Una risorsa essenziale

Il momento storico che stiamo attraversando, vede una rinnovata ed accresciuta attenzione verso le realtà del Terzo settore, fenomeni che fino a pochi anni fa erano posti a margine della cultura politica ed economica, la cui crescita – non solo quantitativa, ma “qualitativa” – è un dato oggettivo che Stato e Istituzioni in generale non possono ignorare.

Con il termine “Terzo settore” si definisce l’insieme dei soggetti di natura privata che, all’interno del sistema economico di un Paese, si collocano in una posizione intermedia tra Stato e mercato e che, senza fini di lucro, producono beni e servizi con destinazione pubblica o collettiva. Si tratta di un mondo particolarmente variegato, con un gran numero di realtà che, seppure di natura giuridica diversa, hanno come elemento comune l’assenza di fini di lucro anche nei casi in cui l’attività che svolgono è di carattere economico. Organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative sociali, imprese sociali, fondazioni, organizzazioni non governative, sono solo alcune delle “formazioni sociali” la cui finalità è quella di rispondere ai bisogni emergenti del territorio in cui operano. Tra queste, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale presentano molte caratteristiche comuni, pur essendo regolamentate da due diverse leggi: la legge 11 agosto 1991, n.266 per le Organizzazioni di volontariato e la legge 7 dicembre 2000, n.383 per le Associazioni di promozione sociale. Si tratta, in entrambi i casi, di “norme quadro”, che rimandano alle Regioni per l’emissione di una serie di regolamenti attuativi in merito ai principi in esse contenuti e che definiscono come attività di volontariato “quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà” e come associazioni di promozione sociale “le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati.”

Attenendosi al dettato normativo, quindi, gli elementi distintivi delle due fattispecie vanno individuati: per il volontariato organizzato, nella gratuità e nella solidarietà sociale (principio solidaristico); per le associazioni di promozione sociale, nell’attività di utilità sociale rivolta anche a favore dei propri associati e nella possibilità di retribuire i soci (principio mutualistico). Caratteristiche essenziali delle organizzazioni di volontariato sono, infatti, l’esclusivo fine di solidarietà e l’assenza di rapporti economici tra associazione e soci, mentre le associazioni di promozione sociale possono anche avere soci volontari e soci retribuiti e possono operare sia a favore di terzi, sia a favore dei propri iscritti. Un breve cenno va fatto anche riguardo all’impresa sociale, introdotta dalla legge 13 giugno 2005 n.118. Questa rappresenta la componente imprenditoriale del Terzo settore, insieme alle cooperative sociali, di cui alla legge 8 novembre 1991, n.381, che perseguono l’interesse generale della comunità alla promozione umana ed all’integrazione sociale dei cittadini offrendo servizi socio-sanitari ed educativi (cooperative “di tipo A”) ed occasioni di inserimento lavorativo alle persone svantaggiate (cooperative “di tipo B”). A differenza delle cooperative sociali, l’impresa sociale non è un soggetto giuridico, ma una qualifica che possono acquisire tutte le organizzazioni private. Rappresenta un valore aggiunto rispetto all’impresa convenzionale perché, pur svolgendo attività produttive secondo criteri imprenditoriali, persegue l’esplicita finalità sociale della produzione di benefici diretti a favore dell’intera comunità o di soggetti svantaggiati, servendosi delle “reti” sociali che costituiscono la base e l’ambito di operatività degli enti del Terzo settore. Quello dell’impresa sociale è forse l’esempio più attuale di un’innovazione profonda del sistema del welfare, che nasce non dalle Istituzioni o dal mercato, ma “dal basso”, dai cittadini.

Le formazioni sociali intermedie tra Stato e cittadino, una volta oggetto di diffidenza, costituiscono oggi – nel sentire comune – non più un soggetto “terzo” capace di sopperire alle lacune del rapporto tra pubblico e privato, ma uno strumento di enorme potenzialità, da porre come elemento fondante di un sistema sociale che possa farsi carico e rispondere concretamente ed in maniera efficace ai bisogni dei singoli. Il momento storico che stiamo attraversando, caratterizzato da una profonda e diffusa crisi che l’interconnessione tra Paesi e la globalizzazione hanno reso mondiale, vede una rinnovata ed accresciuta attenzione verso le realtà del Terzo settore, fenomeni che fino a pochi anni fa erano posti a margine della cultura politica ed economica, la cui crescita – non solo quantitativa, ma “qualitativa” – è un dato oggettivo che Stato ed Istituzioni in generale non possono ignorare. A seguito di tutta una serie di mutamenti sociali intervenuti dalla fine degli anni ’90 (basti pensare all’invecchiamento demografico, all’aumento dell’immigrazione, alla carenza di occupazione, al moltiplicarsi di situazioni di povertà ed esclusione), il sistema del Welfare State ha mostrato tutte le sue carenze ed inadeguatezze, in quanto fondato su una cultura assistenzialistica che non lasciava spazio all’autonomia ed alla responsabilità del singolo, ma riservava allo Stato l’erogazione di servizi il cui standard qualitativo non sempre poteva essere garantito a causa dell’impossibilità di far fronte ad una richiesta di servizi sempre più pressante, variegata e diffusa. Parallelamente, l’attività in continua crescita delle organizzazioni non profit ha dimostrato come molti bisogni possono essere soddisfatti non tanto tramite generici trasferimenti di risorse economiche o con la produzione ed erogazione standardizzata di servizi, quanto attraverso la produzione di servizi se, quando ed ove necessari, migliorando così la capacità di corrispondere – con costi sensibilmente contenuti – ai reali bisogni delle persone svantaggiate. È un dato di fatto che la stessa gestione – da parte delle organizzazioni – delle risorse erogate dallo Stato sotto forma di finanziamenti e contributi, abbia determinato un uso più razionale e mirato di quelle stesse risorse, portando ad una maggior efficienza nel raggiungimento degli obiettivi di benessere sociale perseguiti e contribuendo ad una migliore efficacia dell’intervento dell’Amministrazione pubblica. In questa ottica, il Terzo settore può considerarsi soggetto attivo, capace non solo di mobilitare risorse, ma anche di comprendere rapidamente – e spesso di anticipare – i bisogni della comunità, fornendo risposte concrete.

Studi e ricerche hanno dimostrato che lo sviluppo delle organizzazioni non profit è stato favorito in molti casi proprio dalla necessità di fornire risposte soddisfacenti in quei settori o territori dove lo Stato si dimostrava più carente o i servizi offerti dai privati erano troppo costosi. Non va dimenticato, infine, il ruolo del non profit per quanto concerne la creazione di nuove opportunità di lavoro. Un lavoro qualitativamente diverso, ove scelto consapevolmente a fronte di altre possibili alternative (è il caso di molti giovani che, dopo aver effettuato il servizio civile trovano collocazione retribuita presso lo stesso ente associativo in cui hanno prestato servizio), o lasciando un’occupazione precedente perché ritenuta poco gratificante. Basti pensare ad esempi positivi quali l’inserimento lavorativo delle persone diversamente abili (caratteristica peculiare delle cooperative “di tipo B”) ed alle energie dedicate alla cura della formazione professionale dei volontari e degli operatori retribuiti, fattore importantissimo i cui effetti ricadono positivamente sulla collettività. Le attuali politiche sociali, consapevoli del ruolo cardine assunto dal Terzo settore nello sviluppo socio-economico del Paese, sono perciò orientate a riformare le modalità di rapporto della politica con la società, ridisegnando un nuovo sistema del welfare che ponga al centro la persona nella sua individualità, nelle sue proiezioni relazionali, nella capacità di organizzarsi intorno ad un interesse comune e di sentirsi parte attiva e responsabile nella società in cui vive. È questa l’ottica in cui il “Libro bianco sul futuro del modello sociale” del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, fissa i principi che sono alla base di un nuovo rapporto tra politica e società, ove il principio della sussidiarietà sancito dalla nostra Carta Costituzionale trovi vita nuova nella reciproca funzionalità tra l’agire dello Stato e quello delle formazioni intermedie.

Un “welfare mix” delle opportunità, ove la produzione di beni e servizi destinati alla collettività sia garantita non più esclusivamente dallo Stato ma da più soggetti – istituzionali e non, quali Stato, economia e non profit – che agiscano in una situazione di complementarietà attraverso interventi co-progettati che promuovano le potenzialità della persona e della comunità. L’impegno della Pubblica amministrazione, in particolare della Direzione Generale per il volontariato, l’associazionismo e le formazioni sociali, da me diretta, sarà quello di sostenere ed incentivare le enormi risorse del Terzo settore – un capitale di capacità, esperienza e potenzialità che in nessun modo può andare disperso – assolvendo, allo stesso tempo, a quelle funzioni di coordinamento, razionalizzazione e sorveglianza sulla rete degli interventi e dei servizi, che sono prerogativa dello Stato. Va infine sottolineato il coinvolgimento diretto del nostro Paese nelle politiche sociali dell’Unione Europea, che ha dedicato l’anno 2010 alla lotta alla povertà e all’esclusione sociale e il 2011 al volontariato, mentre sono aperte le consultazioni per dedicare l’anno 2012 all’invecchiamento attivo ed intergenerazionale. Tre anni incentrati sull’attenzione a particolari fragilità sociali, durante i quali siamo chiamati ad intervenire con azioni concrete e che molto ci aiuteranno a far crescere una nuova cultura di valorizzazione delle positività che provengono dal sociale.

Marina Gerini
Direttore Generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali
Direzione Generale per il volontariato, l’associazionismo e le formazioni sociali

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