La flessibilità “in uscita”

Riccardo Del Punta

L’art. 18 porta i segni visibili dei faticosi compromessi politico-sindacali che ne hanno accompagnato l’approvazione e che hanno immesso nel testo una serie di complicazioni e criticità tecniche, discendenti tutte dalla complessità del nuovo regime sanzionatorio.

Se non, necessariamente, quello più importante, la riforma della flessibilità “in uscita”, e in specie del notissimo art. 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, è stato certamente il capitolo più discusso e politicamente impegnativo della Riforma Fornero del mercato del lavoro, adottata con legge n. 92 del 2012 nel pieno della stagione del Governo tecnico che sta per esaurirsi. Era scritto, d’altra parte, che l’art. 18 avrebbe catalizzato il massimo dell’attenzione mediatico-politica, ove si consideri quanto tale magico numero fosse divenuto, negli anni, al di là dei suoi pur importanti contenuti, un vero e proprio simbolo di un certa logica protezionistica forte dei diritti dei lavoratori subordinati. Forte al punto da garantire al lavoratore illegittimamente licenziato (e purché dipendente da un datore di lavoro con più di 15 dipendenti a livello comunale o più di 60 a livello nazionale) l’annullamento del licenziamento e la reintegrazione nel posto precedente, nonché il risarcimento pieno dei danni retributivi e contributivi patiti, con l’ulteriore facoltà di rifiutare la reintegrazione e pretendere, in aggiunta ai danni di cui sopra, un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione.
Non v’è dubbio che questa disciplina fosse particolarmente rigida, alla luce degli standard correnti nei principali Paesi europei, i quali, di solito – e sia pure con meccanismi diversi da Nazione a Nazione – riservano la reintegrazione alle ipotesi più gravi di licenziamento illegittimo e si limitano ad assegnare al lavoratore, nelle maggior parte dei casi, una compensazione economica. Ciò ha gettato l’art. 18 nel cuore della volontà riformatrice di un Governo tecnico costretto a fronteggiare una delicatissima situazione finanziaria ed a venire incontro alle attese delle istituzioni europee e dei mercati finanziari per interventi che non si limitassero alla pur prioritaria esigenza di riassetto dei conti pubblici (v. la riforma pensionistica), ma che aggredissero anche alcuni nodi strutturali di mercati cruciali come quello del lavoro.
In realtà, il disegno del Governo è andato oltre, nella misura in cui ha cercato di fare di necessità virtù, ossia di inserire la riforma della flessibilità in uscita in un intervento di più ampio e strategico respiro, mirante a reindirizzare la domanda di lavoro verso il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, e dunque a contrastare la tendenza, manifestatasi soprattutto da quando si è fatta sentire la morsa della recessione globale, alla proliferazione dei lavori flessibili e precari in rapporto al totale della forza lavoro. La maggiore flessibilità in uscita nei cd. contratti standard si è così combinata con l’adozione di misure di restrizione e di disincentivo nei riguardi dei contratti flessibili, in specie autonomi, quali le collaborazioni a progetto, le partite IVA, le associazioni in partecipazione. Misto, per un verso di liberalizzazione e per un altro di restrizione, è stato, invece, l’intervento sul contratto a termine. Dirà l’esperienza applicativa (ed un monitoraggio ufficiale dei risultati della riforma previsto dallo stesso Governo) se sono stati toccati i tasti giusti o si renderanno necessarie misure correttive.
Tornando all’art. 18, esso porta i segni visibili dei faticosi compromessi politico-sindacali che ne hanno accompagnato l’approvazione e che hanno immesso nel testo una serie di complicazioni e criticità tecniche, tutte discendenti dalla complessità del nuovo regime sanzionatorio. Mentre, in precedenza, quali che fossero la natura e la gravità del vizio riscontrato nel licenziamento (non giustificato, discriminatorio, ovvero soltanto irregolare sotto il profilo formale o procedurale), il regime applicabile era il medesimo, adesso un licenziamento illegittimo può dar luogo, a seconda dei casi, a quattro tipologie diverse, due delle quali non prevedono più la reintegrazione nel posto di lavoro.
Nel dettaglio, il trattamento del vecchio art. 18 è ancora garantito nelle ipotesi più gravi di licenziamento viziato, in particolare nel caso di licenziamenti per i quali sia accertata la natura discriminatoria (in quanto determinati da ragioni di genere, politiche, sindacali, religiose, etniche, ecc.) e di altri ad essi assimilabili, come quelli disposti in pendenza di maternità. Per i licenziamenti soltanto ingiustificati, invece, le cui ragioni (di carattere disciplinare od economico) siano state trovate inconsistenti o non veritiere da un giudice – i quali assorbono la maggior parte del contenzioso in materia – la nuova norma prefigura due distinti regimi: per i licenziamenti più gravemente abusivi e ingiustificati, sono ancora previsti la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento dei danni patiti dal lavoratore a causa dell’estromissione dall’azienda, ma (ed è novità non da poco) entro un massimale di 12 mensilità per i danni retributivi; di contro, in tutte le altre ipotesi di licenziamento non giustificato, non potrà più essere accordata la reintegrazione, ma soltanto un’indennità risarcitoria onnicomprensiva, modulata tra 12 e 24 mensilità a seconda di vari criteri, tra i quali, soprattutto, l’anzianità di servizio del lavoratore. Ed è proprio nella previsione di quest’ultima tutela che si è consumato lo stacco rispetto al regime precedente.
Le ipotesi nelle quali continua a trovare applicazione la reintegrazione, sebbene con conseguenze economiche attenuate, sono state individuate in positivo dalla legge allo scopo di limitare la discrezionalità del giudice a tale riguardo: per i licenziamenti disciplinari, trattasi dei casi nei quali il fatto contestato al lavoratore sia risultato insussistente nel processo o, per esso, il contratto collettivo prevedesse soltanto una sanzione minore; del pari, quanto ai licenziamenti economici, la reintegrazione potrà essere disposta soltanto nel caso in cui sia emersa la manifesta insussistenza (una formula molto controversa) della ragione produttiva od organizzativa addotta dal datore di lavoro a motivo del licenziamento. In ogni altro caso, come già detto, dovrebbe trovare spazio soltanto una sanzione di tipo economico.
Ebbene, già nei primi casi giudiziari assoggettati al nuovo art. 18 (che vale soltanto per i licenziamenti intimati dal 18 luglio 2012), e in generale nei primi commenti (per lo più critici), si è profilato un “tiro alla fune” interpretativo tra coloro i quali cercano di leggere in modo ampio le ipotesi in cui è ancora prevista la reintegrazione (e che, di solito, portano a sostegno i principi costituzionali), svuotando così la portata della riforma, e coloro i quali, invece, ritengono che nel nuovo sistema la tutela normale dovrebbe essere quella economica, che comunque garantisce al lavoratore un risarcimento di una certa consistenza. Certo è che, sin quando non si giungerà a linee di interpretazione abbastanza condivise a livello nazionale, l’incertezza sulle conseguenze della normativa sarà dannosa per tutti gli operatori.
La riforma prevede, infine, un trattamento più blando per i casi nei quali il licenziamento sia viziato soltanto per ragioni di forma (con l’eccezione del licenziamento comunicato in forma orale, sanzionato con la reintegrazione piena) o di procedura, che consiste nel riconoscimento al lavoratore di un’indennità risarcitoria ridotta, tra 6 e 12 mensilità; ferma la facoltà del lavoratore di sostenere che il licenziamento è ingiustificato anche dal punto di vista sostanziale.
Una riforma, quindi, problematica e controversa, che non ha toccato – merita precisare – i presupposti in presenza dei quali un licenziamento può considerarsi giustificato (i concetti, insomma, di “giustificato motivo” e “giusta causa”), bensì le conseguenze giudiziarie di tale difetto di giustificazione, secondo due essenziali linee di fondo: ridimensionamento della tutela reintegratoria a vantaggio di quella economica e previsione di tetti di risarcimento miranti a contenere, per il datore di lavoro, il costo massimo del licenziamento illegittimo (il quale, nella vigenza della vecchia disciplina, poteva schizzare, complice la lunga durata dei processi, a livelli assurdi).
Alla riuscita del disegno dovrebbe altresì soccorrere un’auspicabile minore durata dei procedimenti giudiziari, in vista della quale la legge n. 92/2012 ha introdotto un rito processuale speciale, peraltro fatto oggetto, come l’art. 18, di debordanti critiche. Tra le pieghe della legge, comunque, si intravede con nettezza il prosaico intento di evitare il più possibile i processi, promuovendo la conclusione di accordi transattivi, posto che, se le parti sanno prima che cosa, come massimo, possono ottenere (il lavoratore) o rischiare (il datore di lavoro), può accadere che entrambe trovino conveniente una composizione della lite su basi economiche.
Una riforma, per concludere, dall’ancora incerto destino applicativo, le cui positive note di novità potrebbero finire con l’essere soverchiate dalle incertezze di cui è foriera una norma eccessivamente compromissoria, che sarà certamente sottoposta a scrutinio dalla Corte Costituzionale. Ma, qualora il testo uscito dalla Riforma Fornero dovesse rivelarsi poco funzionante o incappasse in incidenti di costituzionalità, il problema di come congegnare un assetto equilibrato della flessibilità “in uscita”, depurato dagli eccessi protettivi del vecchio art. 18, resterebbe tutto aperto e da risolvere.

Riccardo Del Punta
Professore ordinario di Diritto del Lavoro – Università di Firenze

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Tags:

Rispondi