Guerra etnica? No, è un conflitto strumentalizzato

Gabriele Lagonigro

Da una parte gli ultranazionalisti di Kiev, dall’altra comunisti, imperialisti filo moscoviti e gruppuscoli più o meno organizzati. E i Governi ucraino e russo alimentano la tensione

3Esistono Paesi nei quali cova da anni, decenni, talvolta secoli una tensione latente fra le diverse comunità stanziali. E ce ne sono altri nei quali i conflitti vengono calati dall’alto, strumentalizzati, creati ad hoc da chi ha il potere di destabilizzare la situazione. L’Ucraina appartiene a questa seconda sfera. Non c’è scontro etnico, non c’è contrapposizione linguistica, non esiste una differenza nazional-popolare fra chi parla la lingua di Kiev e tutta la parte orientale (e meridionale) che, invece, si esprime in Russo. Le divergenze sono, semmai, politiche, qualche volta culturali, in alcuni casi storiche, ma la divisione fra filo Occidente e filo moscoviti non è vissuta dalla popolazione come “casus belli” per un conflitto su vasta scala.
Chi sono, allora, gli incendiari che stanno gettando benzina sul fuoco di una crisi ormai quasi fuori controllo? La domanda è semplice, la risposta un po’ meno. Per un’analisi un po’ più approfondita bisogna andare indietro di qualche mese, quando a Maidan la protesta di piazza portò all’allontanamento (o alla cacciata, dipende dai punti di vista) dell’ex Presidente Yanukovich. Sui fatti di inizio anno, a Kiev le posizioni fra gli Ucraini divergono, ma appare ormai evidente come la rivolta, nel suo incipit principalmente studentesca, sia stata poi, fatta propria, utilizzata e strumentalizzata dalle frange più estreme dei nazionalisti anti-Mosca.
Fra questi ultimi, un ruolo di primo piano lo ha avuto soprattutto Pravy Sektor. Si tratta di una formazione di estrema destra che, pur non godendo di percentuali bulgare in cabina elettorale, è riuscita in questi mesi a costruirsi una credibilità “militare” grazie all’addestramento di centinaia, forse migliaia di guerriglieri che stanno già combattendo a Slaviansk ed in buona parte del Donbass. Il loro leader, Dimitri Yarosh, è ufficialmente ricercato dal Governo di Putin, ma in patria, fra i filo-Maidan più radicali, quelli pronti alle armi e che rivendicano il pieno controllo ucraino dei confini orientali, gode ancora di popolarità. A Mosca li accusano di essere neonazisti, provocatori, antisemiti. Loro replicano sostenendo che i veri terroristi sono i filorussi che hanno occupato i palazzi istituzionali di Donetsk e dintorni. Posizioni inconciliabili che stanno portando allo scontro armato.
Pravy Sektor, fra i nazionalisti ucraini, non è l’unica formazione a mantenere più o meno apertamente una posizione radicale.
L’altro movimento in campo è quello di Svoboda (“Libertà”), nato agli estremi, ma oggi maggiormente inquadrato rispetto a “Settore Destro” negli ambienti istituzionali di Kiev. Svoboda gestisce attualmente ben cinque Ministeri nel Governo provvisorio del dopo Maidan, compreso quello della Difesa, pur essendosi attestato appena al 10% nelle ultime elezioni politiche. Il suo padre-padrone, Oleh Tyanhybok, galiziano dell’vest, tradizione antirussa e antipolacca, ha ostentato nei primi anni di attività politica una simbologia oltranzista, apertamente fascista. Ed è stata tutta questa retorica populista ed imperialista a sollevare le ire di Mosca. Non sono state sufficienti le rassicurazioni – un po’ tardive – dell’esecutivo ucraino, specie, poi, se è vero (e lo è) che diversi gruppi paramilitari provenienti dall’estrema destra vengono tollerati e, spesso, addirittura utilizzati dall’esercito di Kiev per combattere al proprio fianco contro il nemico “orientale”. In questo contesto, per sè stesso già estremamente teso, anche il Governo post Yanukovich ha contribuito non poco all’instabilità, per esempio con l’approvazione di una legge che vieta il Russo quale lingua ufficiale.
Una decisione – poi cancellata – che ha fatto infuriare le Regioni di Odessa, Kharkiv e del Donbass. Non è un caso che molte rivolte siano partite proprio dopo quell’atto inutile e volutamente ostile.
E dall’altra parte, fra i filorussi, chi soffia sul fuoco della tensione? In primis, Putin naturalmente, e le ragioni sono ovvie. Politiche: per il Cremlino è inammissibile ritrovarsi ai propri confini l’Unione Europea e, soprattutto, la Nato. E l’avvicinamento troppo rapido dell’Ucraina all’Occidente ha fatto perdere il controllo allo zar, già di per sé parecchio suscettibile. Ma anche economiche: con Kiev, la Russia ha sempre concluso buoni affari, non solo grazie al gas. Un nuovo Governo anti-Mosca potrebbe causare l’interruzione di tanti business interessanti per gli oligarchi vicini al Presidente. Solo in questo modo si spiega il tentativo di destabilizzare il Paese e renderlo ingovernabile per evitare quelle elezioni che potrebbero portare al Governo le forze maggiormente antirusse. Ecco perché, anche in mancanza di ufficialità, è molto probabile che a combattere a Slaviansk, Mariupol o Kramatorsk ci siano infiltrati provenienti da oltreconfine o, quanto meno, che armi (e soldi) siano stati fatti affluire in buone quantità da Mosca. Sarebbe molto più difficile da comprendere, altrimenti, un dispiegamento di mezzi da combattimento in grado persino di abbattere elicotteri.
Ma da chi è formata la galassia filorussa interna, a parte gli eventuali infiltrati d’oltrefrontiera? Ci sono gruppi di nostalgici comunisti che intravedono in Mosca (più che in Putin) il miraggio della grande Unione Sovietica. Ci sono, parallelamente (e paradossalmente), gli ultranazionalisti dell’Impero russo con le bandiere nere, gialle e bianche. Poco avrebbero da spartire, in teoria, con i “tovarish” (compagni) di sinistra. E poi le nuove sigle, nate negli ultimi mesi, dai miliziani sorti nelle varie città occupate ai militanti della Repubblica di Donetsk. Gruppuscoli nati qua e là, organizzati chi più, chi meno, chi in pessimi rapporti con le polizie locali e chi, invece, in grado di farsi aprire le porte dei palazzi grazie alla connivenza – e al supporto – di alcune autorità comunali e regionali.
E mentre le battaglie infuriano in diverse zone dell’Est, lo scambio reciproco di responsabilità rappresenta la “condicio sine qua non” di ogni conflitto. Come quello sul rogo di Odessa, che ha comportato la morte di una cinquantina di filorussi.
Questi accusano gli ultrà di Chornomorets e Kharkiv, estremisti di Maidan, mentre, dall’altro lato, c’è chi addossa le colpe alle truppe russe di Transnistria, che avrebbero valicato – in incognito – il confine per destabilizzare ulteriormente le sponde del Mar Nero.
Impossibile venirne fuori. Se non c’è accordo a livello internazionale, la guerricciola “low profile” potrebbe trasformarsi in catastrofe.

Gabriele Lagonigro
Direttore del settimanale City Sport di Trieste

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