Comunità per minori allo sbando

Le ultime normative hanno regolarizzato la gestione dei servizi socio-assistenziali a favore dei minori. Ciò ha comportato il miglioramento della qualità e l’innalzamento dei costi di gestione. Si perde così il Volontariato che per anni aveva sorretto questi servizi.

Un serpente che si morde la coda. Non è il massimo iniziare un articolo con un detto popolare, ma questo è il succo essenziale di quanto sta accadendo alle realtà del non profit che gestiscono centri di accoglienza per minori a rischio o in stato di abbandono: case famiglia, comunità educative, comunità di prima accoglienza e centri socio-educativi. Nell’ultimo quinquennio, le varie normative regionali hanno regolarizzato la gestione dei servizi socio-assistenziali in generale, e quelli a favore dei minori in particolare. In tale prospettiva, viene richiesto all’ente gestore del servizio di assumere personale altamente qualificato, in possesso di determinati titoli di studio, primi tra tutti quelli dell’area socio-psico-pedagogica. Ciò ha comportato due conseguenze immediate: il miglioramento della qualità dei servizi e l’innalzamento dei costi di gestione, a partire da quelli del personale. Viene quindi tagliato fuori, quasi del tutto, il Volontariato puro, che per anni aveva sorretto questi servizi. Come sempre, la virtù sta nel mezzo… in medio stat virtus. Pare ovvio – a chi scrive – che non sia possibile affidarsi al dilettantismo di cui, a volte, il Volontariato è vittima, specie se si ha a che fare con soggetti deboli ed indifesi, come bambini ed adolescenti. D’altro canto, la progressiva crisi di cassa degli enti locali ha fatto sì, per l’appunto, che il serpente giungesse a mordersi la coda, se non, addirittura, ad ingoiarla. L’ente preposto al pagamento della retta giornaliera del minore inserito in una casa famiglia o in una comunità è, per legge, il comune in cui il minore o il suo esercente la potestà aveva la residenza il giorno anteriore al suo collocamento in comunità. Né giova, a tal uopo, la data del provvedimento della magistratura minorile che dispone il collocamento. Prendiamo il caso di un bambino che viva una situazione di disagio familiare: il giudice minorile ordina al competente servizio sociale il collocamento in comunità; per lungaggini burocratiche (sulle quali preferisco sorvolare) il collocamento viene eseguito due mesi dopo, quando il nucleo si è trasferito in un altro comune, registrandosi presso il relativo stato civile; se, a quel punto, viene eseguito il provvedimento del tribunale per i minorenni, sarà questo secondo comune a doversi sobbarcare la retta giornaliera per il collocamento in comunità del minore.

Dico questo perché, nella mia esperienza forense, ho avuto spesso modo di prendere le difese di varie realtà non-profit che si vedevano contestare la fatturazione delle rette da parte dei comuni nei quali i minori ospiti avevano la residenza anagrafica. Quando l’ente locale chiude i rubinetti, perché contesta la residenza del minore o perché le proprie casse sono allo sfascio, la comunità va in crisi. Celebri gli esempi delle comunità di Napoli e Taranto, in cui i comuni di residenza dei minori collocati avevano accumulato due anni di arretrati. Gli educatori non ricevevano lo stipendio e continuavano a lavorare solo per decoro ed amore dei bambini e degli adolescenti ospiti in quelle strutture, facendo spesso la questua per sopperire alle spese vive quotidiane (ecco come lo spirito sussidiario del Volontariato puro emerge e sopperisce alla mancanza delle istituzioni). In molti casi, il tribunale per i minorenni si è dovuto arrendere all’evidenza, disponendo il rientro dei minori nei nuclei familiari di origine, proprio nei contesti in cui era stato ravvisato lo stato di disagio. Anche il sistema bancario, inizialmente aperto al mondo del non-profit con gli strumenti dell’anticipazione su fatturazione e della cessione del credito, sembra aver serrato i ranghi, rifiutandosi di anticipare fatture emesse nei riguardi di enti locali con conti in rosso. La soluzione, come sempre, esiste, ma, chissà perché, a nessuno piace parlarne.

Perché? Perché i bambini non votano ed io continuo a sognare il giorno in cui i genitori, alle elezioni politiche ed amministrative, potranno votare per sé, ed esprimere una preferenza per ogni figlio (tranne nei casi di separazione, altrimenti ci sarebbe un motivo in più per elevare il livello di conflittualità!). Basterebbe solo che, nel bilancio previsionale, l’amministrazione comunale prevedesse un budget per i minori da collocare, stringendo una convenzione con un numero determinato di comunità, alle quali versare un quantum fisso, a prescindere da quanti minori vengano poi collocati; prevedendo, inoltre, la possibilità di inserire volontari al servizio dei minori ospiti delle comunità; investendo, infine, nella cultura dell’affidamento familiare, vera alternativa ai minori in struttura.

Massimiliano Arena
Direttore Rivista di Diritto Minorile

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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