più drammatico è che tale errore di definizione ha determinato, in Italia, conseguenze importanti sulle modalità di intervento esperite nei confronti delle popolazioni Rom, recluse, dagli anni ‘70, in aree di sosta collocate ai margini delle città. Collocazione forzata che ha comportato e quasi legittimato la loro esclusione da altri ambiti della società.

Configurandosi sempre più come “ghetti”, infatti, la vita nei cosiddetti “campi nomadi” ha, di fatto, limitato l’accesso di Rom e Sinti al mondo del lavoro ed all’offerta residenziale pubblica, ha ostacolato una buona riuscita del processo di scolarizzazione dei bambini ed ha creato un muro tra coloro che vivono “fuori” e quelli che ci vivono “dentro”.
La costruzione di questo muro, tra l’altro, è stata indirettamente provocata anche dagli attori che, in teoria, dovrebbero operare proprio per favorire l’integrazione. La logica dell’assistenzialismo e della deresponsabilizzazione delle famiglie, perseguita da associazioni ed enti pubblici, non fa altro che contribuire ad uno stato di isolamento della comunità rom, la quale non è motivata a sentirsi protagonista di un cambio auspicato e rimane osservatrice passiva di provvedimenti assunti da terzi.
In tema di integrazione, poi, non si può non parlare di lavoro, casa, salute e scuola. Tali aspetti devono essere considerati fondamentali ed imprescindibili nella vita di ogni individuo, al di là delle singole appartenenze culturali. Nel caso di Rom e Sinti, purtroppo, troppo spesso ci troviamo di fronte a tasselli mancanti.

02Rom e scolarizzazione: un’esperienza positiva
Relativamente al tema della scolarizzazione, un’esperienza interessante è rappresentata dai progetti realizzati dall’associazione Idea Rom Onlus, nata a Torino e costituita da donne rom che si pongono l’obiettivo di stimolare la partecipazione attiva della propria comunità.
Da anni Idea Rom promuove interventi per facilitare la relazione ed il dialogo tra la popolazione rom e le istituzioni locali, toccando i temi della casa, la salute, il lavoro e la scuola.
Tali esperienze hanno raggiunto il loro culmine nell’anno scolastico 2013-14: attraverso l’implementazione dei progetti europei “SEDRIN” (School Education for Roma Integration) e “TERNO” (Teachers’ Education for Roma New Opportunities in School) si è dimostrata l’importanza di una visione molteplice su determinati problemi e della partecipazione attiva dei diversi interlocutori coinvolti.
I progetti hanno interessato gli abitanti di due grandi insediamenti spontanei di Torino e due Istituti Scolastici Comprensivi situati sul medesimo territorio e prevedevano uno sviluppo articolato in tre fasi: una ricerca preliminare, la definizione e l’attuazione di una metodologia formativa, il supporto scolastico a favore dei bambini.
L’attività di ricerca ha reso possibile esplorare in modo approfondito le problematiche relative alla scolarizzazione degli alunni rom e le possibili cause. Grazie ad un discreto numero di interviste e colloqui con insegnanti, dirigenti scolastici, genitori e alcuni bambini, è stato possibile ricostruire un quadro che tenesse conto dei diversi punti di vista.
Sui risultati della ricerca si sono poi basati diversi tipi di attività, tra le quali la formazione di alcune donne rom e di un discreto numero di insegnanti. Sono state, quindi, promosse attività di supporto scolastico a favore di bambini rom che hanno seguito una metodologia basata sul coinvolgimento diretto di famiglie ed insegnanti.
Da un lato, le donne rom hanno affiancato le operatrici di Idea Rom nella facilitazione dei rapporti scuola-famiglia; due di loro sono anche state incluse nello staff dell’associazione operando nelle classi durante l’orario scolastico in affiancamento alle insegnanti. Tale azione ha contribuito a risolvere alcuni problemi di natura linguistica e ha incoraggiato i bambini ad un maggior impegno scolastico. Dall’altro lato, la novità importante della metodologia è stata il coinvolgimento diretto delle insegnanti in orari extra-lavorativi per il supporto da realizzare a favore degli alunni rom, in gran parte propri allievi nelle classi. La loro conoscenza pregressa dei bambini ha permesso un intervento individualizzato, risultato, alla fine, molto più efficace di quanto avrebbe potuto essere quello messo in atto da figure professionali estranee al contesto scolastico.
Con entrambi i progetti, inoltre, si è promossa la partecipazione a varie attività extrascolastiche (gite, soggiorni, attività sportive, ecc.) a cui i bambini hanno potuto accedere massicciamente per la prima volta.
Queste modalità di intervento si basano sull’idea che minori e famiglie rom devono essere stimolati ad “uscire” dal campo e ad agire in autonomia sul territorio. Si basano anche sulla convinzione che l’incontro tra scuola e famiglia possa influire positivamente sul percorso scolastico del minore.
I risultati ottenuti da questi progetti possono essere valutati in modo più che soddisfacente. Al di là del miglioramento degli apprendimenti e delle competenze, si è verificato anche un aumento ed una regolarizzazione della frequenza scolastica degli alunni rom beneficiari del progetto.
Non meno importanti i risultati ottenuti nell’ambito delle relazioni, per quanto riguarda sia il gruppo classe, sia la collaborazione tra genitori ed insegnanti.

Riflessioni per una scuola ideale
L’esperienza riportata conduce a riflettere su alcuni elementi emersi in tema di integrazione scolastica degli alunni rom.
– Per quanto riguarda gli apprendimenti, le difficoltà nell’utilizzo di una seconda lingua non devono essere ricondotte all’appartenenza ad una “cultura rom”, ma a condizioni di tipo economico-sociali. Bisogna notare che, malgrado gli anni trascorsi in Italia, la maggior parte delle persone che vivono nei campi non parla bene l’Italiano e predilige la comunicazione nella lingua d’origine. Questo fatto va attribuito soprattutto allo stato di segregazione che i Rom vivono all’interno dei campi nomadi, nonché alle scarse possibilità incontrate, nel corso degli anni, per uscire da questa situazione di povertà ed isolamento.
– Due problemi inerenti alla scolarizzazione segnalati dalle insegnanti sono rappresentati dalla frequenza incostante e dall’inserimento “selvaggio” nelle classi ad anno scolastico avviato. Tali fenomeni sono causati in parte dalla precarietà e dall’instabilità delle soluzioni abitative costituite dal campo nomadi, in parte dalla mancanza di prospettive della popolazione rom che vi abita. Un’insegnante ha descritto così la situazione: “Al campo vengono persi tutti i punti di riferimento, come se venisse a mancare la legalità, il tessuto sociale di relazioni. …vivere in determinate condizioni… quelle del campo nomadi non favorisce… la scuola, né la nascita di aspettative rispetto al futuro”.
– Un altro problema da considerare è quello del passaggio dalle elementari alle scuole medie. L’integrazione è resa più complicata dai conflitti generazionali e dal fatto che gli insegnanti della scuola secondaria hanno minore possibilità di dedicare attenzioni al tema dell’integrazione all’interno della classe. La percentuale di ragazzi rom che concludono il percorso scolastico è ancora molto bassa.
– Come evidenziato in precedenza, un elemento importante è quello delle relazioni tra scuola e famiglie rom, spesso caratterizzate da un sentimento di diffidenza reciproca ed erroneamente condotte da intermediari terzi. L’attivazione e la responsabilizzazione delle famiglie sul percorso scolastico dei figli deve essere incentivato. Il genitore non deve essere sostituito da altri interlocutori. Solo una comunicazione tra rappresentanti dell’istituzione scolastica e le famiglie può abbattere il pregiudizio e creare un sentimento di fiducia reciproca.
– Un dato inquietante è che la diffusione di pregiudizi negativi sulle comunità rom è spesso messa in atto anche da importanti organizzazioni le quali, da un lato si dichiarano promotrici della loro integrazione all’interno della società, e dall’altro associano questa minoranza ad un’idea di devianza, miseria e uso strumentale della scolarizzazione dei propri figli. La divulgazione di queste idee non può che remare contro agli sforzi di chi crede in una convivenza possibile e di chi lavora per abbattere questo muro della vergogna.
Una scuola “ideale” vanta maggiori risorse per garantire supporto, si relaziona al territorio e promuove la politica dell’accoglienza. Ma, soprattutto, non accetta che alcune persone vivano in insediamenti precari, malsani e privi di servizi basilari. Critica l’emarginazione dei “campi nomadi” e l’indifferenza che li circonda.

Vesna Vuletic e Laura Caviglia
Associazione IDEA ROM Onlus, Torino

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