Un sistema giuridico ibrido

Deborah Fiorin
L’Europa è un’istituzione totalmente nuova ed originale, il cui futuro è stato costruito con molte deviazioni e cambi di direzione, soprattutto per quanto riguarda il suo status giuridico nel mondo.

“L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.”
Con queste parole, pronunciate il 9 maggio 1950, Robert Schuman dichiarava l’intenzione della Francia di mettere in comune la produzione di carbone ed acciaio con la sua rivale storica, la Germania. Niente di più lungimirante e, al tempo stesso, rischioso. Una mossa diplomatica e politica che pochi uomini nella storia avrebbero potuto intraprendere. L’Alta Autorità proposta avrebbe dunque soprainteso alla produzione comune dei due Paesi. Jacques Monnet, il vero autore della Dichiarazione Schuman, introduceva così un “metodo Monnet” ed offriva l’opportunità di creare una pace duratura al Vecchio Continente. Aveva compreso che non c’era futuro per gli Stati europei senza un’unione comune, salvo che gli stessi non avessero accettato una prima forma di sopranazionalità.
Il primo passo era compiuto. Germania e Francia, gli stessi Paesi che solo cinque anni prima avevano partecipato, l’uno contro l’altro, all’evento più sanguinoso del XX secolo, firmavano prima il Trattato di Parigi (1951) istituente la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, poi il Trattato dell’Eliseo (1963), dove diventavano definitivamente partner non solo sul piano economico, ma anche a livello sociale e politico. Era la svolta. Konrad Adenauer, “instancabile unificatore”, e “le général”, Charles de Gaulle, avevano raggiunto un obiettivo impensabile. Il “metodo comunitario” aveva trionfato sull’animosità dei due litiganti per il bene dell’Europa.
Più di settant’anni dopo, quella stessa Europa sembra non riuscire a risorgere dalle proprie ceneri. Momenti d’intensa crisi, ma anche di propizio sviluppo hanno segnato la sua storia. Il percorso verso un’integrazione sempre più profonda non è stato certo rettilineo, né semplice. Tuttavia, nel pieno dell’attuale crisi economica, la questione dell’Europa, del suo status e del suo ruolo sul piano internazionale e sulla scena mondiale sembra essere più che mai attuale.
La questione che si pone è, dunque, la seguente: cosa rende quest’entità unica, quale l’Unione Europea, così difficile da gestire e, allo stesso tempo, così innovativa? Può lo status giuridico della UE, che non rientra in alcuna categoria classica, diventare una forza per la stessa o rappresenta, invece, l’elemento che porterà al fallimento dell’impalcatura europea?
Tempi d’incertezza si sono alternati a tempi di profondo sconforto da parte degli ”euro-ferventi” e a tempi di grande sviluppo: se negli anni ’50 e ‘60 il fervore per questa nuova Europa era diffuso e condiviso, solo qualche anno dopo si è assistito a molteplici crisi che hanno minacciato di mettere in pericolo il progetto europeo. La crisi della sedia vuota (1965) ha impedito i lavori al Consiglio dei Ministri per più di sei mesi, poi lo shock petrolifero degli anni ‘70, l’ostracismo della Gran Bretagna di Margaret Thatcher, il fallimento del Serpente Monetario, infine l’”eurosclerosi” degli anni ’90, con conseguente disillusione generalizzata e grande euroscetticismo. Sarebbe però sbagliato giudicare il mezzo secolo passato in modo totalmente negativo: grandi risultati sono stati raggiunti grazie a convergenze economiche positive e ad una cooperazione politica rafforzata. Se è vero che gli anni ‘70 sono stati difficili, hanno anche visto la prima elezione a suffragio universale al Parlamento Europeo (1979) e l’avverarsi in modo sempre più concreto di un sistema monetario europeo ed integrato con il lancio del Sistema Monetario Europeo (SME). Gli anni ‘80 sono stati testimoni di una grande collaborazione franco-tedesca, con la coppia Mitterrand-Kohl che ha permesso l’elezione di Jacques Delors a Presidente della Commissione e la firma dell’Atto Unico (1986). Gli ultimi vent’anni, infine, hanno portato Maastricht e Lisbona.
Sono stati certamente compiuti molti passi in avanti. L’integrazione attuale a livello politico ed economico e la nascita dell’Euro non sarebbero mai stati neppure immaginabili un secolo fa. Lo status dell’Europa si è evoluto, passando da semplice organizzazione internazionale a quasi-federazione, con un certo livello di sopranazionalità riconosciuta e di trasferimento di poteri dal basso all’alto, ovvero dai singoli Stati alle istituzioni europee.
Il diritto attuale si compone di diversi elementi che fondano l’impalcatura europea. Anzitutto, bisogna ricordare che il diritto europeo si basa prevalentemente sulle fonti primarie, i Trattati che hanno istituito le tre Comunità fino ad arrivare all’Unione. Questo tipo di fonte, definita anche diritto originario, prevale su tutte le altre ed è applicata dalla Corte di Giustizia, interpellata in virtù degli articoli 263 e 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Consideriamo, quindi, fonti di diritto primario i Trattati istitutivi o fondatori, quali quelli di Parigi (18 aprile 1951), Roma (25 marzo 1957) e Maastricht (17 febbraio 1991), detto anche Trattato sull’Unione Europea, TUE ed i Trattati modificativi, quali l’Atto Unico (1986), il Trattato di Amsterdam (1997), quello di Nizza (2001) ed il Trattato di Lisbona (sottoscritto nel 2007, ma in vigore dal 2009). Sostanzialmente, essi impongono un quadro all’interno del quale le istituzioni pongono in essere le varie politiche dell’Unione. Enunciando regole sostanziali e formali, definiscono l’area di competenza delle diverse istituzioni, fondandone i poteri e determinando i rapporti tra l’Unione ed i suoi Stati membri. La Corte di Giustizia è l’organo designato ad interpretare i Trattati e giudica le controversie tra i singoli Governi e le istituzioni comunitarie, nonché quelle portatele dinanzi dai privati cittadini nel caso questi ravvisino che un’istituzione abbia leso i propri diritti.
Per fonti di diritto secondario intendiamo, invece, gli atti previsti dall’articolo 288 del TFUE, ovvero Regolamenti, Direttive, Decisioni, Pareri e Raccomandazioni.
L’importanza dei Regolamenti, nel caso specifico, si manifesta nel fatto che essi costituiscono norme “self-executing”, che non hanno bisogno di nessun ulteriore atto legislativo per essere applicate all’interno degli Stati membri. Vincolano, perciò, direttamente gli stessi, entrando nei loro ordinamenti giuridici come norma di rango superiore. Allo stesso modo, anche le Decisioni sono assolutamente obbligatorie in tutte le loro parti, ma si differenziano dalle Direttive in quanto hanno portata individuale e devono essere applicate solamente per il destinatario designato dalla Commissione o dal Consiglio. Le Direttive, invece, devono essere necessariamente recepite nell’ordinamento giuridico, nonostante abbiano carattere di obbligatorietà in tutte le loro parti. Si tratta, quindi, di atti giuridici “a due livelli”, che comprendono la Direttiva vera e propria e le misure disposte da ogni Stato per applicarle. Entrate nell’ordinamento, assumono un effetto diretto verticale: i singoli cittadini possono invocarle davanti al giudice contro qualunque Stato membro.
Come già sottolineato, la Corte di Giustizia è incaricata di interpretare il diritto della UE – Regolamenti, Direttive o Decisioni – e di giudicare le controversie condannando gli Stati membri qualora le norme venissero applicate solo parzialmente o non nella loro completezza. La Corte contempla, inoltre, la possibilità che anche privati cittadini, organizzazioni o imprese possano fare ricorso nel caso in cui uno Stato non abbia applicato una norma correttamente o un’istituzione UE abbia leso i loro diritti.
’importanza della Corte risiede, quindi, nel proteggere i diritti fondamentali dei cittadini in modo diretto, ritenendo lo Stato responsabile e ponendovisi irrevocabilmente al di sopra in ordine ai giudicati. Le violazioni, infatti, danno luogo ad obblighi di indennizzo. La Corte rappresenta, quindi, uno dei maggiori successi nella ricerca di una sovranità traslata verso le istituzioni europee. La sua istituzione costituisce un grande passo avanti per un’Europa più integrata e lontana dal modello intergovernamentale, a vantaggio di un disegno comunitario.
L’Europa, dunque, si fonda su elementi estremamente eterogenei, alcuni di carattere sopranazionale, come abbiamo visto, altri di tipo intergovernamentale. Per queste e molte altre ragioni, non è classificabile come federazione, né come organizzazione internazionale: più semplicemente, si tratta di un’istituzione totalmente nuova ed originale, il cui futuro è stato costruito con molte deviazioni e cambi di direzione, soprattutto per quanto riguarda il suo status giuridico nel mondo. Molti vedono una sorta di “schizofrenia” nel grande disegno europeo poiché, partendo da basi intergovernamentali e di collaborazione meramente economica tra Stati – il raggiungimento del Mercato Comune è un esempio di questo tipo di approccio – si è poi passati a slanci più propriamente federalisti, per poi tornare a posizioni meno estreme che non comportassero una cessione quasi totale della sovranità nazionale. Se il Consiglio rappresenta uno dei capisaldi del sistema di cooperazione statale, appare rilevante anche l’ampliamento dei poteri del Parlamento operato negli anni ’80 con l’introduzione della procedura di cooperazione e quella di parere conforme, fino ad arrivare alla codecisione grazie al Trattato di Maastricht. Un sistema profondamente eterogeneo e in molte parti quasi paradossale, quindi, soprattutto se si considera il costante problema di deficit democratico in seno al Parlamento, che però nasce da slanci federalisti concretizzatisi soprattutto nei Trattati di Maastricht e Lisbona. In entrambi i casi, infatti, viene conferito un potere sempre più ampio ad istituzioni sopranazionali (il Parlamento) a discapito di quelle intergovernamentali (il Consiglio). Viene inoltre concepita e messa in atto per la prima volta una politica estera e di sicurezza comune (PESC) – seppure ancora di stampo intergovernamentale – è istituita un’unione monetaria (UEM) inconcepibile mezzo secolo prima e viene introdotta la cittadinanza europea, che permette di abbattere ulteriormente le frontiere tra gli Stati. Sebbene si tratti di un processo lungo e non in discesa, sembra che l’integrazione delle istituzioni e delle politiche europee rappresenti l’unica linea di progresso possibile, nonché auspicabile, per creare un sistema coordinato che possa fare fronte alle sfide quotidiane poste sulla scena mondiale.
Il sistema intergovernamentale ha fallito, mostrando chiaramente le sue lacune e lasciando un’Europa incapace di fare fronte alla crisi attuale. Diventa, quindi, sempre più evidente che l’unica soluzione possibile per un Continente prospero sia, di fatto, una scelta federalista, che scalzi in modo definitivo le paure degli ormai superati Stati-Nazione. Dopotutto, idealmente, l’Europa è nata nelle menti dei Padri fondatori non come entità interstatale, bensì da uno slancio di vero spirito di unione e dalla presa di coscienza che solo realmente uniti gli Europei avrebbero potuto voltare pagina dopo gli orrori del secolo scorso. L’Europa non è uno strumento attraverso il quale i Governi possano far valere i propri interessi nazionali. Costituisce un fine, raggiunto il quale il Vecchio Continente potrà far valere la propria voce sulla scena mondiale, finalmente unito ed in pace.

Deborah Fiorin
Università di Padova
Facoltà di Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani

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