Esploratori del sapere

Walter Veltroni

Leggere chiede più sforzi alla nostra immaginazione della tv o del cinema, ma schiude universi più vasti, apre su dimensioni parallele, infinite interpretazioni del mondo che sono altrettanti mondi possibili.

Sotto il regno di Huangdi, Imperatore giallo fondatore dell’immenso impero cinese, nacque uno scriba dal talento straordinario, Cang Jie, sapiente e indovino che aveva la capacità di vedere oltre le apparenze. Con i suoi occhi potenti, riusciva ad andare al cuore delle cose, a percepirle come esse sono, perfette, immutabili, e non imperfette, confuse, mutevoli come a volte ci appaiono. Un giorno, volendo fare dono all’umanità della sua dote divina, decise di catalogare tutto ciò che esiste. Cominciò studiando il volteggio degli uccelli nell’aria e le tracce lasciate nel suolo dalle zampe dei rettili. Unendo le forme osservate in cielo con quelle viste su terra, Cang Jie creò il primo alfabeto cinese e lo regalò agli uomini. Gli dei, spaventati per l’immenso potere conquistato da quel semplice scriba, decisero di allontanarlo dai mortali e lo trasformarono in un semidio. L’immenso potere di Cang Jie, ovviamente, era la scrittura, la capacità di scoprire il segreto che regola il mondo, condensando l’infinità delle cose che esistono in un numero limitato di segni. Ogni libro, così, è come un talismano, come una lampada di Aladino, che, strofinato, decodificato, letto, contiene dentro di sé un universo infinito. A tal punto, si potrebbe dire, che un libro ha sempre l’ambizione di contenere l’universo in tutta la sua infinitezza, di dare una spiegazione più o meno esaustiva della grande incognita della vita. In un film fantasy di successo di qualche decennio fa, La Storia infinita, le cose vanno proprio così. Un ragazzo americano sottrae un vecchio libro polveroso da un antiquario e si nasconde in soffitta a leggerlo, mentre marina la scuola. Bastian, questo il suo nome, viene completamente risucchiato dalla narrazione, entra nel libro e ne scrive la storia, ritrovandosi nei panni di un eroe capace di sconfiggere il Nulla e salvare un regno incantato dal nome Fantasilandia.

La lettura diventa così una forma di iniziazione che permette a questo giovane di affrontare tante insidie e di diventare adulto. Nella sua semplicità, a volte un po’ ingenua, il film ci spiega due cose importanti: un vero libro è un universo magico ed è un oggetto soltanto in apparenza polveroso. Una volta aperto, sprigiona storie utili ad orientarci nel mondo, che l’immaginazione di chi legge rende ogni volta diverse. Saltando ad un altro secolo, un’opera che sintetizza magistralmente la missione della scrittura e della lettura è il Robinson Crusoe, di Daniel Defoe. In apparenza, è la storia di un signore che, abbandonato dalla sua nave su un’isola deserta, è costretto dal bisogno ad ingegnarsi per nutrirsi e per difendersi dalle aggressioni della natura. Nelle intenzioni dell’autore, invece, questo libro bellissimo, che trae origine da una storia realmente accaduta, è un vero e proprio manuale di vita. Defoe era religiosissimo e nel suo Robinson Crusoe vuole dimostrare che quando l’uomo esalta la facoltà più importante che Dio gli ha regalato, l’intelligenza, e non cede alle lusinghe dell’istinto, anche il mondo più ostile si trasforma in un giardino dell’Eden completamente disposto al suo servizio. Come a dire, si tratta di una storia, di un racconto, ma, dopo averla letta, si guarda alle cose in modo diverso. Si scopre quello che per Defoe è il segreto della vita e si penetra nella realtà con un’intensità del tutto nuova. Certo, non è detto che si debba essere d’accordo con la tesi esposta dallo scrittore, ma la sua proposta è un’interpretazione possibile che ci spinge a prendere posizione, ad interrogarci, a crescere nella comprensione delle cose. Il Robinson Crusoe ha, poi, il dono tipico di moltissima letteratura inglese.

Questo dono si chiama chiarezza, democraticità. È accessibile, non è scritto con linguaggio oscuro che soltanto alcuni possono capire, è scritto perché lo possano leggere tutti. Stessa cosa si può dire per un altro libro, forse il più grande romanzo di formazione della storia della letteratura: L’Isola del Tesoro, di Robert Louis Steevenson. Anche qui si tratta di una vicenda esemplare. La storia la conosciamo tutti. In una locanda, un uomo muore e lascia la mappa di un tesoro. A trovarla è il figlio della locandiera che la porta al signorotto del paese. I due si danno alla ricerca, accompagnati da una ciurma di delinquenti. Dopo un lungo viaggio, il tesoro viene finalmente trovato su un’isola deserta, dove i manigoldi al seguito vengono sconfitti dalla loro stessa avidità. La morale è molto semplice: l’onestà, la cultura e la conoscenza vincono sempre. Anche quando il rapporto di forza sembra terribilmente svantaggioso. L’idea che un libro sia un po’ come una mappa, un talismano che permette di orientarci nel mondo è l’idea forte delle religioni monoteiste, dei cosiddetti popoli del libro. Pensiamo alla Bibbia, il libro dettato da Dio, dove sono disseminati messaggi ed orientamenti capaci di salvare gli esseri umani dal peccato e schiudere loro il regno dei cieli. Pensiamo al Corano, che nell’Islam non è neanche un libro, ma la parola di Allah sempre viva, che va fatta rivivere con la lettura. È come un codice cifrato, abitato da Dio, che torna a parlare attraverso noi, nel momento in cui lo recitiamo a voce alta. Quale visione più alta del sapere codificato, dei suoi insegnamenti, del suo potere magico e rivelatorio, della sua infinità? La parola scritta non è parola morta, ma torna a vivere in maniera sempre diversa in colui che la legge e che gli restituisce il soffio della vita. Nel caso del Corano, è come se il testo sacro fosse l’archetipo di qualsiasi altra forma scritta. Come se chiunque ambisce a scrivere si ispirasse, senza mai riuscire ad eguagliarla, alla parola divina. Leggere, quindi, è come un’avventura. Che chiede più sforzi alla nostra immaginazione della tv o del cinema, ma che schiude universi più vasti, apre su dimensioni parallele, infinite interpretazioni del mondo che sono altrettanti mondi possibili. Un po’ come avviene in Harry Potter e la sua scuola di Hogwarts. Un racconto di uno dei più grandi scrittori del Novecento, La Biblioteca di Babele, di Jorge Louis Borges, è forse quello che rende meglio di tutti la dimensione ed il potere della scrittura. Scrive Borges: «L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone di un numero indefinito e forse infinito di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente». Al centro «la scala spirale che si inabissa e s’innalza nel remoto». La biblioteca infinita contiene nei suoi libri tutti i mondi possibili. È infinita quanto le spiegazioni che possiamo fornire al mistero della vita. E ci aspetta sempre e comunque, in attesa di essere esplorata.

Walter Veltroni
Parlamentare, giornalista e politico italiano

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