L’Europa delle libertà

Renato Brunetta

Economia in mano al mercato, taglio di 800 miliardi sulla spesa pubblica e abolizione del limite del 3% sul rapporto deficit/pil insieme a liberalizzazioni e privatizzazioni per uscire dalla crisi ed avviare un processo di sviluppo

brunettaEsistono due visioni diverse dell’Europa, che sono anche due visioni diverse dell’uomo e delle sue libertà.
Una è di sinistra, malata di statalismo, intrisa di sindacalismo ideologico, schierato a difesa dei vecchi privilegi e che confonde la vera solidarietà, intesa come atto spontaneo tra liberi individui, con l’assistenzialismo, in cui gli individui sono considerati sudditi.
L’altra è la nostra, un’Europa liberale e cristiana, del federalismo e della sussidiarietà, della libertà di iniziativa e della responsabilità verso i bisognosi. Solo in una società liberale è infatti possibile creare le condizioni indispensabili per sostenere quanti sono in difficoltà.
In Europa e in Italia, Forza Italia si batte per allargare lo spazio d’azione delle famiglie, delle imprese e delle comunità locali perché crede che gli individui abbiano diritti che non possono essere violati da nessuno. Neanche da chi ci governa.
La libertà degli individui esige istituzioni credibili ed autorevoli, che riconoscano i limiti della propria azione e difendano il diritto dei singoli e delle comunità di costruire realtà nuove, creare ricchezza, testimoniare le proprie convinzioni e la propria fede.
In sintesi, vogliamo creare gli Stati Uniti d’Europa, con un Presidente della Commissione eletto direttamente dai cittadini, una vera politica estera ed una vera politica di difesa.
Il Partito Popolare Europeo possiede nel suo DNA una serie di valori non negoziabili, quali la libertà come diritto umano centrale, che va di pari passo con la responsabilità personale nei confronti degli altri: un principio di ispirazione giusnaturalista che prevede il rispetto della dignità umana in ogni fase della vita; la solidarietà verso chi ha bisogno; la necessità di garantire finanze pubbliche solide, principio che si risolve nella lotta ai deficit ed ai debiti eccessivi; la necessità di conservare un ambiente sano; il principio di sussidiarietà, che vede negli organismi locali più vicini ai cittadini e non nello Stato il primo nucleo di intervento sociale; la Democrazia pluralista e l’economia sociale di mercato, con il coinvolgimento di tutte le forze sociali nei processi di lavoro e nella gestione delle imprese; una visione contraria ad ogni tipo di totalitarismo, che coniuga la libertà degli individui, la solidarietà ed il rispetto del libero mercato; un “ordine sociale” che sposa l’individualismo con i diritti sociali, la proprietà privata con il concetto di bene comune.
L’Europa delle libertà implica che i cittadini e gli Stati non debbano essere schiavi delle regole economiche, tradizionalmente retaggio dei sistemi economici pianificati e dirigisti.
Per questo motivo occorre superare in modo intelligente l’assurda regola del 3% nel rapporto deficit/Pil. Un numero che ha condannato interi Paesi alla crisi perenne. Certamente, bisogna evitare di tornare ai tempi in cui la crescita veniva finanziata dalla spesa corrente. Solo quella in conto capitale deve essere incoraggiata. Per il resto, una sana operazione di taglio degli oltre 800 miliardi di spesa pubblica deve essere fatta in maniera da ridurre il deficit. Una vera politica liberale prevede sempre l’abbattimento del debito pubblico, da realizzarsi mediante la riduzione del peso dello Stato nell’economia, attraverso privatizzazioni, liberalizzazioni e dismissioni del patrimonio immobiliare dello Stato. Questo a prescindere dal Fiscal compact, per effetto del quale l’Italia sarà chiamata a ridurre il suo debito pubblico al ritmo di 1/20 all’anno.
L’Italia deve avviare un processo di riforme finalizzate allo sviluppo ed alla crescita, come quelle del lavoro e del fisco, per garantire la sostenibilità dei conti pubblici e la credibilità del Paese durante i mesi nei quali guiderà l’Unione Europea.
Pertanto, sollecitiamo l’avvio nelle sedi opportune di una seria riflessione sulla necessità che i Paesi in surplus nelle partite correnti sviluppino politiche di reflazione, contribuendo a garantire una crescita equilibrata all’interno dell’Unione. Il semestre di presidenza italiana dovrà, pertanto, caratterizzarsi come “semestre costituente”, che ci porti ad avere istituzioni europee più democratiche, trasparenti, efficaci ed efficienti.
Da questo punto di vista, puntiamo ad avere una banca centrale non più solamente orientata al controllo maniacale dell’inflazione, ma che si possa prefiggere anche obiettivi di crescita, sul modello delle altre banche centrali. In altre parole, che possa fungere da vero e proprio prestatore di ultima istanza.
È poi necessario completare il processo di unificazione dell’Europa attraverso l’unione bancaria, la creazione di un fondo comune di garanzia sui depositi, un sistema unico di sorveglianza sugli istituti di credito affidato alla Bce, una regolamentazione comune per i fallimenti bancari ed istituendo un’agenzia di rating europea. Completare l’unione economica, attraverso la mutualizzazione dei debiti sovrani e la creazione di Project bond, Eurobond e Stability bond.
Portare avanti l’unione fiscale, che preveda controlli uniformi sulle politiche di bilancio dei singoli Stati e l’armonizzazione delle politiche economiche. Infine, l’unione politica, tramite il rafforzamento del quadro istituzionale attuale e l’elezione diretta del Presidente della Commissione Europea.
Come l’America del 1929, anche l’Europa ha oggi bisogno di uno shock economico. Un new deal da realizzarsi attraverso l’implementazione di una tripla manovra:
– sul fronte macroeconomico, una forte riduzione della spesa e, parallelamente, della pressione fiscale, che deve scendere al 40%, con effetti benefici sulla crescita;
– sul fronte della modernizzazione, l’incremento degli investimenti pubblici e privati nei settori dell’edilizia, delle manutenzioni e delle infrastrutture diffuse, nonché nei settori legati alle nuove tecnologie digitali;
– sul fronte del lavoro, miglioramento ed ottimizzazione delle norme che regolano la flessibilità in entrata e in uscita;
decentralizzazione salariale; decontribuzione per le nuoveassunzioni; incentivazione fiscale ai salari di produttività.
L’Europa ha inoltre un forte bisogno di un nuovo patto di politica industriale, con l’obiettivo di aumentare dal 14% al 20% il Pil prodotto dall’industria manifatturiera entro il 2020.
I settori chiave in questa industria sono quelli delle costruzioni, l’acciaio, la cantieristica navale, l’automotive, l’industria per la sicurezza ed il turismo. È necessario potenziare la strumentazione e la dotazione finanziaria dell’Unione Europea attraverso la sperimentazione di nuovi strumenti finanziari in grado di favorire la ripresa della crescita e dell’occupazione mediante l’aumento della capacità finanziaria della Banca europea degli investimenti ed il rafforzamento del quadro finanziario pluriennale dell’Unione.
L’occupazione rappresenta una variabile dipendente: dipende dalla crescita. A parità di crescita, un’economia può essere più o meno ricca di lavoro. Questo dipende dalle regole: se sono rigide, ci sarà crescita senza lavoro, perché le imprese saranno refrattarie ad assumere, dati gli elevati costi di licenziamento. La flessibilità in entrata va di pari passo con quella in uscita, poiché, se licenziare è oneroso, l’imprenditore deciderà di non assumere. Se, di converso, la regolazione è semplice, trasparente e flessibile, a parità di crescita il sistema sarà più reattivo nel creare posti di lavoro.
Naturalmente, occorre che la flessibilità sia accompagnata da adeguati strumenti di welfare e di garanzia. Tutto questo è riassunto nella cosiddetta “equazione del benessere”: meno tasse, più consumi, più investimenti, più crescita, più lavoro, più gettito, più welfare, più benessere per tutti.
Se tutto questo venisse attuato, l’Italia avrebbe tassi di crescita costantemente al di sopra del 2%, in linea con le migliori performances europee, ed un livello di produttività pari a quello degli altri competitor europei. L’obiettivo è quello di riportare il tasso di disoccupazione al suo livello frizionale, la metà del livello attuale. Così facendo si creerebbero almeno 3 milioni di nuovi posti di lavoro in 5 anni e riducendo, tra le altre cose, la cassa integrazione al suo livello fisiologico.
Ma tutto questo non è sufficiente senza un aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo, favorendo il coordinamento dei sistemi contributivi e pensionistici, la portabilità dei finanziamenti e creando un vero e proprio mercato del lavoro europeo dei ricercatori.
Va, infine, costituito un mercato unico europeo dell’energia e del gas, al fine di sfruttare le opportunità di riduzione dei costi offerte da politiche di sviluppo energetico e dalle nuove tecnologie del settore.

Renato Brunetta
Capogruppo alla Camera dei Deputati per il Pdl e Forza Italia

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